Potere degli iscritti e organizzazione del pluralismo interno nei partiti della sinistra alternativa europea

Potere degli iscritti e organizzazione del pluralismo interno nei partiti della sinistra alternativa europea

di Franco Ferrari -Seminario Rifondazione Comunista - Sinistra Europea Roma 20 settembre 2013 – Nell’affrontare il tema indicato è necessario innanzitutto tener conto di due premesse.

1) la prima è che parliamo di un campo, quello della “sinistra alternativa europea”, ancora attraversato da forti differenziazioni politiche, ideologiche ed organizzative. Si è anche discusso e si discute se si possa considerare questo insieme di partiti come una vera e propria “famiglia politica” al pari della socialdemocrazia, dei verdi o dei popolari europei. Una parte delle forze politiche che vengono inserite in questo spazio ne contestano l’esistenza stessa. Vi è chi, come i comunisti greci, ritiene che si debbano tenere rigidamente separati i partiti comunisti dai partiti cosiddetti di “nuova sinistra”, considerati come opportunisti e complici del capitalismo. Vi è chi, ad esempio le correnti trotskiste, distingue in questo campo tra forze considerate “rivoluzionarie” ed altre considerate “riformiste”.

In genere, ed anche per i fini del mio contributo, si considerano parte della “sinistra alternativa europea” quei partiti che partecipano o hanno partecipato ad una delle sue strutture di colleganosovranazionale: il Gruppo parlamentare europeo (GUE/NGL), il Partito della Sinistra Europea, ilForum della Nuova Sinistra, i Meeting dei partiti comunisti e della Sinistra Anticapitalista(Hildebrandt, Seiler, De Waele e Vieira).

 

2) il secondo elemento riguarda la generale difficoltà che esiste ed è stata riscontrata da chi si è occupato della materia, nell’analizzare la vita interna dei partiti politici. Alcuni dei quali in particolare ritengono che tale vita interna debba essere mantenuta riservata e a conoscenza parziale solo degli iscritti. In alcuni partiti della sinistra alternativa, in particolare tra quelli di tradizione comunista, la mancata trasparenza della vita e del dibattito interno è considerata necessaria per non lasciare la possibilità al “nemico di classe” di utilizzare queste informazioni per indebolire e disarticolare il partito stesso e ridurne la sua influenza su settori più o meno grandi di popolazione(March).

Ciò premesso, il mio contributo consiste nel provare a comparare gli statuti di alcuni partiti della sinistra alternativa europea per vedere come sono considerati i due aspetti citati nel titolo: i poteri riconosciuti ai singoli iscritti nell’attività del partito ed in particolare nella formulazione delle sue decisioni, nella scelta dei dirigenti e nella scelta dei candidati alle cariche elettive; in relazioni a questi anche il modo come gli statuti considerano la possibilità di articolazione delle posizioni interne e la loro cristallizzazione in varie forme (correnti, frazioni, ecc.), cercando di evidenziare e confrontare alcune delle soluzioni proposte.

Evoluzione ed affermazione del “centralismo democratico”.

Dal punto di vista storico, il modello di organizzazione interna dominante almeno fino agli ’70 nella sinistra alternativa o anticapitalista europea è stato il cosiddetto “centralismo democratico”. Questo modello è il frutto di un complesso processo politico. In primo luogo ne sta alla base l’evoluzione del Partito bolscevico russo considerato in un arco di tempo che va dai primi anni del novecento, in particolare dal famoso congresso del POSDR del 1903, che sancì la divisione tra bolscevichi e menscevichi attorno alla definizione di appartenenza al partito, fino alla piena affermazione del controllo da parte di Stalin e di un gruppo di dirigenti a lui affini nella prima metà degli anni ’30. In secondo luogo la rigidità con la quale si è esteso tale modello a tutti i partiti comunisti (Johnstone).

Esiste un ampio dibattito storico e politico su quanto il centralismo democratico applicato nei partiti comunisti a partire dalla metà degli anni ’20 e poi consolidatosi negli anni ’30 corrisponda all’idea che Lenin aveva del partito, e quanto invece fu il prodotto dell’interpretazione, degli aggiustamenti e dei cambiamenti anche rilevanti che i suoi successori, a partire da Zinoviev che fu il primo capo dell’Internazionale Comunista dopo Lenin, operarono sul pensiero e sull’esperienza storica del fondatore dello stato sovietico. La mia opinione è vicina a quelli che ritengono che i cambiamenti siano stati rilevanti, anche se non penso si possa accogliere la posizione trotskista secondo cui questi sarebbero frutto di una “controrivoluzione”, né riconducibili sul piano sociale alla presa del potere da parte di una “casta burocratica”.

Ai fini del tema che si vuole affrontare conta però l’idea di “centralismo democratico” che si è affermata nella pratica dei partiti comunisti piuttosto che la corrispondenza o meno di questa idea con l’originario pensiero leninista.

Il centralismo democratico in sé può essere sul piano teorico come la ricerca dell’equilibrio tra due esigenze: quella democratica, ovvero la possibilità del corpo degli iscritti di decidere la strategia del partito, e quella dell’efficacia, ovvero la capacità del partito stesso di intervenire nel conflitto politico e sociale in modo unitario e coeso. Posta in questo modo è una dinamica che si pone in termini generali in quasi ogni forza politica nella quale non sia assolutizzato il ruolo del leader. Quindi il problema è come sia stato affrontato nell’esperienza storica dei partiti comunisti, partitiche fino agli anni ’60 sono stati in Europa la forma largamente egemone della sinistra anticapitalista.

 

Un elemento fondamentale nell’applicazione del centralismo democratico è stato il divieto di corrente o frazione. Il dibattito politico, quando c’era, e in generale era presente seppure in modo più o meno vivace, doveva restare all’interno del partito e soprattutto all’interno dei gruppi dirigenti. Esisteva un vincolo non scritto per cui una volta presa una decisione nel vero organismo di decisione politica (l’ufficio politico, la direzione o equivalenti) anche chi aveva sostenuto in quella sede una posizione difforme doveva adeguarsi alla tesi maggioritaria nella discussione in Comitato Centrale e così via a scendere nei vari passaggi gerarchici verso la base. Questo meccanismo non escludeva la possibilità di un dibattito anche vivace, ma esso doveva avvenire nei modi, nei tempi e nelle forme decise dal gruppo dirigente e senza dare vita ad esplicite contrapposizioni di linea politica (Natta).

Il divieto delle correnti, anche se era l’aspetto più strettamente collegato all’idea del centralismo democratico, non era l’unico elemento caratterizzante i partiti comunisti sul piano organizzativo(Waller). Ve ne erano altri e in particolare richiamerei i seguenti:

1) importanza e ruolo dell’apparato di quadri professionali

2) netta definizione dei confini del partito tra chi vi aderisce e chi ne è esterno.

3) superiorità gerarchica del partito sulle organizzazioni di massa e sui movimenti (in considerazione del ruolo di avanguardia del partito stesso).

Questo modello organizzativo, che qui viene fortemente schematizzato, aveva differenze di applicazione a seconda degli ambienti sociali e culturali nei quali operava il singolo partito, ma anche dalle sue dimensioni: partito con un forte insediamento sociale, oppure ristretto e marginale gruppo di quadri e di attivisti.

Crisi del “centralismo democratico”

Storicamente questo modello ha subito tre importanti momenti di messa in discussione. Il primo momento è stato il ’56, con la destalinizzazione, dal quale è uscito aggiornato e reso più flessibile, ma non abbandonato. Il secondo è stato il ’68 con l’emergere di movimenti di massa che hanno contestato quelli che venivano considerati elementi di burocratizzazione e di stagnazione intellettuale derivanti da quel modello ma con un rapporto ambivalente, perché mentre i movimenti tendevano a metterlo in discussione, i partiti politici nati da quella stagione di lotte lo riprendevano o addirittura lo assumevano in forme esasperate e dogmatizzate (Waller). Il terzo è stato l’89-91 con il crollo del socialismo “reale” o “di stato” e, a seguito di quegli eventi, ha subito un colpo forse mortale.

La caduta del socialismo “reale” ha portato ad una complessiva ridefinizione della sinistra alternativa. I processi di cambiamento e di riaggregazione hanno portato nell’arco di alcuni anni ad una radicale trasformazione al termine della quale i partiti comunisti non rappresentano più la quasi totalità di questo campo politico. Anche all’interno dei partiti che hanno mantenuto un’identità comunista si è creata una notevole articolazione di posizioni. Le nuove forze di sinistra alternativa non hanno più considerato il centralismo democratico come elemento dell’identità di una forza anticapitalista. Una parte dei partiti comunisti hanno avviato o completato una riflessione critica su quel tipo di modello, altri lo difendono come elemento proprio dell’identità di partito (Hildebrandt).

Dal “movimento comunista” alla “sinistra alternativa”

Si tratta quindi di indagare le scelte che sono state operate in campo organizzativo inquadrandole in un processo che è in atto da circa un ventennio. Su di esse hanno influito la valutazione critica dell’esperienza storica dei partiti comunisti e lo svilupparsi di nuovi movimenti di lotta (come il movimento altermondialista) che hanno espresso un forte elemento di critica alla forma partito, arrivato in qualche settore a considerare esaurito il ruolo dei partiti, nella forma classica o in quella rinnovata, come strumento utile alla trasformazione della società in senso anticapitalistico. Sono riemerse impostazioni di tipo anarchico che rimandano per certi aspetti al conflitto che divise la prima internazionale tra Marx e Bakunin, seppure in situazioni sociali profondamente mutate(Revelli e Porcaro per due interpretazioni che mi sembrano radicalmente divergenti).

I partiti hanno dovuto reagire e tener conto, anche al di là della loro volontà, dei mutamenti sociali che sono avvenuti nel frattempo e che qui si possono evidentemente citare dandoli in larga parte per noti: riduzione del peso della classe operaia industriale riunita nella grande fabbrica, precarizzazione e individualizzazione delle forme del lavoro salariato, frammentazione del tessuto associativo. Sul piano ideologico la spinta all’individualismo e su quello comunicativo l’emergere dei nuovi media e delle reti di comunicazione sociale nelle quali si sono accentuati gli aspetti di comunicazione orizzontale rispetto a quelli verticali. Non si può non ricordare il nesso molto forte che era presente in Lenin e in Gramsci tra forma del partito e grande fabbrica come scuola di organizzazione per i proletari (Revelli)

Tenendo sullo sfondo questo quadro complessivo determinato dallo sviluppo dell’esperienza storica e dall’impatto del crollo del socialismo reale da un lato, dei mutamenti sociali della composizione di classe nel capitalismo e quelli ideologici determinati dall’egemonia neoliberista dall’altro, sivuole cercare di capire in che modo i partiti della sinistra alternativa europea hanno ridisegnato la loro struttura organizzativa (Wainwright).

Il mio esame sarà principalmente rivolto ad alcuni partiti individuando quelli che in una certa misura possono essere considerati come “tipici” di un particolare approccio organizzativo. I partiti o coalizioni considerati sono stati scelti sulla base della loro rappresentatività, dell’accessibilità dello statuto in un una lingua a me comprensibile, e anche dell’eterogeneità del loro percorso storico. Questi sono principalmente il PC Portoghese, Izquierda Unida, il PC Francese, la Linke. Solo per richiamare qualche aspetto terrò conto anche degli statuti del Partito dei Comunisti Italiani (PdCI) e del PC Spagnolo.

Partito Comunista Portoghese

Tra i partiti considerati, il PC Portoghese è quello che più si richiama al modello classico di partito comunista. Si definisce “avanguardia della classe operaia” fondato sul “marxismo-leninismo”, “strumento scientifico di analisi della realtà”. Il partito valorizza la “democrazia interna” ma anche la “coesione ideologica, politica ed organica” dei suoi membri. La richiesta di iscrizione di un nuovo membro deve essere avallata da un iscritto che lo conosca e ne garantisca la serietà. Fra i doveri dell’iscritto ci sono quelli di “difendere l’unità e la coesione del partito” e di “salvaguardare e difendere le questioni riservate della vita interna del partito”. Fra i diritti che sono riconosciuti vi è quello di “esprimere liberamente le sue opinioni nei dibattiti realizzati negli organismi ai quali appartiene” e “in tutte le riunioni di partito alle quali partecipa”.

Viene riconosciuto come principio organizzatore della vita interna il “centralismo democratico” che punta a garantire simultaneamente “una profonda democrazia interna, un unico orientamento generale e un’unica direzione centrale”. Non sono ammesse frazioni “intese come formazione di gruppi o tendenze organizzate che sviluppino attività intorno ad iniziative, proposte o piattaforme politiche proprie”. Ad equilibrare questo punto vi è un articolo che recita: “Spetta a tutti i militanti e particolarmente agli organismi dirigenti stimolare e promuovere la discussione franca e libera dei problemi della vita, orientamento e attività del partito nelle riunioni degli organismi e delleorganizzazioni, con l’ammissione e la considerazione che sono naturali opinioni differenti”. Non deve essere praticata nessuna discriminazione a causa dell’espressione di opinioni critiche.

Il Comitato centrale viene eletto dal Congresso sulla base di una proposta del Comitato centrale uscente, il quale dovrà prima effettuare un’ampia consultazione dei quadri. La base organizzativa del partito è la cellula composta da almeno 3 iscritti e può essere sia territoriale che di impresa o di settore socio professionale. I membri del partito che operano nelle organizzazioni e nei movimenti di massa devono agire “secondo gli orientamenti del partito”, però rispettando l’autonomia e il carattere unitario delle organizzazioni e dei movimenti nei quali operano.

 

Gli iscritti che violano la disciplina de partito sono soggetti a sanzioni disciplinari. Sono previstiquattro gradi di sanzioni: 1) censura; 2) diminuzione delle responsabilità; 3) sospensione dall’attività del partito per un periodo massimo di 1 anno; 4) espulsione dal partito.

 

Molto vicino a questa importazione è lo statuto del Partito dei Comunisti Italiani, anche se alcune formulazioni sono più sfumate o modificate rispetto alle impostazioni classiche dei partiti comunisti vicini all’Unione Sovietica. Il Partito “fa riferimento al marxismo e al leninismo” (non al “marxismo-leninismo” che è la formula storicamente consacrata ma che venne messa in discussione in una ampio e un po’ bizantino dibattito già nel PCI) oltre che all’elaborazione del Partito Comunista Italiano attraverso il pensiero di Gramsci e Togliatti. Si definisce “avanguardia delle componenti più avanzate della società italiana nella lotta per il socialismo e il comunismo” (non “avanguardia della classe operaia”). Per quanto riguarda i doveri degli iscritti vi è quello di “vigilare e difendere il partito contro ogni attacco”.

 

Un capitolo dello Statuto è specificamente dedicato al “centralismo democratico” quale principio sul quale si deve reggere la vita interna. “Esso comporta la ricerca continua della sintesi” e poi si afferma ancora che “è assicurata la libera espressione del pensiero di ciascun iscritto (…) attraverso il dibattito all’interno degli organismi, di una decisione collettiva che sia sintesi delle posizioni espresse”. Il tema della sintesi è particolarmente sottolineato, d’altronde fu questo uno dei temi polemici rivolti contro Bertinotti al momento della scissione da Rifondazione Comunista. Cercando di trarre un bilancio obiettivo della storia del PdCI, questo impegno alla sintesi non ha impedito però rotture e scissioni in più direzioni (Cossutta, Bellotti, Rizzo, Francescaglia).

 

Lo statuto del PdCI prevede che “terminata la discussione e presa a maggioranza una decisione da parte di ciascuno degli organismi dirigenti, questa è vincolante per gli organismi dirigenti e per tutte/i le/gli iscritte/i che sono tenuti ad accettare ed applicare le decisioni liberamente assunte”. Ancora si prevede che “è fatto espresso divieto di rappresentare e perseguire all’esterno posizioni politiche difformi” ed espresso divieto altresì “di costituire correnti o altri gruppi organizzati che elaborino linee politiche differenti da quelle discusse e approvate all’interno degli organismi dirigenti del partito.” Si sottolinea che “l’unità politica, ideologica e organizzativa del partito è un valore”. Viene nuovamente ribadito che “tutti i compagni – sono tenuti a difendere l’unità del partito contro ogni tentativo di disgregazione e di attività di frazione. La costituzione di gruppi frazionistici in seno al partito è rigorosamente proibita e viene sanzionata con provvedimenti che possono giungere all’espulsione.” Infine, altra norma importante, “non è mai ammessa, ad alcun livello, l’elezione di organismi o di delegate/i in misura proporzionale a gruppi organizzati e sensibilità, con metodi di votazione che legittimino l’esistenza all’interno del partito di correnti o frazioni”.

Un aspetto presente in vari passaggi dello statuto del PdCI che lo rende difforme dalla tradizione dei partiti comunisti ed anche da quello del PC Portoghese è il riconoscimento dell’obbiettivo della parità di genere negli organismi e nelle candidature elettive. Inoltre, a differenza del PCP, non è previsto che la richiesta di adesione sia avallata da un iscritto.

 

Partito Comunista Francese

 

Così come lo statuto del PC portoghese può essere assunto a riferimento per un modello di partitoche si colloca in continuità rispetto alla tradizione dei partiti comunisti, quello del PCF presenta il profilo di un partito profondamente rinnovato che ha rotto in molti punti con quella tradizione.

L’unico riferimento teorico espresso è alle “anticipazioni di Marx” e si riconosce che le motivazioni di adesioni al partito sono diverse e radicate in tutte le lotte emancipatrici, rivoluzionarie ed internazionaliste per liberarsi del capitalismo. Vengono richiamate le lotte femministe, umaniste, antirazziste, ecologiste, pacifiste, anticolonialiste, antimperialiste, e per la laicità. Le forme e pratiche di organizzazioni pongono come dimensione essenziale “il rispetto delle opinioni differenti sugli obbiettivi e le strategie da mettere in opera”.

Il PCF prevede nello statuto la possibilità degli iscritti di creare e di partecipare a diverse forme di rete o collettivo all’interno del partito, pur mantenendo una priorità preferenziale alla cellula sul posto di lavoro.

Sono previste forme di consultazioni formali. “Tutti/e gli aderenti/e sono invitati/e a partecipare ai dibattiti preparatori alla decisione. A monte essi/e ricevono le informazioni e gli elementi materiali per ciascuna consultazione tra cui il luogo, le date, gli orari dello scrutinio e la scheda per il voto.” La partecipazione alla votazione è riservata a tutti coloro che sono aderenti al partito da più di tre mesi alla data dello scrutinio e in regola con il pagamento della quota tessera. E’ consentito per le consultazioni nazionali il voto per corrispondenza e per procura (uno solo per aderente), purché sia garantito l’anonimato.

Una volta presa una decisione, a maggioranza, questa impegna tutto il partito, ma in caso di disaccordo ogni iscritto “mantiene il diritto di difendere e di esprimere il suo punto di vista”. Il PCF ha utilizzato in diverse occasioni il meccanismo del voto. E’ stato così per confermare l’adesione al Partito della Sinistra Europea e più recentemente per la scelta del candidato del Front de Gauchenelle elezioni presidenziali (scelta che com’è noto è caduta sul dissidente socialista Jean-Luc Melenchon).

 

Nella parte relativa ai congressi si afferma questo principio generale: “Per l’adozione degli orientamenti politici, come per l’elezione delle istanze del partito, l’organizzazione dei dibattiti e delle votazioni persegue il doppio obbiettivo di raggruppare la grande maggioranza degli aderenti sulle scelte elaborate in comune e di permettere a coloro che non si ritrovano in una scelta di sottoporre al voto delle proposte alternative. In questo modo, noi compiamo la scelta di fare del pluralismo di idee, un diritto ed un principio del nostro modo di funzionamento. Questo diritto non si può tradurre in un’organizzazione per tendenze.” Nell’elezione dei delegati congressuali ai vari livelli l’elezione avviene su una base fissata dai organismi uscenti, “vigilando sul rispetto delle diverse opinioni espresse”. In effetti come avviene per il PRC, il divieto della costituzione per tendenze è nei fatti non applicato, anche se forse nel partito francese hanno un peso meno rilevante nella vita politica del partito.

E’ significativo il percorso che lo statuto del PCF prevede per l’elaborazione della politica complessiva da sottoporre all’approvazione del Congresso nazionale. Il Consiglio nazionale decide l’ordine del giorno composto da temi ed interrogativi. Per un mese tutti gli iscritti individualmente o collettivamente possono proporre dei contributi che vengono portati a conoscenza di tutto il partito. A quel punto il Consiglio nazionale elabora un progetto di base comune che cerca di raccogliere il massimo dei contributi elaborati dagli iscritti. Questa “base comune” viene portata a conoscenza degli iscritti per 5 settimane durante le quali, un minimo di 300 aderenti appartenenti ad almeno un quarto delle federazioni e non più del 10% in una singola federazione. I testi devono vertere sugli stessi argomenti all’ordine del giorno ed avere lunghezza equivalente e sono accompagnati da una sintesi degli orientamenti essenziali. I testi sono sottoposti al voto di tutti gli iscritti e quello che ottiene più voti diventa la base comune del dibattito congressuale vero e proprio. Nei congressi ai vari livelli è possibile far votare emendamenti al progetto di base comune.

Per quanto riguarda la formazione dei gruppi dirigenti ai vari livelli, la prima fase è quella della presentazione delle candidature. E’ possibile candidarsi direttamente o essere candidati da altri. Una commissione eletta in fase congressuale presenta una proposta di lista per l’organismo dirigente con l’obbiettivo di rappresentare tutte le opinioni che si sono espresse nel dibattito. Qualora un gruppo di iscritti o delegati non si ritrovi in questa proposta può presentare una lista alternativa. Tutti i candidati della lista che ottiene più voti vengono eletti. Ad essi vengono aggiunti in proporzione ai voti i rappresentanti delle altre liste. Il candidato segretario della lista che ottiene più voti risulta eletto.

Da notare che non c‘è collegamento diretto tra elezione degli organismi dirigenti e i voti raccolti dai diversi progetti di base comune anche se il meccanismo tende a favorire una rappresentazione plurale ma non strettamente numerica delle varie tendenze più o meno formali. Rende più facile l’elezione negli organismi dirigenti senza che essa sia condizionata dall’adesione formale od informale ad una determinata tendenza.

Un altro aspetto che mi sembra utile sottolineare è il percorso molto istituzionalizzato per la scelta delle candidature elettive. Anche in questo caso c’è un processo iniziale di presentazione delle candidature o da parte di organismi o a livello individuale. Nella fase successiva viene approvata una proposta di candidatura da parte dell’organismo del livello competente. Qualora una delle candidature escluse resti in campo si procede ad un voto degli iscritti. La candidatura che prevale è quella che ottiene almeno la maggioranza dei suffragi espressi. Va tenuta presente ovviamente la particolarità del sistema elettorale francese che si basa su collegi uninominali e quindi si tratta di individuare in ogni area territoriale una sola candidatura.

Al fine di effettuale un’utile comparazione con lo statuto del PC Francese si possono richiamareelementi particolari di quello del Partito Comunista Spagnolo, tenendo conto che il PCE ha rinunciato ad alcuni aspetti della sua sovranità politica delegati ad Izquierda Unida.

Il PCE si richiama alla storia del movimento comunista internazionale, a partire dalla rivoluzione d’Ottobre, dichiara di basarsi sul “marxismo rivoluzionario” ed aspira ad essere “avanguardia nella lotta dei lavoratori e della cittadinanza più progressista”. Per quanto riguarda l’organizzazione del pluralismo interno lo statuto precisa che “i/le comunisti/e trasferiscono a tutti gli ambiti di attività la politica approvata democraticamente e non si organizzano come correnti di opinioni nel suo seno se non per decisione degli organi competenti del Partito”, però “piattaforme interne di opinione possono essere create in modo puntuale prima di congressi e conferenze. Una volta completato questo processo si dissolveranno”. Mentre è sempre pienamente riconosciuto il diritto ad esprimereliberamente le proprie opinioni all’interno del partito, la protezione alla divulgazione esterna delle opinioni individuali avverrà nel processo precedente all’adozione di decisioni e prese di posizioni politiche.

Izquierda Unida

Nel caso di Izquierda Unida siamo in presenza di una coalizione di forze e non di un partito unitario. Lo statuto è particolarmente complesso e dettagliato. Sono più di 110 articoli e oltre 70 pagine che ovviamente in questa sede non si possono trattare se non segnalandone alcuni aspettisalienti.

Izquierda Unida è innanzitutto definita come “un movimento politico e sociale anticapitalista che si propone di contribuire alla trasformazione dell’attuale sistema capitalista in un sistema socialista”. Ci si propone di facilitare la partecipazione del “maggior numero di persone, settori e collettivi della sinistra alternativa, trasformatrice e progressista impegnati nella trasformazione e superamento del sistema capitalista”. L’obbiettivo indicato della trasformazione sociale e la volontà di unire tutte le forze che lo condividono richiede di trovare un equilibrio tra il rispetto delle differenze ed un “minimo organizzativo unitario e coerente”.

Izquierda Unida fa proprio il principio del pluralismo sia ideologico che territoriale considerando la Spagna un territorio plurinazionale. Vengono elencate le principali tradizioni che formano parte di IU: socialista, comunista, repubblicana, libertaria, ecologista, femminista, pacifista, antimilitarista, laica, cristiana di base. IU fa proprio il principio dell’equilibrio tra i sessi, ma anche (credo unicofra i maggiori partiti) quello di garantire una quota minima di presenza di giovani negli organismi.

L’iscrizione ad IU è individuale e diretta a prescindere dal fatto che la persona aderisca ad una delle organizzazioni che ne fanno parte. Tra i diritti dell’iscritto vi sono quelli di partecipare ai referendum o consultazioni vincolanti convocate dagli organi dirigenti di IU, partecipare nelle correnti o piattaforme di opinione, così come partecipare ai partiti politici o entità integrate in IU.

Viene garantito il diritto di “esprimere liberamente le proprie opinioni in relazione alle proposte e decisioni adottate da IU. Il diritto qui riconosciuto avrà la massima protezione quando si sviluppa nell’ambito interno all’organizzazione. La protezione alla divulgazione esterna delle opinioni individuale si avrà anche nei periodi precedenti all’adozione delle decisioni e delle posizioni politiche” Fra i doveri dell’iscritto si chiede di non organizzare, dare impulso o partecipare a campagne contro IU e di adattare la propria attività politica all’impegno volontariamente contratto di far parte di IU.

 

IU prevede anche la figura del “simpatizzante” intendendo con tale definizione sia persone fisiche che associazioni o qualsiasi entità sociale che manifestino la propria volontà di collaborare con l’apporto di idee e proposte o con la partecipazione a riunioni aperte o semplicemente di accettare di ricevere informazioni sull’attività e le elaborazioni di IU. Nell’ambito dei meccanismi di confronto con i non iscritti lo statuto prevede che le assemblee di base tengano almeno una riunione aperta pubblica all’anno.

 

Per sua natura IU deve regolamentare anche l’adesione di partiti politici e collettivi, associazioni che vogliano far parte del movimento. Queste organizzazioni devono delegare alcune facoltà: presentarsi a qualsiasi tipo di processo elettorale; rappresentanza istituzionale; determinazione della politica generale di alleanze, tanto nazionali quanto internazionali; l’attivazione di relazioni istituzionali o politiche con altre forze politiche e sociali che possano proiettare posizioni contrarie agli accordi di IU. Inoltre devono esplicitare nei propri statuti l’obbligo e il diritto di tutti i propri affiliati di militare in IU.

 

Oltre ai partiti e alle organizzazioni che partecipano come tali ad IU, lo statuto prevede anche che esistano delle correnti di opinione, temporali o stabili, le quali però non possono disporre di proprio patrimonio né di personalità giuridica. Le correnti d’opinione non potranno combattere o mettere in discussione pubblicamente le politiche e le decisioni e gli accordi decisi dagli organismi. Le correnti d’opinione devono essere riconosciute formalmente ed avere un minimo di presenza territoriale. Un vincolo che viene posto alle attività delle correnti d’opinione è che queste non devono imporre disciplina di voto né esprimersi per mezzo di portavoce all’interno degli organismi dirigenti di IU.

 

Un altro aspetto contenuto dello statuto che voglio segnalare, anche qui senza poter andare troppo nel dettaglio, è quello delle aree come sedi di confronti politico e programmatico alle quali possono partecipare tutti gli iscritti. Funzionano in forma assembleare ed eleggono un proprio responsabile. A livello federale partecipano il coordinatore federale  ed un rappresentante eletto per ogni federazione. Si cerca cioè di puntare su una struttura che parta dal basso. In ambito federale sono previste 14 aree.

 

Un ultimo punto riguarda la formazione degli organi dirigenti per i quali, qualora non si riesca a formare una sola lista od una sola candidatura si deve procedere ad una ripartizione proporzionale.Nel caso dell’Assemblea Federale si definisce una ripartizione degli eletti su base territoriale per un 50% a livello di federazione e per il 50% dal livello territoriale inferiore rispettando anche il principio della pluralità. La ripartizione dei delegati dell’Assemblea è legata per il 70% al dato degli iscritti ed il restante 30% legato al numero dei voti. Anche il Consiglio politico Federale tiene conto della rappresentatività territoriale che pesa per un 30%, mentre il 70% viene eletto dall’Assemblea Federale. Anche le candidature per cariche pubbliche possano essere sottoposte a votazione ed è prevista l’eventualità che si presentino più liste di candidati, nel qual caso si procede per ripartizione proporzionale.

 

 

Die Linke

 

La definizione del partito contenuta nello statuto è piuttosto generica ed evita riferimenti considerati troppo impegnativi. Si afferma che il partito ha le proprie radici nella storia del movimento operaio tedesco ed internazionale, è impegnato nei movimenti per la pace ed antifascista, è vicino al movimento sindacale ed ai nuovi movimenti sociali, e trae ispirazione dal femminismo e dal movimento ecologista. L’obbiettivo che si sono dati i fondatori del partito è di rafforzare coloro che lottano “per un lavoro decente e per la giustizia sociale, la pace ed uno sviluppo sostenibile”. La Linke aspira allo sviluppo di una società basata sulla solidarietà nella quale, riprendendo senza citarne l’autore una nota formulazione marxiana, la libertà di ciascuno sia la condizione per la libertà di tutti.

 

Segnalo solo alcuni elementi dello statuto che risultano abbastanza originali rispetto ad altri partiti della sinistra alternativa europea.

1) la previsione di membri ospiti (Gastmitglieder), definiti come “persone che promuovono gli obbiettivi politici e i progetti del partito senza essere essi stessi membri” e possono far uso dei diritti di membro a loro riconosciuti. Sono esclusi la possibilità di votare nei referendum interni e di far parte degli organismi;

2) i membri sono liberi di formare “alleanze all’interno del partito. Se hanno una dimensione nazionale devono comunicare al Comitato Esecutivo la loro esistenza. Possono mandare delegati ai congressi nazionali sulla base del numero di iscritti e ricevono finanziamenti.

3) lo svolgimento di referendum interni è previsto e regolamentato in modo piuttosto preciso. Sono obbligatori referendum sulla decisione di sciogliere il partito o sulle alleanze con altri partiti.

4) ampiamente riconosciuta la “democrazia di genere”. In tutti gli organismi almeno la metà devono essere donne. Interessante la norma secondo cui, se una parte dei posti destinati alle donne non possono essere coperti, questi devono restare vacanti.

5) i congressi federali devono svolgersi almeno una volta all’anno, mentre i delegati vengono eletti per due anni.

6) per quanto riguarda le candidature al Bundestag, queste sono scelte da un’assemblea rappresentativa speciale della circoscrizione.

 

Conclusioni

 

Quali elementi si possono trarre dalle varie modalità organizzative dei partiti della “sinistra alternativa europea”?:

 

1) innanzitutto che è prevalente il riconoscimento del pluralismo politico-ideologico. Questo pluralismo è costitutivo laddove si sono creati dei soggetti politici nel quale sono confluite correnti diverse. Consideriamo Izquierda Unida, esperienza ormai consolidata da qualche decennio, il Front de Gauche, più recente ed attraversato ancora da tensioni, ma che ha creato una dinamica positiva. In questo caso si tratta esplicitamente di forme federative tra soggetti diversi. Pensiamo poi a Syriza, Bloco de Esquerda portoghese, Alternativa Rosso-Verde danese: si tratta di formazioni che sono partite in forma pattizia (ovvero di accordo tra soggetti rimasti sovrani) per pervenire più o meno rapidamente ad una struttura unitaria, anche se, nel caso del Bloco portoghese e dell’Alternativa danese, non hanno mai imposto lo scioglimento delle forze politiche che ne erano all’origine. Ma il pluralismo viene riconosciuto anche in partiti unitari. La Linke tedesca si compone esplicitamente ed in modo riconoscibile di tendenze comuniste, socialiste, socialdemocratiche di sinistra o rosso-verdi anche se queste non sono necessariamente organizzatein modo correntizio.

2) in secondo luogo la trasparenza del dibattito interno. In misura diversa tutti i partiti che non si richiamano al modello del centralismo democratico rendono esplicite le differenze di orientamento o le divisioni che le attraversano. Il dibattito è trasparente non solo agli iscritti ma anche all’opinione pubblica e naturalmente ai media che spesso, essendo ostili, utilizzano queste divisioni come arma di lotta politica contro le stesse forze di sinistra. Ma questo non ha portato alcun partito a compiere una scelta di chiusura del dibattito, anche se poi questo viene gestito in forme e con procedure diverse, a volte mettendo limiti alle forme di organizzazione delle tendenze, altre volte valorizzando la possibilità del singolo iscritto di intervenire nella decisione politica senza mediazioni.

 

Franco Ferrari

 

 

Bibliografia

 

primaria

 

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