Paolo Borsellino, memoria di una morte annunciata
Pubblicato il 19 lug 2013
di Maurizio Zoppi – lettera43.it - Il 21 e il 56, due numeri da giocare al Lotto, magari sulla ruota di Palermo.
Invece rappresentano due cifre molto importanti per tutta la nazione: 21 sono gli anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, in cui vennero barbaramente uccisi, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, 56 sono i giorni di distanza da una esecuzione all’altra.
Il 19 luglio 2013, tutta Italia ricorda l’uccisione del giudice Borsellino. Una domenica di 21 anni fa, l’ex procuratore di Marsala, si recava a far visita a sua madre. Un ordigno esplosivo radiocomandato all’interno di una 126 rossa devastò gran parte della zona residenziale.
LE ALTRE VITTIME DELL’ESPLOSIONE. Oltre a Paolo Borsellino, morirono il caposcorta Agostino Catalano e gli agenti Emanuela Loi – prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio – Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l’esplosione, in gravi condizioni.
Bombe di Stato, di ‘casa’ o ‘cosa’ nostra. Un dato è indiscutibile: questi due attentati, hanno segnato la storia politica e sociale dell’Italia.
INCHIESTE PERSE O ARCHIVIATE. Dopo 21 anni, i mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio, sono ancora sconosciuti. Inchieste giudiziarie perse, altre archiviate, o con qualche brandello ancora in corso.
Le stragi del 1992 a Palermo sono la fotografia di una forma di Stato pronta ad assicurare il ‘mafiosello’ di turno. «Come presunti colpevoli siamo fermi a boss e picciotti», ha ricordato il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, titolare dell’ultima inchiesta, peraltro non ancora conclusa sulla strage di via D’Amelio.
LE TESTIMONIANZE MANCATE DI BORSELLINO. Inchieste, mai in grado di puntare più in alto. Di svelare quei tanti misteri avvolti nei due attentati. Perché nessun magistrato ha mai avuto il tempo di interrogare proprio il giudice Borsellino a seguito dell’uccisione del fraterno amico e collega Giovanni Falcone?
Anche se la Procura di Palermo non era titolare delle indagini sulla strage di Capaci, il giudice Borsellino, avrebbe voluto testimoniare davanti i suoi colleghi nisseni. Continuava a ripeterlo anche ai giornalisti, ma nessuno lo ha mai interrogato.
Un giudice «condannato a morte»
Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, il pm aveva parlato della sua condizione di «condannato a morte». Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e di essere stato abbandonato dallo Stato.
«Non è solo la mafia che vuole uccidermi» svelava alla moglie il giorno prima di essere ammazzato.
LA RICERCA TARDIVA DELLA VERITÀ. E mentre a Palermo, con un processo che si è ufficialmente aperto il 27 maggio 2013, si cerca la verità sulla presunta trattativa tra Stato e mafia, a Caltanissetta si è avviato un altro dibattimento che dovrà riscrivere, di nuovo, la storia della strage di via D’Amelio.
SI RIPARTE DALL’AGENDA ROSSA. Ora si riparte dell’agendina rossa. Quella che Paolo Borsellino portava sempre con sé, nella sua borsa. Anche quel 19 luglio 1992, quando la sua auto saltò in aria. Le indagini guidate dal Procuratore Sergio Lari avviate dimostrano come le poche “verità su via D’Amelio ”passate negli anni al vaglio dai processi sono state ‘avvelenate’ dalle dichiarazioni di tre falsi pentiti (Vincenzo Scarantino, Calogero Pulci e Francesco Andriotta), che proprio per la strage del 19 luglio 1992, hanno mandato all’ergastolo sette innocenti.
Lari, tempo fa, aveva definito un «colossale depistaggio», quello che è stato architettato dagli apparati investigativi e dai servizi segreti, per manipolare le dichiarazioni di Scarantino.
IL DEPISTAGGIO DELLA VERITÀ. Proprio il falso pentito, sarebbe stato indotto ad accusarsi di essere l’autore del furto della Fiat 126 imbottita di tritolo esplosa in via D’Amelio. Le sue dichiarazioni depistanti sarebbero state ‘suggerite’ dagli stessi investigatori che avrebbero anche ‘taroccato’ un verbale del 1994.
LE ANNOTAZIONI DEL POLIZIOTTO. Agli atti dell’inchiesta sono finiti alcuni fogli con le annotazioni di un poliziotto che lo avrebbe imboccato alla vigilia dei suoi convulsi e contraddittori interrogatori in aula nei processi celebrati sulla strage. Quindi, falsi pentiti, menzogne, intrighi. Un mistero ancora irrisolto, come tanti misteri italiani.
A distanza di 21 anni dall’eccidio di via D’Amelio, le nuove indagini, adesso cercano di trovare nuovi riscontri attraverso le testimonianze del pentito di mafia, Gaspare Spatuzza (condannato a 15 anni per la strage di Via D’amelio, assieme a Fabio Tranchina e Salvatore Candura).
IL LEGAME CON I POTERI FORTI. La storia di via D’Amelio, forse, rimarrà uno dei tanti punti interrogativi in Italia. Una di quelle storie dove la mafia si lega con i poteri forti dello Stato. Come la storia sull’ipotetica trattativa tra Stato e mafia avviata in quei mesi delle stragi, di cui lo stesso Borsellino sembrava essere al corrente.
Tutto quello che è avvenuto dalla strage di Capaci in poi, è ancora avvolto da troppe nebbie. In questi anni abbiamo assistito a depistaggi, a polemiche infinite su arresti eccellenti a “ritorni di memoria” e smentite fra ministri e politici. Anche per questo 21 e 56 sono due cifre importanti. E proprio ora, oltre ad essere certi che i mandanti della strage di via D’Amelio sono ancora a volto coperto, lo Stato, attraverso la politica, per volontà dei familiari di Paolo Borsellino, si terrà ufficialmente alla larga da tutte le commemorazioni in onore del giudice palermitano.
Venerdì, 19 Luglio 2013
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