Occhio alla Google tax

Occhio alla Google tax

di Vincenzo Vita – il manifesto

Un passo avanti e due indie­tro. Così si potrebbe dire dell’attività del governo e delle isti­tu­zioni in mate­ria di inno­va­zione. Una nota posi­tiva è stata l’introduzione del prin­ci­pio sot­teso alla vexata quae­stio della cosid­detta «Goo­gle tax». Vale a dire che i ric­chi devono pur pagare ade­gua­ta­mente le tasse, per con­tri­buire fat­ti­va­mente all’età digi­tale. Pur­troppo, però, una giu­sta intui­zione è stata avvolta in un abito for­male assai opi­na­bile, che rischia di but­tare via acqua sporca, bam­bino e tutto il resto.

Il tema è in corso d’opera a livello euro­peo e un rac­cordo comu­ni­ta­rio sarebbe stato utile, anche in vista dell’agognata pre­si­denza ita­liana dell’Unione. Atten­zione, però. Bando ai fari­sei­smi di com­menti curiosi e tar­divi. Ora si infol­ti­sce, infatti, il coro dei no agli emen­da­menti pro­po­sti (e appro­vati dalla com­mis­sione bilan­cio della Camera) alla legge sulla sta­bi­lità. Legit­timo, ci man­che­rebbe. Pec­cato che quei testi sono noti da diverse set­ti­mane e un dorato silen­zio li aveva finora accom­pa­gnati. Non della rete, già per­plessa da tempo; non delle cro­na­che da Mon­te­ci­to­rio, dove nel rac­conto qual­che scam­polo fil­trava. Ma certo nella gran­cassa media­tica solo adesso il capi­tolo della tas­sa­zione ita­liana degli «over the top» è rim­bal­zato vor­ti­co­sa­mente. Ne ha par­lato anche il neo segre­ta­rio del par­tito demo­cra­tico nella rela­zione intro­dut­tiva dell’assemblea nazio­nale di Milano, ma ha col­le­gato la cri­tica allo scon­forto per l’arretratezza in mate­ria, come è il caso incre­scioso del rego­la­mento varato dall’Autorità per le comu­ni­ca­zioni sul copy­right on line. Sul punto va segna­lata la strana deter­mi­na­zione dell’Agcom, che tut­tora non ha affron­tato ade­gua­ta­mente il deli­cato tasto del mer­cato pub­bli­ci­ta­rio, men­tre ha usato le maniere forti sul tes­suto con­net­tivo della rete.

Il lavoro intel­let­tuale si tutela sul serio aggior­nando le cul­ture giu­ri­di­che, ferme all’era ana­lo­gica: non con inu­tili e rischiose grida man­zo­niane. Spe­riamo dav­vero che il tempo porti con­si­glio e che l’esecuzione del rego­la­mento attenda dove­ro­sa­mente il varo di una legge del par­la­mento. Altro buco nero è l’entrata in scena nel prov­ve­di­mento chia­mato «destino Ita­lia» del paga­mento delle news tratte dai quo­ti­diani e vei­co­late in rete. Qui siamo al grot­te­sco e all’eterogenesi dei fini. Se è vero che il set­tore ha perso circa un milione di copie nell’anno pas­sato, si pensa di recu­pe­rare dichia­rando guerra ai let­tori del futuro, che oggi pre­fe­ri­scono Inter­net? Non sarebbe di gran lunga pre­fe­ri­bile aiu­tare la cre­scita di un con­sumo cross-mediale? Et et, non aut aut. Con simile norma gli edi­tori otter­reb­bero una vit­to­ria di Pirro e la certa disaf­fe­zione di un enorme pub­blico poten­ziale. Tra l’altro, è per­sino imba­raz­zante sen­tire gli inu­tili ser­moni sull’Agenda digi­tale, sull’urgenza di cam­biare il modello e il para­digma pro­dut­tivi, per poi vedere le cadute pra­ti­che. Da MediaEvo. È in corso un vasto e non indo­lore ricam­bio gene­ra­zio­nale. Che senso ha fare del male pro­prio ai nativi digi­tali? E beato il mondo che non ha biso­gno di eroi, per evi­tare sci­vo­late gravi e insieme ridi­cole. Si can­celli il divieto di usare gli arti­coli on line. E si ri-formuli la «Goo­gle tax» affin­ché non vi siano dubbi sul fatto che non è e non deve diven­tare una tassa sul web. Ha senso se è un pre­lievo sui gruppi sovra­na­zio­nali, a favore dei com­parti più deboli e meno legati al mer­cato del vil­lag­gio globale.

Ps. In que­sto arti­colo ci sono delle cita­zioni. In base alle ultime tro­vate del governo si deve pagare qual­che royalty? Forse ai discen­denti di Lenin? (Un passo avanti e due indietro…)


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