“La sentenza Fiat lascia nodi aperti”

“La sentenza Fiat lascia nodi aperti”

di Antonio Sciotto – il manifesto

La sen­tenza della Con­sulta è arri­vata ormai 5 mesi fa (era il 3 luglio), ma que­sto non signi­fica che il pro­blema della rap­pre­sen­tanza sin­da­cale nella Fiat – e più in gene­rale nel mondo del lavoro ita­liano – non sia ancora aperto. Anzi: se la Fiom si è vista obiet­ti­va­mente rico­no­scere il diritto ad avere rap­pre­sen­tanti, dall’altro lato la nuova ver­sione dell’articolo 19 dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori, così come è stato riscritto dalla sen­tenza, «lascia ancora ampio spa­zio alla discre­zio­na­lità dei giu­dici: e per evi­tare con­tra­sti ser­vi­rebbe una legge». Il vir­go­let­tato è di Rita San­lo­renzo, magi­strato della Corte di Appello di Torino, già segre­ta­rio di Magi­stra­tura demo­cra­tica. Insieme ad altri giu­sla­vo­ri­sti, San­lo­renzo par­te­ci­perà domani a una tavola rotonda sulla sen­tenza e i suoi svi­luppi, che si terrà nella sede della Corte di Cassazione.

Che valore ha avuto la sentenza?

Senza enfasi, la deci­sione della Con­sulta si può defi­nire sto­rica. E ha sbloc­cato un vuoto legi­sla­tivo che il refe­ren­dum del 1995 aveva gene­rato. La vicenda è nota: Fiat, uscita da Con­fin­du­stria, ha pre­teso di sti­pu­lare un con­tratto valido solo nei suoi sta­bi­li­menti. Alcuni sin­da­cati hanno fir­mato, men­tre altri, come la Fiom, si sono rifiu­tati. A seguito di que­sto rifiuto la Fiat, invo­cando l’articolo 19 dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori, nel testo così come era stato modi­fi­cato dal refe­ren­dum, ha negato alla Fiom di costi­tuire pro­prie Rap­pre­sen­tanze azien­dali, in quanto non fir­ma­ta­ria dell’accordo, com­pro­met­tendo così il suo diritto a godere delle tutele sin­da­cali raf­for­zate ad esse con­nesse: le assem­blee, i per­messi, le aspettative.

Quindi sono par­tite le cause.

La Fiom ha por­tato la Fiat davanti al giu­dice, in diverse sedi. Alcuni magi­strati, nelle loro sen­tenze, hanno dato risalto al dato testuale dell’articolo 19, respin­gendo le richie­ste del sin­da­cato. Altri hanno voluto dare alla norma un’interpretazione che ne supe­rasse la let­tera, in nome del rispetto del prin­ci­pio costi­tu­zio­nale di demo­cra­zia sin­da­cale. Infine tre giu­dici, a Modena, Torino e Ver­celli, hanno sospeso il giu­di­zio e chie­sto un pro­nun­cia­mento della Corte costituzionale.

La Corte ha dato ragione alla Fiom.

La Con­sulta, nella sua sen­tenza, ha spie­gato che dal testo dell’articolo 19 non poteva trarsi il diritto che la Fiom riven­di­cava, ma che que­sto per rispetto alla Costi­tu­zione doveva essere affer­mato per via di una «sen­tenza addi­tiva», con cui cioè si aggiunge alla legge ciò che vi deve essere con­te­nuto per­ché essa sia con­forme a Costi­tu­zione. Si è san­cito che il diritto alla rap­pre­sen­tanza spetta anche al sin­da­cato che che par­te­cipa alle trat­ta­tive, anche se alla fine non firma l’accordo. Que­sto per­ché, scrive la Corte, la pre­ce­dente ver­sione dell’articolo 19 si tra­du­ceva in «una forma impro­pria di san­zione del dis­senso, che inne­ga­bil­mente incide sulla libertà del sin­da­cato». Insomma: un sin­da­cato può con­ti­nuare a ope­rare come tale anche se dis­sente dalle scelte delle altre orga­niz­za­zioni, per­ché il diritto al dis­senso è un car­dine impre­scin­di­bile della libertà sin­da­cale, libertà tute­lata dalla Costituzione.

Quindi è tutto risolto?

Il prin­ci­pio san­cito è molto impor­tante, ma la sen­tenza lascia ampia discre­zio­na­lità ai giu­dici nei pro­cessi. Per capirci: si apre il pro­blema di sta­bi­lire quali siano i requi­siti minimi di «par­te­ci­pa­zione alle trat­ta­tive». Par­te­cipa chi siede almeno al primo incon­tro? Chi segue tutto lo svi­luppo del nego­ziato, fino alla fine, anche se poi non firma? Biso­gna per forza aver pre­sen­tato almeno una pro­pria piat­ta­forma, o aver assunto posi­zioni evi­denti di lotta? Quale deve essere la dimen­sione dei rap­pre­sen­tati? Tutti pro­blemi che – insieme a quello più gene­rale della misura della rap­pre­sen­ta­ti­vità – pon­gono sul tavolo con urgenza il tema dell’intervento della legge, come d’altra parte auspi­cato espres­sa­mente dalla Corte nella sua sentenza.

Come dovrebbe essere la legge?

Credo sia dif­fi­cile al momento che si fac­cia una legge, non solo per il qua­dro poli­tico gene­rale, ma anche per­ché da molte parti si pre­tende che insieme con la disci­plina della rap­pre­sen­tanza sin­da­cale, in attua­zione dell’articolo 39 della Costi­tu­zione, si affronti anche il tema dei limiti allo scio­pero (arti­colo 40). L’intenzione è quella di otte­nere una limi­ta­zione del ricorso agli scio­peri, dopo che si sia fir­mato un con­tratto valido «erga omnes». Vi è poi il pro­blema di tro­vare soglie razio­nali e con­di­vise per indi­vi­duare gli indici di rap­pre­sen­ta­ti­vità, capaci di garan­tire l’accesso alle tutele dello Sta­tuto a tutti i sog­getti sin­da­cali, ovvia­mente pur­ché dotati di un certo grado di rap­pre­sen­ta­ti­vità che possa essere accer­tato in base a mec­ca­ni­smi tra­spa­renti. Una legge ovvie­rebbe anche ai limiti degli ultimi accordi inter­con­fe­de­rali, del 2011 e del 2013, che vin­co­lano solo i sog­getti fir­ma­tari, lasciando fuori tutti gli altri.


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