Le alternative per un’altra Europa

Le alternative per un’altra Europa

sbilanciamoci.info

Dalla politica fiscale e monetaria alla governance delle istituzioni europee, passando per l’accordo di libero scambio che Ue e Stati Uniti si preparano a firmare. La sintesi del Rapporto 2014 di Euromemorandum, presentato in anteprima sabato 14 nel corso del convegno “L’Europa Giusta”

L’Unione Europea è in condizioni di uscire dalla recessione, ma alcune parti d’Europa sono ancora in depressione; la disoccupazione è particolarmente elevata nei paesi periferici della zona euro e non dovrebbe ridursi sensibilmente nel prossimo futuro. Le pesanti politiche di austerità hanno generato una profonda polarizzazione sociale in Europa e hanno indotto un processo di ristrutturazione industriale in cui si è rafforzata la posizione della Germania e degli altri paesi del Nord, mentre si è indebolita la posizione produttiva dell’Europa meridionale. La crisi ha determinato anche una significativa trasformazione della distribuzione del reddito. Nella maggior parte dei paesi esterna al “core” dell’area dell’euro i salari reali sono diminuiti, in maniera più intensa nella periferia dell’area dell’euro e in gran parte dell’Europa orientale. Allo stesso tempo, la gerarchia tra gli stati membri si è attenuata con la posizione della Germania e degli altri Stati del Nord che si è rafforzata, mentre la posizione degli Stati del Sud si è indebolita e in ampi settori la politica economica di Bruxelles è quella che vale in realtà. Le attività della Commissione europea sono sempre caratterizzate da un grave deficit democratico e da una mancanza di trasparenza. Decisioni chiave sono prese in riunioni a porte chiuse senza dover rispondere ai parlamenti nazionali o al Parlamento europeo, dove potenti lobbies possono esercitare notevole influenza. In un certo numero di paesi i partiti di destra – in alcuni paesi raggruppamenti neo-fascisti – sono stati in grado di capitalizzare la diffusa disaffezione nei confronti dell’Unione europea e delle politiche che Bruxelles impone agli Stati membri.

Politica fiscale e monetaria

La recessione economica nell’UE è in via di soluzione ma la produzione è ancora al di sotto dei livelli del 2008 e la situazione è nettamente caratterizzata in molti paesi da elevata disoccupazione e da riduzione dei salari reali. La fase acuta della crisi finanziaria è stata superata, ma il sistema finanziario resta molto fragile e le banche hanno nel 2013 ancora ridotto i prestiti. Le politiche fiscali fortemente restrittive imposte a molti Stati membri ha reso ancora più difficile soddisfare i rigorosi obiettivi di contenimento del deficit. Mentre la BCE ha stabilizzato le banche con circa 1.000 mld di euro con prestiti triennali in incondizionati, continua ad essere vietato il credito ai governi. Dato la rigida adesione dell’UE ai principi neoclassici, sono i salari che devono sostenere l’intero peso dell’aggiustamento. I salari reali stanno registrando una contrazione in alcuni paesi, e ciò sta sostenendo le pressioni deflazionistiche che stanno dilagando in gran parte dell’Europa. Piuttosto che ricorrere a maggiore austerità, la politica del governo dovrebbe concentrarsi su iniziative di sostegno dell’occupazione per promuovere la crescita di posti di lavoro socialmente e ambientalmente desiderabili. L’impatto regressivo dei tagli alla spesa pubblica dovrebbe essere evitato e andrebbe rafforzata l’istruzione pubblica e la sanità. Andrebbero finanziari maggiori livelli di spesa invertendo la tendenza degli ultimi 20 anni di continui tagli delle imposte. Il bilancio europeo deve tendere al 5% del PIL dell’UE in modo da avere un impatto significativo sulla produzione e sull’occupazione. Il finanziamento dei disavanzi pubblici andrebbe mutualizzato attraverso l’emissione di obbligazioni in euro emesse dall’insieme dei paesi in modo che la speculazione non possa concentrarsi sui paesi più deboli. L’attuale situazione del debito pubblico in diversi Stati membri non è sostenibile; il debito non può essere completamente rimborsato per cui andrebbe sottoposto ad un audit per determinare quali debiti sono legittimi e quali dovrebbero essere annullati. La pressante compressione dei salari andrebbe sostituita da una più diffusa contrattazione collettiva. Un aumento regolato dei salari può contribuire al superamento della debolezza della domanda interna in Europa oltre a garantire una maggiore giustizia sociale. Al fine di combattere la disoccupazione e creare condizioni in cui la vita delle persone non siano dominati dal lavoro salariato, la settimana lavorativa normale andrebbe riportata verso le 30 ore senza perdita di retribuzione.

Politica finanziaria e bancaria

Cinque anni dopo il fallimento di Lehman Brothers, la crisi finanziaria e bancaria dell’UE non è ancora risolta. Nella maggior parte dei paesi dell’Unione, il sistema bancario si presenta ancora fragile, nonostante l’enorme quantità di liquidità fornita dalla BCE. La situazione del settore bancario è molto critica in alcuni paesi come la Spagna. A metà del 2012, la Commissione ha proposto la Banking Union (BU) come un nuovo progetto europeo per risolvere la crisi. A dispetto della sua struttura ambiziosa, la BU non cambia il paradigma dominante del settore bancario in Europa. Le riforme proposte dal rapporto Liikanen sul sistema bancaria rafforzano il ruolo delle banche universali nella UE, invece di spingere per una rigida separazione tra retail banking e investment banking. Le riforme sollevano anche interrogativi sulla democrazia e la governance nell’Unione europea in quanto aumentano il ruolo della BCE, che diviene il meccanismo unico di vigilanza sulle banche. Nonostante la BCE sia in parte responsabile per la profonda crisi del debito sovrano nella zona euro, in quanto si rifiuta di prestare direttamente ai governi sul mercato primario. La lentezza e la debolezza delle riforme finanziarie è stata aggravata dalla forte influenza che la lobby finanziaria è riuscita a contrastare una regolamentazione efficace. Le istituzioni europee dovrebbero perseguire con chiarezza l’obiettivo di ridurre il peso della finanza nell’economia. Le attività speculative dovrebbero essere vietate. Le banche commerciali devono essere isolate dai mercati finanziari e dovrebbero concentrarsi sul proprio core business: il credito al settore non finanziario. La direttiva sulla Financial Transactions Tax proposta dalla Commissione deve essere rapidamente attuata. La BCE dovrebbe essere sottoposta ad un effettivo controllo democratico e dare priorità agli obiettivi sociali ed ecologici.

La governance nell’Ue

L’entrata in vigore del Trattato di stabilizzazione, coordinamento e governance e la direttiva ‘Two Pack’ segnalano che la politica economica nei paesi della zona euro è ora assoggettata al pieno controllo centrale. Anche se i poteri dei parlamenti degli stati membri sulla politica economica sono stati radicalmente ridotti, non vi è alcun corrispondente aumento dei poteri del Parlamento europeo. La moltiplicazione dei rozzi vincoli aritmetici sulla spesa pubblica e sull’indebitamento è probabile che sia tanto poco funzionale in futuro quanto analoghe esercitazioni lo sono state quasi sempre in passato. Queste regole semplicistiche esprimono una sfiducia per le democrazia e una sovrastima della capacità dei processi di mercato di stabilizzare la vita economica. La retorica della competitività utilizzata dai leader europei per giustificare sia l’impostazione restrittiva della politica economica, sia la incalzante pressione sugli Stati membri più deboli ha anche la funzione di limitare il controllo democratico sull’economia. Le restrizioni legali in materia di politica economica sono ormai così pesanti che efficaci politiche alternative impongono sia l’abrogazione delle nuove misure di governance che il loro esplicito assoggettamento alle altre priorità, l’occupazione, la sostenibilità ecologica e la giustizia sociale.

L’imposizione fiscale

La rilevanza economica e politica dell’imposizione fiscale è diventata sempre più evidente da quando la crisi in Europa ha inciso con più forza sulle finanze della maggior parte degli Stati membri e quindi la vita dei loro cittadini. I gruppi di difesa globali e regionali che si occupano di questioni di giustizia in materia di fiscalità e di questioni fiscali, hanno un seguito crescente all’interno delle società civili europee, rafforzate dalla denuncia di una diffusa evasione fiscale da parte delle multinazionali e dei ricchi. In risposta sia alla crescente indignazione dei cittadini europei per l’evasione su scala industriale degli obblighi fiscali e per l’emorragia delle entrate pubbliche a causa della recessione e della stagnazione, i governi europei hanno dato maggiore enfasi al contrasto dell’evasione fiscale e dalla “concorrenza fiscale sleale”. La Commissione europea, con il forte incoraggiamento del Parlamento europeo, ha approvato una serie di riforme fiscali volte ad accrescere la trasparenza delle relazioni fiscali transfrontaliere. Queste riforme comprendono lo scambio di informazioni secondo la Direttiva europea sul Risparmio fiscale, l’istituzione di una base imponibile consolidata comune e, all’interno dell’area dell’euro, una imposta sulle transazioni finanziarie. Mentre tali iniziative sono le benvenute nel confuso panorama dei sistemi fiscali europei, esse saranno insufficienti a porre termine alle politiche fiscali ‘beggar – thy – neighbor’ (scaricare le difficoltà sui vicini) che sono proseguite durante la crisi attuale e che certamente non contribuiranno ad una inversione di tendenza nella crescita delle disuguaglianze di reddito e della povertà in Europa. Solo una radicale armonizzazione delle imposte dirette basata sulla loro progressività che interessi tutti gli Stati membri, la rimozione dei regimi di fiscalità “piatta” nell’Europa centrale e orientale e la convergenza delle aliquote fiscali a livello europeo potranno garantire la sopravvivenza di una cultura della solidarietà sociale nella regione.

Occupazione e politica sociale

La crisi finanziaria ed economica ha avuto un impatto sociale profondamente regressivo per molte persone in Europa per l’alto tasso di disoccupazione, la povertà e per molti giovani la perdita di un futuro. Secondo gli ultimi dati, nell’UE un quarto della popolazione europea è in condizioni di povertà e un ottavo della sua forza lavoro è disoccupata. I livelli di disoccupazione giovanile sono particolarmente inquietanti: per l’intera UE è uno su quattro, mentre nei paesi colpiti dalla crisi del sud come Grecia, Spagna e Italia si sale a uno su due o uno su tre. L’elevata disoccupazione e la povertà hanno indebolito la posizione negoziale della forza lavoro nei confronti dei datori di lavoro e questo si è riflesso in condizioni di lavoro più precarie: uno su cinque contratti nell’Unione europea sono a tempo determinato e i lavori a orario ridotto e a part-time involontario sono aumentati dall’inizio della crisi. La risposta UE non è riuscita a fornire le risorse per attenuare l’impatto della povertà e della disoccupazione giovanile. Le sue stesse istituzioni, quale la DG per l’occupazione, gli affari sociali e l’inclusione, non sono state in grado di monitorare e sostenere gli Stati membri che si vivono una sempre più profonda crisi economica e sociale. Le istituzioni dell’UE dovrebbero, come misura immediata, valutare l’impatto sociale causato dai tagli alla spesa che essa ha imposto agli Stati membri. Essa dovrebbe quindi fornire un sostegno nei settori chiave, in particolare per l’assistenza sanitaria, e assicurare il necessario supporto per bambini e giovani che stanno subendo il peso della disoccupazione e della povertà. Per proteggere la popolazione attiva dalla crescente ondata di condizioni di lavoro precarie, i sussidi dei programmi di assicurazione sociale dovrebbero essere estesi con urgenza a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro tipo di contratto. L’UE dovrebbe inoltre avviare iniziative legislative per adeguare la legislazione del lavoro europea in linea con un mercato del lavoro in rapida evoluzione.

La politica industriale

L’urgenza di una politica industriale in Europa comincia ad essere riconosciuta dalla Commissione Europea. Ma le sue proposte restano confinati al quadro ristretto della politica di concorrenza orientata esclusivamente agli obiettivi di performance a breve termine del mercato. Si rende necessaria una alternativa capace di collegare l’obiettivo di performance industriale a lungo termine con l’interesse per una trasformazione socio-ecologica. Questo dovrebbe coinvolgere sei grandi dimensioni: (1) a livello europeo, un piano di investimenti pubblici per la ricostruzione socio-ecologica al fine di stimolare la domanda europea, (2) una inversione di tendenza rispetto alla grave perdita di capacità industriale in Europa, (3) l’urgente riorientamento verso nuove attività ambientalmente sostenibili, a conoscenza intensiva, ad elevata competenza e salario, (4) il rovesciamento della politica di intense privatizzazioni degli ultimi decenni e un intervento pubblico a sostegno di nuove attività a livello comunitario, nazionale, regionale e locale; (5) l’impostazione di un diverso tipo di “sicurezza” in termini di disarmo, di maggiore coesione e di minori squilibri all’interno dell’UE e dei singoli paesi, e (6) la creazione di un nuovo importante strumento di politica per la trasformazione ecologica dell’Europa. Le attività specifiche che potrebbero essere coinvolte da questa nuova politica industriale comprendono: (a) la tutela dell’ambiente e delle energie rinnovabili, (b) la produzione e la diffusione delle conoscenze, le applicazioni delle TIC e le attività di web-based, (c) i servizi alla salute, al benessere e alle attività di cura, (d) il sostegno alle iniziative per dare soluzioni socialmente ed ecologicamente sostenibili alle questioni alimentari, mobilità, edilizia, energia, acqua e rifiuti.

Il partenariato Ue-Usa nel commercio e negli investimenti transatlantici

Negli ultimi anni l’Unione europea ha negoziato numerosi accordi commerciali bilaterali. Questo è stato superato dall’annuncio nei primi mesi del 2013 che l’UE e gli USA avevano deciso di avviare negoziati per un accordo commerciale bilaterale, il cosiddetto Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP). L’accordo proposto non è destinato solo a ridurre le tariffe tra i due maggiori blocchi commerciali dell’economia mondiale, ma il suo scopo primario è quello di smantellare e/o armonizzare le normative in settori quali l’agricoltura, la sicurezza alimentare, gli standard tecnici dei prodotti, i servizi finanziari, la protezione dei diritti di proprietà intellettuale e gli appalti pubblici. Questione centrale sarà anche la liberalizzazione e la protezione degli investimenti. La Commissione europea, sulla base di studi prodotti, sostiene che l’accordo promuoverà la crescita e l’occupazione nell’Unione europea. Gli effetti economici del TTIP sono, tuttavia, insignificanti. I guadagni in termini di reddito sono stimati a meno dell’1% del PIL dell’UE e saranno realizzati gradualmente nel corso di un decennio. L’aumento dei costi in termini di disoccupazione e dell’adattamento alla liberalizzazione del commercio sono sottovalutati o trascurati del tutto. La deregolamentazione prevista dall’accordo commerciale minaccia la salute pubblica, i diritti del lavoro e la tutela dei consumatori. La soluzione proposta per regolare le controversia investitore-Stato privilegia i diritti degli investitori a scapito dell’autonomia della politica pubblica. Il TTIP non è altro che un attacco frontale al processo decisionale democratico nell’UE. Sono urgenti delle necessarie e profonde revisioni nell’agenda dei negoziati. Al momento, è molto dubbio se l’accordo commerciale produrrà dei benefici netti, economici e sociali, per i cittadini europei. Una valutazione dell’impatto globale attraverso dettagliati studi sulle molte questioni critiche e una rottura radicale con la mancanza di trasparenza che le caratterizza sono i primi passi essenziali per il necessario dibattito democratico sul TTIP.

Traduzione della sintesi del Rapporto 2014 di Euromemorandum a cura di sbilanciamoci.info

Qui il rapporto integrale:


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