Lotta per l’indipendenza della cultura. Fenomenologia della disfatta
Pubblicato il 26 set 2013
di Stefani Brai, responsabile Cultura Prc – da “I diari di Cineclub” – Si chiede investimento diretto dello Stato nella cultura a garanzia del pluralismo culturale e produttivo, della libertà artistica e del lavoro di promozione culturale.
L’egemonia culturale di vent’anni di berlusconismo e, a mio parere, l’ accettazione se non a volte la riproposizione di quel sistema di valori anche da parte di vasti settori del “centro sinistra”, hanno prodotto spesso sbandamento se non passivizzazione e rassegnazione alla “situazione di fatto”. Voglio dire per esempio che si è da parte di molti introiettata l’idea che in un periodo di difficoltà economica e sociale così pesante sia impossibile chiedere finanziamenti per un settore considerato dai più “aggiuntivo”, e che quindi occorra accontentarsi di quel pochissimo che è rimasto. Magari ottimizzandone la spartizione. Sono così diventati senso comune concetti come “pareggio di bilancio”, efficienza, efficacia ed economicità, fine dei finanziamenti “a pioggia”, meritocrazia, privatizzazioni, amministratori e ministri come unici soggetti legittimati a prendere decisioni, eccetera eccetera.
Con buona pace del pluralismo, della democrazia, e della cultura.
La logica, la filosofia di fondo che è passata – e che rischia di essere accettata anche da chi la cultura la produce – è che, “merce” come le altre, la cultura possa essere lasciata ai meccanismi e alle logiche di mercato: che cioè l’utile che si deve perseguire è solamente o comunque principalmente un utile economico. Così il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto nel quale, tra le tantissime altre cose, si parla addirittura di “valore cultura”, ma nel quale non si prevedono né investimenti né finanziamenti: la politica di questo governo è infatti tutta centrata sulla ricerca di fondi privati e sui modi per incentivarli (90 milioni di tax credit per il cinema, ora esteso per 5 milioni anche al settore musicale).
E se la cultura è una merce come le altre poco importa se si tagliano i fondi per le associazioni nazionali di cultura cinematografica, poco importa se chiudono riviste, biblioteche e sale cinematografiche e se le istituzioni culturali sono ridotte allo stremo. Poco importa se migliaia di artisti e operatori culturali non hanno più lavoro. Poco importa se si perdono professionalità ed esperienze uniche e irripetibili.
Ed è gravissimo a mio parere che quel decreto sia stato considerato una grande vittoria e che la maggior parte delle associazioni professionali e culturali del cinema non abbia continuato le azioni di protesta e le agitazioni per ottenere l’integrazione del Fondo unico per lo spettacolo, cioè per ribadire la necessità di un investimento diretto dello Stato nella cultura a garanzia del pluralismo culturale e produttivo, della libertà artistica e del lavoro di promozione culturale.
Io credo invece che questa politica rischia di produrre la “morte” della cultura. Della cultura intesa come strumento di formazione di una coscienza critica, di conoscenza della realtà, di crescita individuale e collettiva, quindi elemento essenziale di democrazia e di “uguaglianza sociale”, come afferma la Costituzione. È proprio in un momento così difficile che va a mio parere con maggiore forza riaffermato che la cultura è un diritto, e come tale va garantito dallo Stato, con investimenti finalizzati all’utile culturale e dunque sociale. Va riaffermata con tutta la forza possibile la necessità di mettere in atto una politica complessiva per tutto il settore: che vuol dire, tra l’altro, sostegno alle sale “di città”, vuol dire formazione, vuol dire garantire ammortizzatori sociali e diritti ai lavoratori della cultura, luoghi pubblici per la cultura in tutte le periferie del nostro paese e delle nostre città, ma vuol dire anche una politica vera di “promozione” della cultura cinematografica. In tanti modi: sostenendo convegni, seminari, ricerche, pubblicazioni, festival, rassegne, ma sicuramente e prioritariamente rafforzando il lavoro unico dell’associazionismo cinematografico.
A poco servirebbe riuscire con immensa fatica a dare vita ad una creazione artistica se contemporaneamente non esistesse quel lavoro immenso e diffuso che tutti i giorni e su tutto il territorio contribuisce a far conoscere il cinema di qualità ai tanti e diversi “pubblici”, a formare generazioni di critici, di operatori culturali e di registi, a far crescere i saperi e la conoscenza, a combattere la passivizzazione e la solitudine.
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