“La sentenza Fiat lascia nodi aperti”
Pubblicato il 11 dic 2013
di Antonio Sciotto – il manifesto
La sentenza della Consulta è arrivata ormai 5 mesi fa (era il 3 luglio), ma questo non significa che il problema della rappresentanza sindacale nella Fiat – e più in generale nel mondo del lavoro italiano – non sia ancora aperto. Anzi: se la Fiom si è vista obiettivamente riconoscere il diritto ad avere rappresentanti, dall’altro lato la nuova versione dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, così come è stato riscritto dalla sentenza, «lascia ancora ampio spazio alla discrezionalità dei giudici: e per evitare contrasti servirebbe una legge». Il virgolettato è di Rita Sanlorenzo, magistrato della Corte di Appello di Torino, già segretario di Magistratura democratica. Insieme ad altri giuslavoristi, Sanlorenzo parteciperà domani a una tavola rotonda sulla sentenza e i suoi sviluppi, che si terrà nella sede della Corte di Cassazione.
Che valore ha avuto la sentenza?
Senza enfasi, la decisione della Consulta si può definire storica. E ha sbloccato un vuoto legislativo che il referendum del 1995 aveva generato. La vicenda è nota: Fiat, uscita da Confindustria, ha preteso di stipulare un contratto valido solo nei suoi stabilimenti. Alcuni sindacati hanno firmato, mentre altri, come la Fiom, si sono rifiutati. A seguito di questo rifiuto la Fiat, invocando l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, nel testo così come era stato modificato dal referendum, ha negato alla Fiom di costituire proprie Rappresentanze aziendali, in quanto non firmataria dell’accordo, compromettendo così il suo diritto a godere delle tutele sindacali rafforzate ad esse connesse: le assemblee, i permessi, le aspettative.
Quindi sono partite le cause.
La Fiom ha portato la Fiat davanti al giudice, in diverse sedi. Alcuni magistrati, nelle loro sentenze, hanno dato risalto al dato testuale dell’articolo 19, respingendo le richieste del sindacato. Altri hanno voluto dare alla norma un’interpretazione che ne superasse la lettera, in nome del rispetto del principio costituzionale di democrazia sindacale. Infine tre giudici, a Modena, Torino e Vercelli, hanno sospeso il giudizio e chiesto un pronunciamento della Corte costituzionale.
La Corte ha dato ragione alla Fiom.
La Consulta, nella sua sentenza, ha spiegato che dal testo dell’articolo 19 non poteva trarsi il diritto che la Fiom rivendicava, ma che questo per rispetto alla Costituzione doveva essere affermato per via di una «sentenza additiva», con cui cioè si aggiunge alla legge ciò che vi deve essere contenuto perché essa sia conforme a Costituzione. Si è sancito che il diritto alla rappresentanza spetta anche al sindacato che che partecipa alle trattative, anche se alla fine non firma l’accordo. Questo perché, scrive la Corte, la precedente versione dell’articolo 19 si traduceva in «una forma impropria di sanzione del dissenso, che innegabilmente incide sulla libertà del sindacato». Insomma: un sindacato può continuare a operare come tale anche se dissente dalle scelte delle altre organizzazioni, perché il diritto al dissenso è un cardine imprescindibile della libertà sindacale, libertà tutelata dalla Costituzione.
Quindi è tutto risolto?
Il principio sancito è molto importante, ma la sentenza lascia ampia discrezionalità ai giudici nei processi. Per capirci: si apre il problema di stabilire quali siano i requisiti minimi di «partecipazione alle trattative». Partecipa chi siede almeno al primo incontro? Chi segue tutto lo sviluppo del negoziato, fino alla fine, anche se poi non firma? Bisogna per forza aver presentato almeno una propria piattaforma, o aver assunto posizioni evidenti di lotta? Quale deve essere la dimensione dei rappresentati? Tutti problemi che – insieme a quello più generale della misura della rappresentatività – pongono sul tavolo con urgenza il tema dell’intervento della legge, come d’altra parte auspicato espressamente dalla Corte nella sua sentenza.
Come dovrebbe essere la legge?
Credo sia difficile al momento che si faccia una legge, non solo per il quadro politico generale, ma anche perché da molte parti si pretende che insieme con la disciplina della rappresentanza sindacale, in attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, si affronti anche il tema dei limiti allo sciopero (articolo 40). L’intenzione è quella di ottenere una limitazione del ricorso agli scioperi, dopo che si sia firmato un contratto valido «erga omnes». Vi è poi il problema di trovare soglie razionali e condivise per individuare gli indici di rappresentatività, capaci di garantire l’accesso alle tutele dello Statuto a tutti i soggetti sindacali, ovviamente purché dotati di un certo grado di rappresentatività che possa essere accertato in base a meccanismi trasparenti. Una legge ovvierebbe anche ai limiti degli ultimi accordi interconfederali, del 2011 e del 2013, che vincolano solo i soggetti firmatari, lasciando fuori tutti gli altri.
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