Foxconn all’assalto dell’Europa

Foxconn all’assalto dell’Europa

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Tra Repubblica Ceca e Turchia, l’azienda taiwanese cerca di replicare il «modello cinese»: forza lavoro a basso costo e non sindacalizzata, infrastrutture e sostegno dello Stato

«Ci sono set­ti­mane in cui lavoro anche 62 ore, poi altre set­ti­mane lavoro 30 ore. Diciamo che vai da un minimo di tre giorni alla set­ti­mana fino a sei giorni a set­ti­mana. Così è impos­si­bile pro­gram­mare la tua vita pri­vata». Verda è uno dei circa 350 occu­pati dello sta­bi­li­mento turco avviato tre anni fa dalla Fox­conn. Per quanto pro­duca per conto dei prin­ci­pali mar­chi di elet­tro­nica quali Apple, Hewlett&Packard, Sony, Chi­mei, Inno­lux, la mul­ti­na­zio­nale tai­wa­nese rimane ancora poco nota al grande pub­blico. Scal­pore ave­vano fatto qual­che anno fa i sui­cidi di quasi venti ope­rai cinesi che in pochi mesi si erano tolti la vita get­tan­dosi dai tetti dei dor­mi­tori a causa di ritmi di lavoro este­nuanti e del duro sistema di fab­brica. Que­sto arti­colo è frutto di un lavoro di ricerca ini­ziato nella Repub­blica Ceca che mira ad ana­liz­zare e com­pa­rare le pra­ti­che lavo­ra­tive e mana­ge­riali della Fox­conn in Europa e in Cina.

Una zona libera dalle tasse

Nello sta­bi­li­mento di Corlu, Tur­chia occi­den­tale, la Fox­conn pro­duce com­pu­ter da tavolo in esclu­siva per la Hewlett&Packard, all’interno dell’Euro­pean Free Zone, a pochi chi­lo­me­tri dal «Cor­ri­doio paneu­ro­peo n. 4», la prin­ci­pale arte­ria stra­dale che col­lega Istan­bul con la Bul­ga­ria, la Gre­cia e l’Europa cen­trale. Aperta nel 1999, la zona spe­ciale con­tiene 150 imprese per una mano­do­pera di circa 3500 per­sone in un’ area recin­tata e con­trol­lata. In Tur­chia que­sti spazi di ecce­zione, in cui l’unica forma di vita è il lavoro, sono una ven­tina e ospi­tano 4000 imprese con una forza lavoro di circa 51 mila per­sone. Gli inve­sti­tori pos­sono bene­fi­ciare di age­vo­la­zioni tra cui l’ esen­zione totale dell’Iva e delle tasse sia sui pro­fitti sia sui salari, nel caso almeno l’85% della pro­du­zione sia espor­tata. Come afferma Esen, ex mana­ger licen­ziato in tronco qual­che mese fa: «se non pagano le tasse sui salari, hanno un costo del lavoro che è quasi uguale a quello cinese». In effetti, per i soli salari il rispar­mio della Fox­conn si aggira intorno ai 300 mila euro all’anno.
La scelta di pro­durre alle porte dell’Europa non è con­nessa solo al costo del lavoro, come ebbe a dire qual­che anno fa Jim Chang, il numero due della com­pa­gnia e prin­ci­pale respon­sa­bile delle ope­ra­zioni in Europa: «tempo e distanza sono cru­ciali per la com­pe­ti­ti­vità». La rete pro­dut­tiva glo­bale della Fox­conn si espande moni­to­rando diversi ele­menti: abbon­dante forza lavoro a basso costo e non sin­da­ca­liz­zata, vici­nanza ai clienti, buone infra­strut­ture e una mac­china sta­tale di soste­gno. Lo sta­bi­li­mento turco costi­tui­sce una testa di ponte nella stra­te­gia di avvi­ci­na­mento ai mer­cati di sbocco, insieme agli altri quat­tro siti pro­dut­tivi della Fox­conn in «Europa»: due nella Repub­blica Ceca, e uno in Slo­vac­chia e Rus­sia. La fab­brica di Par­du­bice, nella Repub­blica Ceca, è il polo cen­trale per l’Europa che batte il tempo della pro­du­zione negli altri sta­bi­li­menti euro­pei. Ogni sito pro­dut­tivo serve mer­cati diversi, così se gli sta­bi­li­menti all’interno dell’Ue rifor­ni­scono i clienti euro­pei, quello turco sod­di­sfa oltre alle esi­genze locali, quelle dei clienti medio-orientali e nord-africani.
A Corlu la com­po­si­zione della mano­do­pera è omo­ge­nea e con­si­ste di donne e uomini dai 25 ai 45 anni assunti con un con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato. L’unica ecce­zione è l’elevata quota di «turchi-bulgari», giunti pre­va­len­te­mente nel 1989 in fuga dalle puli­zie etni­che del régime comu­ni­sta nei suoi ultimi mesi di vita. Non si distin­guono però gran­ché dalla forza lavoro locale, seb­bene alcuni godendo del dop­pio pas­sa­porto, stiano pen­sando di [/ACM_2]tor­nare nell’Ue: «Fino a cin­que anni fa pen­savo che non sarei più tor­nato in Bul­ga­ria, ma ora la situa­zione finan­zia­ria è cam­biata e anche se le con­di­zioni di lavoro non sono molto migliori di qua, è pos­si­bile vivere una vita con­for­te­vole», ci rac­conta Metin. La logi­stica e la mobi­lità non è una que­stione che riguarda solo le mul­ti­na­zio­nali, ma anche gli indi­vi­dui. Tut­ta­via lo spa­tial­fix della forza lavoro deve fare i conti con lo stigma del suo pas­sa­porto. Il veloce svi­luppo indu­striale dell’area di Corlu ha per­messo alla Fox­conn di usare mano­do­pera già adde­strata al lavoro di fab­brica e attratta dagli sta­bi­li­menti di elet­tro­nica, con­si­de­rati sovente tec­no­lo­gi­ca­mente avan­zati e con un ambiente di lavoro migliore, rispetto al tes­sile e al mec­ca­nico. Com­plice la crisi eco­no­mica, la pre­vi­sione della Fox­conn di rapida cre­scita fino a 2000 occu­pati è stata per ora accan­to­nata, per con­ti­nuare a pro­durre in un capan­none preso in affitto.

Robot umani

Le assun­zioni avven­gono attra­verso canali sia infor­mali sia for­mali. Nel corso degli ultimi due anni l’azienda si è avvalsa di alcuni pro­grammi sta­tali: il primo pre­vede un tiro­ci­nio di stu­denti delle scuole medie supe­riori; il secondo basato sul pro­getto Umem, finan­ziato dallo stato attra­verso i locali cen­tri per l’impiego (Iskur), è un appren­di­stato per i disoc­cu­pati. Le espe­rienze sono le mede­sime poi­ché il periodo di for­ma­zione è ridotto a poche ore, finite le quali si viene col­lo­cati in pro­du­zione dove le man­sioni sono facili da impa­rare. Se l’azienda ospita solo una man­ciata di stu­denti ogni anno, ben più cor­posa è la pat­tu­glia degli appren­di­sti che ven­gono sele­zio­nati negli uffici dell’Iskurdirettamente da per­so­nale della Fox­conn. L’apprendistato di 264 ore dura circa 9 set­ti­mane: nel solo mese di giu­gno 2012 l’azienda ha accolto 50 appren­di­sti pagati dallo stato dai 7,5 ai 9,3 euro al giorno per otto ore di lavoro. Que­ste moda­lità per­met­tono all’azienda sia un reclu­ta­mento più ocu­lato sia un abbas­sa­mento del costo del lavoro, come rac­conta una di que­ste appren­di­ste: «ho fatto un col­lo­quio con i mana­ger e mi hanno detto che mi avreb­bero assunto, ma prima dovevo fare il corso di appren­di­stato. Ho fatto que­sti due mesi in cui venivo pagato 20 lire tur­che (7,5 euro) al giorno per 10 ore al giorno; finito il corso, mi hanno assunto». Al ter­mine del periodo appren­di­sti e tiro­ci­nanti dovreb­bero essere assunti, ma più di qual­cuno scappa prima.
All’interno della fab­brica, le ope­ra­zioni lavo­ra­tive sono abba­stanza ana­lo­ghe a quanto accade negli altri sta­bi­li­menti della Fox­conn. Il lavoro è «sem­plice ma molto stres­sante» rac­conta Nis­san: «i mana­ger si pre­oc­cu­pano solo di rag­giun­gere il tar­get e ci trat­tano come robot, dimen­ti­can­dosi che siamo degli esseri umani». In effetti, gli obiet­tivi pro­dut­tivi sono pres­santi e costan­te­mente moni­to­rati: le due linee di pro­du­zione assem­blano nelle ven­ti­quat­tro ore circa 5000 com­pu­ter con una cadenza ora­ria di 110–115 com­pu­ter. Le sol­le­ci­ta­zioni del mana­ge­ment per rag­giun­gere que­sti tar­get ricor­rono al pra­ti­che usuali: com­pe­ti­zione tra le due linee di assem­blag­gio e tra lavo­ra­tori, bonus pari a circa il 10% del sala­rio per chi rag­giunge il tar­get, uso di gio­vani lavo­ra­tori ine­sperti. La divi­sione gerar­chica corre lungo la linea del genere e la diri­genza è in lar­ghis­sima mag­gio­ranza com­po­sto da uomini; tut­ta­via i cam­bia­menti in atto nella società turca non sem­brano con­sen­tire una gestione basata esclu­si­va­mente sul patriar­cato più rea­zio­na­rio.
Lavo­ra­trici e lavo­ra­tori si alter­nano in turni set­ti­ma­nali tra gior­na­liero e not­turno sulla base di un sistema ora­rio simile a quanto accade negli altri sta­bi­li­menti dell’azienda in Europa e in Cina: si lavora dalle 10 alle 12 ore al giorno per cin­que o sei giorni alla set­ti­mana, ma tal­volta meno se non serve. Alle lun­ghe ore di fab­brica i lavo­ra­tori aggiun­gono quelli del tra­sporto, da venti a ses­santa minuti, effet­tuato da una decina di auto­bus messi a dispo­si­zione dall’azienda. La com­pres­sione del tempo di riposo è accen­tuata dalle richie­ste azien­dali di rispon­dere in tempi rapi­dis­simi alle neces­sità pro­dut­tive. D’altra parte il nome Fox-conn allude all’abilità dell’azienda di pro­durre con­net­tori elet­tro­nici con una rapi­dità para­go­na­bile all’agilità della volpe. Le rica­dute sui lavo­ra­tori sono piut­to­sto evi­denti, come afferma Metin: «ci man­dano un sms alle sei di ogni pome­rig­gio per dirci se ini­zie­remo a lavo­rare alle otto oppure alle dieci dello stesso giorno. Que­sta incer­tezza nei turni è un motivo di liti­gio con­ti­nuo con mia moglie». La varia­bi­lità degli orari di lavoro è rara­mente ricom­pen­sata dal punto di vista mone­ta­rio, per­ché è suf­fi­ciente che nell’arco di due mesi, si siano svolte in media 45 ore a set­ti­mana, cioè quanto pre­vi­sto dall’attuale legi­sla­zione turca. La fles­si­bi­lità interna non è meno pres­sante e la mano­do­pera è col­lo­cata in man­sioni e reparti diversi sulla base delle esi­genze imme­diate. Le paghe per chi sta alla linea di assem­blag­gio si col­lo­cano poco sopra il livello del sala­rio minimo sta­bi­lito dal governo, 300–350 euro, che viene perio­di­ca­mente aggior­nato, esi­stendo in Tur­chia un unico livello reale di con­trat­ta­zione, quello azien­dale, là dove la fab­brica è sin­da­ca­liz­zata. I salari dei group lea­der, cioè dei capi linea, non si disco­stano molto da quello degli ope­rai, aggi­ran­dosi intorno ai 380–420 euro al mese; gli sti­pendi delle altre figure pro­fes­sio­nali cre­scono poi len­ta­mente sulla base della scala gerarchica.

Il sin­da­cato alla porta

Il punto cen­trale per gli ope­rai della Fox­conn è la que­stione sin­da­cale. La legge 6356 appro­vata alla fine del 2012 sulla con­trat­ta­zione col­let­tiva non ha miglio­rato la situa­zione: se prima per iscri­versi occor­reva recarsi presso uno stu­dio nota­rile, ora il lavo­ra­tore deve obbli­ga­to­ria­mente regi­strarsi in un sito gestito dallo Stato. Il governo può posporre ogni tipo di scio­pero per ragioni di sicu­rezza nazio­nale o di salute pub­blica. Per quanto qual­che osta­colo sia stato rimosso, anche la con­trat­ta­zione col­let­tiva rimane un per­corso tor­tuoso poi­ché è pos­si­bile solo dove almeno la metà più uno – o in alcuni casi il 40% — dei dipen­denti di un’azienda siano iscritti al sin­da­cato. Per que­sto gli ope­rai tur­chi distin­guono le imprese sin­da­ca­liz­zate da quelle non sin­da­ca­liz­zate. Tut­ta­via il respon­sa­bile della sezione della «Tur­kish Metal» di Corlu ritiene che il pro­cesso di sin­da­ca­liz­za­zione non vada per­se­guito con par­ti­co­lare fer­vore: «pre­fe­riamo aspet­tare che siano i lavo­ra­tori a recarsi al sin­da­cato. Noi non spin­giamo i lavo­ra­tori a iscri­versi». Nel 2009 vi erano solo 1,26 milioni di lavo­ra­tori iscritti al sin­da­cato su circa 22–23 milioni di occu­pati. Eppure la Fox­conn non sot­to­va­luta la pre­senza sin­da­cale anche per­ché nella stessa Free Zone è vivida l’esperienza della fab­brica coreana Daiyang dove gli ope­rai attra­verso un duris­simo con­flitto hanno cer­cato di sin­da­ca­liz­zarsi. Nei primi mesi di atti­vità la Fox­conn aveva assunto anche del per­so­nale iscritto al sin­da­cato. Una svi­sta a cui il mana­ge­ment ha velo­ce­mente posto rime­dio sol­le­ci­tando il ritiro della delega: «i mana­ger hanno por­tato il notaio in fab­brica per far fir­mare loro la rinun­cia all’iscrizione. E tutti hanno fir­mato per­ché altri­menti li licen­zia­vano», dice Talat.

Il tur­bine del turnover

La per­dita del posto di lavoro non viene tut­ta­via vis­suta come una scia­gura dagli ope­rai, data anche l’ampia dispo­ni­bi­lità di lavoro indu­striale nell’area. Anche chi come Demir par­teg­gia espli­ci­ta­mente per il mana­ge­ment non crede molto alla filo­so­fia azien­dale della Fox­conn: «Non mi sento di far parte di una grande fami­glia, la Fox­conn mira solo al pro­fitto». In effetti per essere una grande fami­glia, l’impresa tai­wa­nese con­ti­nua a regi­strare un tur­no­ver lavo­ra­tivo ecces­sivo, il 20–30% annuo, in par­ti­co­lare tra gli ope­rai. L’avvicendamento del per­so­nale è un tur­bine sia per­ché il licen­zia­mento su due piedi è dif­fuso sia per­ché le per­sone pre­fe­ri­scono cer­care lavoro altrove.
Il rapido svi­luppo eco­no­mico turco dell’ultimo decen­nio, soste­nuto in buona misura dagli inve­sti­tori stra­nieri, non ha ancora por­tato par­ti­co­lari bene­fici alla con­di­zione ope­raia. Il males­sere che cova sotto le ceneri di un appa­rente benes­sere eco­no­mico è evi­dente e le mani­fe­sta­zioni con­tro il governo in giu­gno e set­tem­bre hanno rac­colto nelle città vicine allo sta­bi­li­mento una rela­tiva par­te­ci­pa­zione. Una parte dei lavo­ra­tori, anche dell’impresa tai­wa­nese, ha par­te­ci­pato diret­ta­mente, o ha soste­nuto i figli nella loro scelta di scen­dere in piazza, ma, come Oktay ci ricorda, è all’interno dei luo­ghi di lavoro che rimane com­pli­cato orga­niz­zarsi: «In fab­brica gli ope­rai con­ti­nuano a par­lare delle mani­fe­sta­zioni con­tro il governo e la mag­gior parte è favo­re­vole. Non capi­scono però che dovreb­bero pro­te­stare a par­tire dalle loro con­di­zioni di lavoro in fab­brica». Tut­ta­via, men­tre in Cina dopo i sui­cidi e le pro­te­ste da parte degli ope­rai l’azienda è stata costretta all’inizio del 2013 ad aprire, almeno for­mal­mente, alla pre­senza sin­da­cale, alle porte dell’Europa essa sem­bra inten­zio­nata a man­te­nere l’accesso al pro­prio sta­bi­li­mento riser­vato al business.

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