Il cavaliere decaduto e la profezia di D’Alema

Il cavaliere decaduto e la profezia di D’Alema

di Paolo Ciofi  - liberazione.it

Finirà in carcere, agli arresti domiciliari, o ai servizi sociali? I media, i più raffinati commentatori, tutti i benpensanti – oltre al diretto interessato – si arrovellano su questo straziante interrogativo, che occupa pagine e pagine. La profezia di D’Alema, nell’intervista al Corriere della sera di sabato scorso, è che Berlusconi in galera non ci andrà perché lì «generalmente ci vanno i poveri, non i ricchi». E comunque il Massimo temporeggiatore non crede che il Cavaliere «scompaia dalla vita politica italiana per la sua decadenza». In effetti, il destino di un solo uomo, che disarcionato da cavallo si aggira disperato in elicottero tra le sue residenze private, sembra sovrastare nel servilismo dei media il destino di 60 milioni di abitanti di un Paese da lui per troppo tempo dominato. Nel quale oggi il 41 per cento dei giovani non ha lavoro né prospettive.

Non guasterebbe un maggior senso della misura e delle proporzioni, insieme all’esercizio di un’analisi critica della realtà. Ma vent’anni di ideologia e di pratica politica che hanno seminato individualismo ed egoismo sociale, proclamato la sovranità del dio denaro e denominato libertà il disprezzo sovrano per la legge, sono il maggior lascito che Berlusconi ci tramanda nella forma del berlusconismo. E questo, unitamente allo sfascio prodotto nel tessuto sociale del Paese, rende assai complicato il superamento della fase che stiamo vivendo. In ogni caso, qualunque sia la prospettiva personale del capostipite, se si vogliono effettivamente superare le conseguenze disastrose della sua permanenza al potere ed evitare ricadute imprevedibili, bisognerebbe analizzare attentamente le cause che hanno generato il potere del Cav., e che stanno alla base del suo lungo dominio nella società e nello Stato.

L’uomo venuto, dopo Craxi, dalla “capitale morale” ha perduto senza dubbio prestigio e credibilità, lasciando sulla sua strada molte macerie. È fuori dalle istituzioni e ha scelto di separarsi dal governo. Ma per ora mantiene nelle sue mani i mezzi con i quali ha costruito e diffuso la sua capacità di presa sul Paese: il denaro, e quindi le tv, il sistema comunicativo e di formazione del senso comune. Mettiamo un punto e diciamolo con chiarezza. Berlusconi non è un fenomeno paranormale. È l’espressione nazionale, per quanto specifica e anomala nelle sue inclinazioni personali, del potere universale del denaro. Vale a dire, del capitale globale finanziarizzato, la forma moderna del capitale, che in ultima analisi fonda la sua potenza sullo sfruttamento del lavoro. Un rapporto sociale nel quale la stragrande maggioranza degli esseri umani, in cambio dei mezzi per vivere, è costretta a vendere le proprie capacità intellettuali e fisiche ai proprietari degli strumenti finanziari, di produzione e di comunicazione. Una contraddizione che esplode e diventa drammatica nel tempo della crisi, e che oggi stiamo vivendo.

Il potere del denaro e dunque della finanza, espressione in cui si esprime nel nostro secolo il dominio del capitale, genera mostri. E non solo perché tende a distruggere congiuntamente l’uomo e l’ambiente. Ma anche perché distrugge in pari tempo la democrazia, cioè le condizioni che permettono agli uomini e alle donne che vivono del proprio lavoro di associarsi e organizzarsi in forma politica, per costituirsi in classe dirigente e fondare così una più alta civiltà attraverso l’espansione della libertà e dell’uguaglianza.

Quando il capitale è privo di ogni controllo, degrada e degenera nelle forme peggiori. E infatti il potere del denaro, nella declinazione berlusconiona, ha assunto le espressioni più abiette: fino all’intreccio con la criminalità organizzata, fino alla mercificazione totale del corpo della donna, usato normalmente come merce di scambio. Forse Marx aveva conosciuto un Berlusconi dei suoi tempi, quando annotava: «Ciò ch’è mio mediante il denaro, ciò che io posso – cioè il denaro può – comprare, quello sono io, il possessore del denaro stesso. Tanto grande è la mia forza quanto grande è la forza del denaro. Ciò che io sono e posso non è affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto ma posso comprarmi la più bella tra le donne. Dunque, non sono brutto, in quanto l’effetto della bruttezza è annullato dal potere del denaro. Il mio denaro non tramuta tutte le mie deficienze nel loro contrario?».

Come ben sappiamo, per averlo osservato e sperimentato sulla nostra pelle, con il denaro tutto si è potuto comprare e vendere in questi vent’anni: il sesso, il sapere, i beni comuni, i sentimenti. Anche i diplomi universitari nelle famose università albanesi. E soprattutto la politica, messa al servizio del padrone-proprietario. Fino a trasformarla in uno strumento con il quale sottomettere la società, occupare lo Stato, e spolpare il bene comune a favore di se medesimo e di un vasto sistema di potere. Lui è il padrone: di Forza Italia, del Popolo della Libertà, e ancora di Forza Italia. Come lo è del Milan. E gli aderenti al partito, gli elettori sono come i tifosi milanisti. Non contano niente, possono solo fischiare o applaudire dagli spalti.

Da qui si dovrebbe trarre una conclusione logica: vale a dire che il problema di fondo posto da Berlusconi e dal berlusconismo, e finora considerato insormontabile, si riassume in un interrogativo. Come limitare il potere del denaro? Come mettere sotto controllo il capitale? Come far sì che la proprietà privata capitalistica non offenda la libertà, l’uguaglianza, la dignità dei lavoratori e dei cittadini? È la questione che sta al centro della nostra Costituzione. E che i costituenti al loro tempo posero, dando precise risposte con la democrazia costituzionale, quando il potere del denaro aveva preso la forma violenta del fascismo, della dittatura che si risolse nella catastrofe della guerra, e che oggi si manifesta in altre forme.

Tema cruciale, che nel ventennio berlusconiano chi si è dichiarato di sinistra o non ha capito o ha aggirato, comunque non ha affrontato. Eppure il fondamento del lavoro, che regge il patto tra gli italiani, è il contrario del dominio del capitale sull’intera società. Per questo oggi, nel pieno di una crisi di cui non si vede il fondo, occorre cambiare strada con una svolta radicale. Infatti, per limitare il potere del capitale e avviare la trasformazione della società verso una civiltà più avanzata, è necessario dare rappresentanza, voce e organizzazione – come la Costituzione prevede – a chi è dominato e sfruttato dal capitale, vale a dire a tutti i lavoratori e non-lavoratori del XXI secolo, uomini e donne, che come mezzo per vivere hanno solo il loro lavoro.

Altra strada non c’è. E questa è la questione decisiva che bisogna affrontare per salvare il Paese e la democrazia. Altrimenti, Berlusconi, o chi per lui, potrebbe tornare a comandare. E questa volta la dittatura del capitale sarebbe ben più dura e pesante. Magari coperta dalla demagogia di Renzi.


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