Votiamo europeo

Votiamo europeo

di Roberto Musacchio – Nella sua ultima sessione di luglio il Parlamento Europeo ha approvato in aula una risoluzione che da’ indicazioni su come si dovrà votare alle prossime consultazioni elettorali per il suo rinnovo che sono già convocate per i giorni tra il 22 e il 25 maggio del 2014. In sostanza ci sono alcune novità di un certo rilievo. La prima e’ che si invitano i Partiti Europei a presentare un proprio candidato per la carica di Presidente della Commissione Europea. Questo perche’ il Presidente verra’ questa volta proposto dal Parlamento Europeo sulla base del risultato del voto delle elezioni e di un successivo voto in aula. La seconda e’ che si chiede agli stessi Partiti Europei di presentare un programma comune. La terza e’ l’invito a candidare nelle liste nazionali anche esponenti di altri Paesi.

Intendiamoci, il tutto e’ ben poca cosa rispetto all’assetto post democratico assunto dalla governance con l’insieme delle misure di metodo e di merito messo in campo per imporre l’austerità. Pochissimo anche rispetto ai propositi che erano stati sbandierati di arrivare almeno ad una riforma del voto che permettesse l’elezione del PE per liste europee, dandogli per questa via più rappresentatività. La stessa elezione in questo nuovo modo del Presidente della Commissione e’ un compromesso tra varie istanze in campo, tra chi vuole una parlamentarizzazione, finalmente, delle funzioni legislative e di governo e chi aspira a un presidenzialismo ad elezione diretta. Per giunta, la necessita’ di avere il voto della maggioranza del PE per essere indicati Presidenti fa pensare che si arriverà probabilmente, come già accade oggi e da tempo per la figura del Presidente del Parlamento, ad un accordo di larga coalizione tra Popolari e Socialisti che gia’ gestiscono in alternanza la figura che presiede i lavori d’aula.

La risoluzione e’ per altro piena di richiami al bisogno di far partecipare i cittadini europei ad una discussione su programmi e nomi che sia la più larga e trasparente.

C’e apprensione nel mondo di Bruxelles per un voto che potrebbe vedere manifestarsi una repulsa fortissima per le sue politiche, espressa sia in termine di astensione di massa che di successo delle forze cosiddette anti europee.

Che le prossime elezioni continentali siano in grado di incidere sul percorso dell’ormai famoso aereo dal pilota automatico e’ tutto da dimostrare. Fin qui, come si e’ visto più volte, l’Europa tecnocratica ha fatto propria la battuta che si usava per il vecchio mondo comunista “se il popolo e’ contro il comitato centrale, sciogliamo il popolo”! Ma anche se la forza costituente della Troika ha fin qui dimostrato una volontà tetragona di imporsi, non per questo non bisogna provare ad usare gli spazi di democrazia rimasti nel modo migliore possibile.

Quello che appare possibile e’ che questa volta la campagna elettorale per il PE sarà seguita dai cittadini avendo in mente proprio il funzionamento di questa Europa, le domande sul perche’ tutto ciò che viene loro imposto venga giustificato con l’obbligo europeo e sulla impossibilita’ di una alternativa. Come fu ai tempi di Cernobil, mi si passi il paragone, in molti vorranno sapere di cose astruse come il Six pack, il Two pack, il Fiscal Compact, la Troika.

Sarebbe dunque assurdo fare di questa scadenza ancora una volta una sorta di resa dei conti per le vicende della politica nazionale come accaduto praticamente sempre fin qui. Ma oggi questo sarebbe una mistificazione insopportabile.

Al contrario, se si parlerà di Europa si potrà andare al fondo del perche’ si sia in questa situazione, o almeno provare a farlo. Quando leggo perciò che queste elezioni potrebbero essere, ad esempio in Italia, una sorta di rivincita di quello che sarebbe il centrosinistra tradito dal governo delle larghe intese, penso che se si parlerà di Europa questa tesi troverà la sua falsificazione nella verifica e nel confronto con ciò che e’ accaduto, e accade, sullo scenario europeo, e nei singoli Paesi. E invece si potranno trovare risposte, o almeno cominciare a cercarle, da parte dei tanti, pur diversamente collocatosi anche in un passato recentissimo, che si stanno sul serio interrogandosi sul perche’ di questa situazione e sul come uscirne anche grazie a un nuovo ritrovarsi, naturalmente in modi diversi dal passato.

Questa idea del tradimento che non amo e che mi colpisce quando avanzata da chi si definisce innovatore, non tiene la ricostruzione fattuale. Per la quale si evince che l’insieme della costruzione tecnocratica e post democratica e delle politiche di austerità e’ stata largamente condivisa dalle due principali famiglie politiche europee, quella popolare e quella socialista. Quasi tutti i provvedimenti che la sostengono sono stati votati insieme. E i comportamenti nazionali sono stati improntati alla medesima logica di ineluttabilità della governance. Per stare all’Italia, non si potra’ certo dimenticare che al cuore della carta d’intenti della coalizione Italia Bene Comune, ci stava proprio il rispetto degli impegni europei. Che funziona anche per il governo delle larghe intese.

Naturalmente il problema viene da molto lontano, dall’origine della costruzione di questa Europa, che e’ andata di pari passo con il sostanziale dissolversi di una sinistra che avesse una idea di alternativa di societa’. E questo, per intendersi, non e’ circoscrivibile al “facile” bersaglio Blair ma vale per quel Delors che inizio’ da ministro del secondo governo Mitterand la liberalizzazione della finanza e poi come Commissario Europeo mise al centro la crescita assai piu’ che il modello sociale.

In molti casi la costruzione europea e’ stata appaltata alle tecnocrazie che, via via, si sono intrecciate con la politica, sussumendola verso quella sorta di potere unico di cui parla Amoroso nel suo ultimo libro, Figli di Troika. L’idea della diarchia Franco-Tedesca, lungi dal consentire una armonizzazione verso i portati alti del modello sociale europeo, come a lungo accarezzato dai socialisti quando per altro tenevano di riserva di fronte ai cosiddetti problemi dell’allargamento la carta delle cosiddette due velocità, ha al contrario determinato una sussunzione intorno al modello esportativo tedesco usato come frusta verso tutti gli altri ormai impossibilitati a difendersi per la perdita della sovranità nazionale e la mancanza di una sovranità continentale.

Tutto questo non viene dal nulla e neanche solo dalla geopolitica. In realtà ci parla di un compromesso tra le borghesie che hanno accettato questo predominio tedesco ottenendo in cambio ciò che la frusta consentiva e cioè la riduzione sistemica del ruolo del lavoro e del pubblico.

La costruzione della gabbia del debito e della austerità e’ stata il momento in cui tutto ciò si e’ fatto nuovo potere costituito. Nessuno rimuove le cause reali del debito che, come per la America Latina degli anni ’70, risiedono nei differenziali di produttività e occupazionali, e quindi nello scambio ineguale imposto, oltreché nella forza speculativa della finanza. Nessuno pensa ad un governo democratico che permetta all’Europa di diventare quello che gia’ in partenza non era e cioè un’area compatibile con una moneta unica, ma al contrario la governance e’ ferrea nel mantenere ed aggravare le asimmetrie.

Quando dico nessuno, purtroppo, mi riferisco alle sinistre liquefatte o integrate in questo processo che neanche si sono poste il tema di una nuova dimensione di quelle coalizioni del lavoro e dei diritti che ne avevano rappresentato la forza nell’epoca dei compromessi nazionali progressivi.

Poi ci sono le storie nazionali che pure e’ interessante vedere alla luce di questo punto di vista. Quella tedesca, dell’egemonia della Merkel che coopta largamente la Spd, cui i sondaggi non lasciano molte speranze per il voto del prossimo 22 settembre, e che, dopo aver votato gran parte dei provvedimenti della Cancelliera, rischiano ora di avere come sole alternative quelle di stare all’opposizione o di entrare al governo con lei. Quella del centrosinistra italiano che, da Ciampi a Letta, passando per Amato, Dini, Prodi e Monti, e’ stato largamente, da solo o in larghe coalizioni, il depositario di queste politiche pur in una epoca che per il suo costume potremo ricordare come berlusconiana.

Difficile pensare che il socialismo europeo, per dire della forza divenuta egemone in questo dissolversi delle ragioni della sinistra, o il centrosinistra italiano siano una possibile soluzione dei problemi quando ne sono una parte significativa.

E allora? Per fortuna la storia, al contrario di chi lo ha teorizzato, non finisce. Per fortuna pure questa Europa che ha rotto con i suoi fondamenti sociali e valoriali vede movimenti insorgere e resistere, dalla Grecia, alla Spagna e, se si guarda più attentamente, anche in tutte le altre realtà comprese quelle dell’est. Forze giovani e nuove, che provano a stare fuori dal recinto e a rialzare la testa. E a volte si rincontrano anche sinistre non rassegnate, lungamente confinate, ma che ora provano a riaffacciarsi. Syriza in Grecia e’ l’uno e l’altro e non a caso in tanti guardano alla sua esperienza.

Ma non si tratta solo di avere un modello o anche un candidato per la campagna elettorale che sia veramente simbolo di diversità, e pure Syriza e il suo leader Alexis Tsipras, potrebbero esserlo. Si tratta di capire dove si situa il possibile punto di inversione di tendenza, di rottura.

Io credo che l’attuale Unione non sia riformabile in modo evolutivo, per vie interne. La crescita che accompagna la austerità assomiglia alle vecchie convergenze parallele e il leader della Spd Schultz come competitor del candidato che la Merkel troverà per i Popolari europei somiglia molto, per me, a Bersani e a una storia che abbiamo gia’ visto.

Serve altro. Una vera rottura, una forza che si chiami fuori dal recinto e che provi a costituirsi come forza europea a partire dal fatto che prova a costituirsi come coalizione sociale continentale. E che contrasti cio’ che sta accadendo. Ma e’ possibile che alla disoccupazione galoppante, soprattutto giovanile, si proponga dalla Merkel, dal Consiglio Europeo e da Letta una sorta di interinale europeo gestito dalle aziende che stravolge anche il vecchio Erasmus e il carattere pubblico della formazione? Possibile che la cosiddetta flessibilizzazione dei parametri del debito, di cui si vanta Letta, sia in realtà la richiesta di più tagli alla spesa sociale per “liberare” risorse per opere “europee” come l’alta velocità?

Ma poi occorre la forza di una proposta alternativa praticata. Se l’unica Europa che si possa chiamare veramente cosi’ e’ quella che crea le condizioni di una vera armonizzazione sociale e ambientale, che garantisca eguaglianza e dignità del reddito e dei diritti sociali e di cittadinanza, lavoro dignitoso e ambientalmente e socialmente vocato, accoglienza e solidarietà, cooperazione e non competizione e guerre economiche e militari, democrazia, come la si fa?

Interrogarsi su questo, in modo partecipato , e’ il modo per me utile di fare nostra anche la scadenza elettorale. Due sono le strade che vedo. Quella di una disobbedienza sistematica alla austerità e ai trattati, praticata dal basso, dai territori e dalle loro istituzioni che sono martoriate da questa tecnocrazia e che, al contrario, possono essere fondanti una nuova Comunità Europea Democratica. L’altra, congiunta ad essa, e’ riarticolarla la costruzione di questa Comunità a partire dalle sue parti che subiscono di più il fallimento del vecchio asse geopolitico franco-tedesco. E cioè il Sud, il Mediterraneo come perni di un’altra politica, ecologicamente e socialmente connotata, che si doti anche di proprie strumentazioni, oltre che essere proposta politica per ripensare il tutto. Naturalmente non rinunciando, ed anzi insistendo a porre il tema della armonizzazione sociale e della democrazia per tutta la attuale Unione.

In questo quadro sta anche la questione della moneta, dell’euro che invece di buon servitore si e’ fatto cattivo padrone, per dirla con Latouche. Anche qui il nuovo ci viene dai movimenti, da quelle pratiche di nuova economia che si avvalgono di una critica radicale della finanziarizzazione, di nuove monete pensate per nuove relazioni tra il produrre e il consumare, che vivono addirittura la dimensione antica ma modernissima del dono. Non dunque un ritornare a ciò che non c’e più, ad esempio quella lira che fu tra le prime monete ad essere sostanzialmente privatizzata con il distacco operato tra il Tesoro e la Banca d’Italia proprio da uomini del centrosinistra nascente, ma l’inventare il nuovo.


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