Droghe e carcere, aspettando Godot
Pubblicato il 24 lug 2013
di FRANCESCO MUSER – il manifesto -
Il 25 giugno, alla Camera dei deputati è stato presentato come tradizione il Libro Bianco sugli effetti della legge Fini-Giovanardi, anticipando come sempre la Relazione annuale del Governo. L’anno scorso, il ministro Riccardi dette il via libera al documento solo ad agosto, quest’anno il silenzio è determinato dalla mancata designazione del responsabile politico per la politica delle droghe. E’ bene riproporre i dati del 2012 elaborati dalla Società della Ragione, da Forum Droghe, da Antigone e dal Cnca, con l’adesione di Magistratura Democratica e dell’Unione delle Camere Penali. Sette anni di applicazione della legge antidroga del 2006 sono un tempo politicamente fin troppo lungo; statisticamente, rappresentano un periodo significativo per un giudizio fondato sull’impatto della normativa sul funzionamento della giustizia, sull’attività di polizia, sul sovraffollamento delle carceri, sul circuito sanzionatorio relativo al semplice consumo. Un detenuto su tre entra in carcere per violazione dell’art. 73 della legge voluta da Giovanardi, che sanziona molteplici condotte, dalla coltivazione, allo spaccio, alla cessione, alla detenzione di sostanza stupefacente: si tratta di 20.465 persone, pari al 32,47% del totale degli ingressi nell’anno 2012. Quanto ai detenuti presenti in carcere al 31 dicembre 2012 (65.701 persone), di questi i ristretti per l’art.73 ammontano alla cifra ancora più impressionante di 25.269 soggetti, pari al 38,46%. Qualcuno potrebbe dire che comunque si tratta di trafficanti/spacciatori. Non è così perché il traffico e il grande spaccio sono puniti dall’art. 74, per il quale risultano detenuti, sempre al 31 dicembre 2012, solo 761 soggetti. Dunque, c’è da presumere che la gran parte di quei 25.269 siano i famosi «poveracci» che affollano il carcere, i «pesci piccoli» dello spaccio e i consumatori colti dalla polizia con un poco di sostanza in più della «soglia» (al di sopra della quale si presume che il possesso di droga sia a fine di spaccio). Il ministero dell’Interno, avvalendosi della relazione della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, è puntuale come un orologio svizzero nel presentare la sua relazione annuale: dalla quale sappiamo che il maggior numero di denunce riguarda i derivati della cannabis (hashish, marijuana, piante). Sono 15.466 denunce sul totale di 36.796: il 49%, in ascesa di otto punti rispetto al 2011. Il capitolo sui tossicodipendenti è ugualmente impressionante: su 63.020 ingressi nel 2012, 18.225 sono i tossicodipendenti, pari al 28,92%; i detenuti tossicodipendenti presenti in carcere al 31 dicembre 2012 sono 15.663, pari al 23,84% del totale. I dati che presentiamo sono del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e del ministero dell’Interno. Non sappiamo se la relazione al Parlamento redatta dal Dipartimento Antidroga, quando uscirà, si atterrà ancora alla nuova classificazione proposta nel 2011, fra «dipendenti» e «assuntori senza dipendenza». Dietro lo schermo della «scientificità», questa classificazione malamente nasconde il tentativo di ridimensionare il numero dei tossicodipendenti in carcere, per celare il fallimento delle norme più propagandate della legge: quelle che avrebbero dovuto allargare l’accesso dei tossicodipendenti alle terapie alternative al carcere. La realtà è che i tossicodipendenti continuano a stare in carcere e che la legge antidroga contribuisce in maniera sostanziale al sovraffollamento carcerario: con il risultato della recente condanna dell’Italia per violazione dei diritti umani da parte della Corte di Strasburgo. Ce n’è più che d’avanzo per provvedimenti urgenti nel campo della normativa e della politica antidroga. Il governo, ministra Cancellieri in testa, batta un colpo.
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