Angela Merkel, atto terzo
Pubblicato il 17 dic 2013
di Jacopo Rosatelli – il manifesto
Angela Merkel, atto terzo. Oggi la leader dell’Unione cristiano-democratica (Cdu) si presenta di fronte al Bundestag, la camera dei deputati tedesca, per essere nuovamente investita cancelliera della Repubblica federale di Germania. Accade per la terza volta: nel 2005 era alla guida di un governo di grosse Koalition, quattro anni dopo a capo di un’alleanza con i liberali (Fdp), e ora di nuovo «grande coalizione» con il partito socialdemocratico (Spd), ma a condizioni molto diverse dalle precedenti. Al suo debutto da cancelliera, Merkel veniva da una non-vittoria «alla Bersani»: partita con il vento in poppa nei sondaggi, perse terreno in modo clamoroso nel corso della campagna elettorale e arrivò al punto di farsi superare da una Spd condotta da Gerhard Schröder.
Ora il divario fra i due partiti è di enormi dimensioni: 16 punti di distacco alle elezioni dello scorso settembre, con la Cdu-Csu tornata alle cifre sopra il 40% dei tempi gloriosi di Helmut Kohl, mentore politico della cancelliera. La prima donna alla guida del governo tedesco è ora una leader molto popolare fra i cittadini, rispettata e temuta dagli avversari, detentrice del controllo assoluto del partito di cui è l’indiscutibile capo. E soprattutto la Merkel di oggi ha in mano il pallino del gioco della politica tedesca. Se la base della Spd avesse detto di no all’accordo con lei, si sarebbe potuta tranquillamente rivolgere ai Verdi per formare una coalizione di governo: operazione resa più facile dal fatto che nel Land dell’Assia i democristiani sono in trattativa proprio con gli ecologisti per dare vita al nuovo esecutivo regionale.
Mentre la Cdu può praticare la cosiddetta «politica dei due (o addirittura dei tre) forni» di andreottiana memoria, i socialdemocratici hanno margini di manovra inferiori, perché si sono sino ad ora ostinatamente rifiutati di prendere in considerazione l’ipotesi di formare un’alleanza tripartita con i Verdi e la Linke. La chiusura nei confronti di quest’ultima forza sta venendo lentamente meno, ma di acqua sotto i ponti dovrà ancora passarne molta prima di una vera e propria normalizzazione delle relazioni a sinistra. Nel frattempo, le linee fondamentali della politica economica di Berlino rimarranno le stesse, nonostante l’esistenza di una maggioranza numerica Spd-Verdi-Linke già nell’attuale parlamento.
Fra i banchi del governo che si presenta oggi al Bundestag siederanno pure molti socialdemocratici (6 su 16), ma quel che conta è che il ministro delle finanze sia rimasto il veterano democristiano Wolfgang Schäuble. Colui che, negli scorsi quattro anni, ha gestito i dossier più importanti nei vertici di Bruxelles continuerà nel posto-chiave da cui dipendono quasi tutte le decisioni sulle spese, in Germania e in Europa. Inoltre, come sottolineato dalla direttrice del quotidiano progressista die taz, Ines Pohl, la nomina per la prima volta di una donna a ministro della difesa, la democristiana Ursula von der Leyen, aiuta Merkel a rafforzare la propria immagine di (presunta) «modernizzatrice»: una delle ragioni che spiegano il suo successo presso fasce di elettorato moderatamente progressista. La contro-mossa della Spd è stata la scelta di Aydan Özoguz, dirigente socialdemocratica di origine turca, per ricoprire il ruolo di Segretaria di stato all’integrazione: è il debutto di un tedesco con origini straniere in un ruolo di governo.
La legislatura che di fatto comincia oggi vede il perimetro delle opposizioni ridotto ai minimi termini: meno del 25% della camera. A contrastare la grosse Koalition solo i Verdi e la Linke. E proprio quest’ultima formazione nei giorni scorsi ha presentato il programma con il quale si presenterà di fronte agli elettori tedeschi alle prossime europee: una sorta di contro-programma di governo su scala continentale. Fra i punti principali: un reddito minimo garantito pari al 60% del reddito medio in ciascun paese; un livello minimo comune di tassazione dei profitti d’impresa; la possibilità di concessione di crediti da parte della Bce direttamente agli Stati; i pacchetti di aiuti vincolati a memorandum sociali (il contrario delle riforme richieste ora); l’umanizzazione della politica verso i migranti attraverso l’abolizione dell’agenzia Frontex. Decisamente un’altra musica rispetto a quella suonata da Merkel e soci.
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