Cile: Bachelet di nuovo alla prova

Cile: Bachelet di nuovo alla prova

di Marco Consolo, responsabile PRC America Latina – La ex-presidente Michelle Bachelet vince senza sorprese  (62,16 %) e nella corsa alla presidenza lascia dietro di sè Evelyn Matthei (32,87 %),  l’impresentabile candidata della destra nostalgica,  con una differenza di quasi un milione e mezzo di  voti.

Ieri, nel secondo turno delle elezioni presidenziali, la candidata della coalizione di centro-sinistra “Nueva Mayorìa”  ha ottenuto quasi tre milioni e mezzo di voti, superando il consenso ottenuto al primo turno, mentre l’astensionismo questa volta è arrivato quasi al 58% (9 punti in più).  Di certo,  il voto volontario, introdotto dal governo di destra, è servito a depotenziare l’inclusione automatica nelle liste elettorali e non ha favorito la partecipazione elettorale. Ma come sempre l’astensionismo ha molti motivi ed è refrattario ad un’analisi sistematica.

Alla fine, non ci sono stati i “miracoli” invocati dalla Matthei nella sua chiusura di campagna con un discorso rivolto alla classe media, ed ai settori cattolici ed evangelici (questi ultimi molto presenti nel Paese). “Ci vogliono far diventare come il Venezuela, dove si fanno le file perchè non c’è da mangiare” ha detto la Matthei.  “Vi ricorda qualcosa ?”, ha continuato l’ammiratrice di Pinochet, evocando lo spettro della guerra economica contro il socialista Salvador Allende nei mesi prima del golpe. Ma nonostante i consigli degli “spin doctors” per ripulire la sua immagine, i falsi sorrisi e le finte buone maniere non sono riusciti a sedurre l’elettorato. Viceversa l’aspetto umano e simpatico della Bachelet ha avuto un peso nella campagna e nella sua vittoria. Ma sono le promesse di riforme democratiche quelle che hanno spostato la bilancia a suo favore.

 

La nuova presidente si insedierà il prossimo marzo e l’attuale governo di Sebastiàn Piñera sta accelerando l’iter parlamentare di diverse leggi (tra cui quella elettorale) per approvarle prima di lasciare il palazzo de La Moneda.  A proposito di “palazzi”,  la destra ne ha approfondito la distanza dalle strade, la lontananza  tra la politica tradizionale e le aspirazioni di cambiamento  al centro delle mobilitazioni degli ultimi anni.  Non c’è dubbio che senza i movimenti sociali (in primo luogo degli studenti, ma anche dei  lavoratori, e dei settori ambientalisti)  non ci sarebbe stata questa vittoria.  Ed oggi i vincitori parlano della necessità di “ascoltare i cittadini”, mentre i movimenti per il momento dichiarano di non essere disposti a fare sconti al nuovo governo.

 

IL CILE CAMBIERA’ DAVVERO ?

Con queste elezioni si apre una fase nuova nella politica cilena. C’è chi parla di un momento storico vincendo il proprio scetticismo.  Ma la domanda di fondo che percorre tutta la società è se davvero cambierà qualcosa in questo sistema così ben ingessato. Prima  dai  17 anni di dittatura civico-militare che ha imposto il modello neo-liberista “a sangue e fuoco”. Poi dal ventennio  di centro-sinistra che lo ha “migliorato” e ha realizzato la modernizzazione capitalista in salsa “agrodolce”. Infine dagli ultimi quattro anni di gestione pragmatica (ed inefficiente) da parte della destra, andata al governo grazie al voto castigo contro il centro-sinistra.

Al di là della risicata maggioranza istituzionale, ci saranno la volontà politica, il sufficiente appoggio ed i numeri  parlamentari per le riforme ? Fino a che punto peserà la probabile presenza dentro il governo del Partito Comunista ?  E i movimenti sociali saranno in grado di fare sentire la loro voce e di incidere nelle decisioni di governo ?

Di certo la candidatura della Bachelet ha avuto un forte consenso trasversale, dentro e fuori dal Paese.  Molti settori impresariali interni  ed internazionali hanno espresso  il loro appoggio (o la loro indifferenza). Insieme a loro i partiti politici tradizionali (la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, il Partito per la Democrazia e i radicali), a cui si è aggiunto per la prima volta anche il Partito Comunista.

Il programma di governo della Nueva Mayoria ha tre punti cardine:  riforma tributaria, riforma dell’educazione e soprattutto riforma della costituzione ereditata dall’epoca di Pinochet.  Quanto basta a spaventare la destra che vede le riforme come una minaccia, mentre  la sinistra della coalizione le considera un passo in avanti, anche se chiaramente insufficienti.

Il Partito Comunista ancora non ha deciso se andrà o meno al governo, e riunirà i suoi organismi dirigenti tra qualche giorno. Al suo interno c’è comunque consenso sulla partecipazione,  percepita come il possibile epilogo dell’esclusione anti-comunista iniziata con il golpe e la dittatura. Restano da definirne le modalità.

La Central Unitaria de Trabajadores (CUT), la principale centrale sindacale cilena, ha dichiarato il suo appoggio al governo solo dopo il primo turno. C’è chi dice che, così facendo, abbia comunque ipotecato la sua autonomia rispetto al governo.  La CUT risponde dichiarando la volontà di saldare il debito sociale forse più importante, quello con i lavoratori. In Cile, infatti, è ancora in vigore di fatto il Codice del Lavoro pinochetista  che limita fortemente l’organizzazione sindacale, nega in concreto il diritto di sciopero e pregiudica la firma di contratti collettivi.  Gli abusi nei posti di lavoro sono la regola ed i salari in molti settori sono sotto il livello della sopravvivenza. Il “miracolo economico” cileno è fatto quindi di bassi salari, mancanza di diritti ed indebitamento di massa (70% della popolazione).

La promessa riforma tributaria che dovrebbe appesantire il carico fiscale sulle grandi imprese e su chi ha di più, alleggerendo la pressione nei confronti dei lavoratori,  permetterebbe entrate addizionali per aumentare salari e pensioni da fame.  Se Bachelet ha parlato di “fine del lucro” nel sistema educativo,  sul versante del sistema pensionistico e di quello della salute (entrambi pesantemente privatizzati) sono ancora incerte le misure che prenderà la nuova presidente.

 

LA “MADRE DI TUTTE LE RIFORME”

Ma la “madre di tutte le riforme” è quella della Costituzione,  ereditata dall’epoca di Pinochet. Ieri sera nel suo discorso in strada, durante i festeggiamenti nell’Alameda, la Bachelet ha parlato di “una nuova Costituzione, nata in democrazia, che assicuri più diritti e garantisca in futuro che la maggioranza non possa essere azzittita da una minoranza. Un patto sociale nuovo, moderno  e rinnovato di cui ha bisogno il Cile”. Ma c’è un piccolo dettaglio: mancano i voti in Parlamento  a causa alle altissime maggioranze necessarie, imposte dalla attuale costituzione. Gioco forza la Presidente dovrà cercare di guadagnare consensi anche nelle file della destra.  Cambiare la costituzione non sarà semplice, ma già ci sono alcuni spiragli in questo senso e qualche possibile appoggio. In questi mesi i giuristi della “Nueva Mayorìa” hanno lavorato per trovare i grimaldelli necessari a scardinare l’architettura istituzionale disegnata dal fascismo. Probabilmente si farà ricorso congiuntamente all’iniziativa del governo, del parlamento  ed alla mobilitazione nelle piazze. E’ forse la unica maniera di portare a casa il risultato.

La destra esce duramente sconfitta da queste elezioni, con profonde divisioni interne ed al suo interno già si è aperta la resa dei conti. Quella che lo stesso Sebastian Piñera ha chiamato la “notte dei lunghi coltelli”. Dopo un solo mandato dalla fine della dittatura, la scommessa di rinnovamento della destra con l’elezione del “moderato ed indipendente”  Piñera, non ha portato a grandi consensi. Viceversa l’anima dura pinochetista della Uniòn Democratica Independiente (UDI) affila le armi rivendicando un protagonismo che le è dovuto, per essersi confermata come primo partito in voti. Con questa ultima sconfitta, si aprono scenari imprevedibili nella ridefinizione degli assetti della destra.

Parlando di destra e di estrema destra, anche per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani c’è molto da fare. L’anniversario dei  40 anni del golpe ha scosso l’aria, fino ad oggi quasi immobile. Quella che permetteva e permette che all’angolo della strada o nel supermercato si incontrino i carnefici e le vittime, o di trovare in qualche clinica privata i medici torturatori della dittatura. Quella che ha garantito una quasi totale impunità ai responsabili di crimini di lesa umanità che tuttora ricoprono cariche importanti ed alzano la voce minacciando. Sono militari attivi ed in pensione, insieme a qualche  industriale,  che proprio in questi giorni si sono fatti risentire, mentre le vittime aspettano giustizia. Non ci sono più nè scuse, nè giustificazioni che tengono.

Su tutti i versanti l’aria che si respira è carica di aspettativa e si aspetta al varco il nuovo governo.  Non c’è dubbio che la prossima presidente dovrà marcare una discontinuità netta sia con gli ultimi 4 anni di Piñera, sia soprattutto con la gestione neo-liberista del centro-sinistra del ventennio post-dittatura.

La sfida che ha davanti Bachelet è quella di mantenere gli equilibri politici interni alla coalizione, e mantenere un dialogo aperto con i movimenti sociali, soprattutto con gli studenti ed il movimento sindacale.  Dopo 4 anni di governo delle destre (sia moderata, che pinochetista) il giro a sinistra con la “Nueva mayoria” e l’inclusione dei comunisti ha la sua ragion d’essere se lascia dietro di sè il ricordo della vecchia coalizione  di centro sinistra, e la sequela di corruttele della  “Concertaciòn”.

DUE MONDI A CONFRONTO

 

Anche sul  piano internazionale  non sarà semplice.

Innanzitutto a causa della crisi economica e della contrazione della domanda globale di molti beni. Nel caso cileno spicca in particolare il rame, prodotto principale di esportazione, assorbito in gran parte dalla Cina, che resta il primo partner commerciale del Paese.

Fatta salva la visione “bi-partisan” sull’importanza di mantenere e rafforzare le relazioni commerciali con il continente asiatico, sul versante dei rapporti internazionali del Cile si scontrano due visioni. Da una parte quella che privilegia la “Alianza del Pacifico” composta dalla destra continentale (Messico, Colombia, Perù in primo luogo) con la benedizione degli Stati Uniti. Dall’altra quella  dell’integrazione regionale,  nel solco del nuovo corso latino-americano con  una ritrovata autonomia dal gigante del Nord.

Nella regione, il Cile dovrà ridare ossigeno ai rapporti raffreddati dal governo della destra di Piñera. Bachelet ha gioco facile con il Brasile di Dilma e con l’Uruguay (il rapporto con il probabile futuro presidente Tabarè Vasquez è molto stretto), ma anche con l’Ecuador e l’Argentina. Per quanto riguarda il Venezuela di Maduro, dovrà vedersela con le contraddizioni interne alla sua coalizione, in particolare con l’ala destra della DC e dello stesso Partito Socialista che vedono con il fumo negli occhi l’esperienza bolivariana e che, solo pochi mesi fa, hanno ricevuto l’oppositore Henrique Capriles.

Altro tema  decisivo  sarà il verdetto del tribunale internazionale de La Haya sia per quanto riguarda il Perù, che la Bolivia, per annose dispute territoriali e marittime. Entrambe di non poco conto.  La Haya ha già comunicato che nel caso peruano il verdetto sarà a gennaio. E la Bolivia di Evo Morales, stanca di negoziati bilaterali che non hanno portato a nulla a causa della intransigenza cilena, ha portato il Cile davanti alla Corte per cercare di risolvere il tema dello sbocco al mare. Nel frattempo ha praticamente smesso di utilizzare i porti cileni a vantaggio di quelli peruani.

C’è molta aspettativa sul responso de La Haya e le prime pagine dei giornali strillano titoli a tinte forti. Riaffiora prepotente il nazionalismo, alimentato prima dalla dittatura per difendersi dall’isolamento internazionale, e poi anche dal centro-sinistra per riscattare l’orgoglio nazionale post-dittatura. E purtroppo la xenofobia inizia a trasparire nella società, in particolare contro boliviani, peruani, e colombiani.  Sono i nuovi migranti che cercano opportunità nel “miracolo economico”, a fianco del popolo cileno. Un popolo fiero che ha sofferto molto, ma non si è mai piegato e che oggi affronta il pericolo della “guerra tra poveri”.

In questa lunga fascia di terra alla fine del mondo, stretta tra l’oceano e la cordigliera delle Ande,  non sarà facile cambiare passo. Ma come ha ricordato proprio ieri la neo-presidente Bachelet davanti alla folla festante  “quando mai è stato facile cambiare il mondo ?”.


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