Università, i totem dell’ideologia e la favola dei valutatori

Università, i totem dell’ideologia e la favola dei valutatori

di Ugo Olivieri – il manifesto –

Il Rapporto Ocse smentisce gli “esperti”: spendiamo meno di tutti e abbiamo la minor percentuale di laureati. A proposito di merito: borse di studio decurtate e tasse aumentate

L’occasione era ghiotta: la pubblicazione nei giorni scorsi del Rapporto Ocse 2013 sullo Stato dell’istruzione a livello mondiale. Finalmente avrebbero potuto trovare conferma tutte le prese di posizione dei vari ministri dell’economia e dell’università, (Tremonti, Gelmini, Profumo e un ex premier professore liberista come Monti) sugli sprechi dell’università italiana e una conferma autorevole perché veniva da una fonte ufficiale “estera”. Finalmente avrebbero trovato fondamento internazionale le tante prese di posizione di illustri ideologi (Giavazzi, Andrea Ichino, Martone ecc.) del passaggio al privato del settore dell’istruzione pubblica.

Peccato che appena è risultato chiaro che trovavano, invece, conferma le opinioni di chi da anni denuncia, sì lo sfascio dell’università pubblica italiana, ma accentuato e in taluni settori provocato proprio dai provvedimenti legislativi messi in campo dai nomi citati , il Rapporto Ocse è rimasto nel cassetto. E peccato che la grande stampa, tranne rare eccezioni, una volta capito che avrebbe dovuto smentire i propri illustri editorialisti, ha preferito non esercitare il diritto di cronaca e d’informazione. Ci ha pensato il sito Roars.it redatto da alcuni docenti e ricercatori dell’università italiana, spulciando le 440 pagine di dati del Rapporto e ne mettendo in raffronto i risultati con le dichiarazioni degli “esperti” che hanno libero corso sulla stampa e in Parlamento. Il confronto è divertente, sempre che ci si possa divertire delle proprie disgrazie.

Due perle su tutte: la convinzione della Gelmini che l’Italia spende per l’università in linea con la media europea, ma spende male, trova una splendida smentita nel Rapporto che mette in evidenza come l’Italia, rispetto alle nazioni europee, è quella che spende meno in istruzione (spende il 61% rispetto alla media Ocse e il 69% rispetto alla media dell’Europa dei 21) ed è quella che ha tagliato di più in Europa sul settore dell’istruzione, seguita nella graduatoria dalla sola Ungheria. L’ispiratore della riforma Gelmini, l’accademico Francesco Giavazzi, economista ed editorialista del Corriere della Sera, aveva sempre proclamato la santa e sana verità del neo-liberismo: questo paese ha troppi laureati (sottinteso: discipliniamo e selezioniamo l’accesso all’università col numero chiuso adottato oggi un poco ovunque). Verità oggi smentita dal Rapporto Ocse che mette in rilievo come l’Italia, con il 21% dei laureati sulla percentuale della popolazione nazionale tra i 25 e i 34 anni, sia ben al di sotto della media Ocse (39%) e superiore in Europa solo alla Turchia (19%) .

Non vogliamo sottrarre al lettore il piacere di leggere il prosieguo della storia che vede le smentite dei vari totem dell’ideologia neo-liberista: l’università italiana costa troppo poco; la laurea non serve a trovare più facilmente lavoro; è meglio la scelta di privatizzare l’università piuttosto che lasciar gravare sui contribuenti un settore passivo e improduttivo.

Vogliamo a nostra volta raccontarvi una storia che riguarda ancora l’istruzione: la fiaba della valutazione meritocratica degli atenei attraverso l’Anvur, l’Agenzia Nazionale della Valutazione dell’Università e della Ricerca. Questa fiaba della valutazione meritocratica obiettiva ce l’ha recentemente raccontata Luigi Guiso in un articolo “Le università e il binomio tra fondi ed efficienza” comparso domenica 26 maggio sul Sole24ore.

La fiaba inizia evocando una vecchia università di baroni, pubblica e perciò inefficiente, inefficace e paludata. Quando tra pochi mesi saranno noti i risultati della valutazione delle strutture universitarie messa in opera dal decreto Ava, voluto dall’Agenzia nazionale di Valutazione, ci sarà finalmente – argomenta Guiso- un risultato obiettivo sullo stato della ricerca e della didattica a cui seguirà un processo di felici tagli della parte malata dell’istituzione in vista del finanziamento di efficienti università di stile anglosassone.

Come in tutte le fiabe per bambini, i protagonisti derivano da miti ben più complessi e crudeli dell’edulcorato ruolo che svolgono nelle narrazioni per l’infanzia. Cominciamo dall’Anvur che dovrebbe essere ente terzo tra l’università e il ministero. In realtà nelle sue origini c’è un mistero da sciogliere poiché i suoi vertici sono stati nominati dal ministro Gelmini sulla base di una scelta i cui criteri e le cui valutazioni sfuggono: non risulta che vi sia stato un bando per l’assegnazione di queste nomine né sono chiari i criteri che hanno portato a scegliere certi docenti rispetto ad altri. E ancora, i magici criteri di valutazione sono davvero magici, dato che non sono stati discussi con la comunità scientifica ma calati dall’alto e, poi, posti all’attenzione delle varie società scientifiche e, spesso, sono stati clonati da identiche procedure del mondo della valutazione anglosassone. Comunque alla fine i migliori saranno premiati con degli incentivi.

Peccato che nel frattempo il ministero, non informato di questa fiaba, ha tagliato dagli stipendi dei docenti universitari, da 4 anni, gli scatti d’anzianità da trasformare (ma quando?) in scatti di merito non generalizzati, ha tagliato del 50% la possibilità d’utilizzare i fondi ricerca per andare in missione per convegni e ricerche.

Né gli studenti se la passano meglio, sono stati decurtati del 30% i fondi per le borse di studio (sostituite dal prestito d’onore tramite le banche che bisogna restituire con interessi alti), sono state aumentate più del 20% le tasse, sono stati congelati e in molti casi chiusi i dottorati e i corsi di laurea. Viene il sospetto che, visto l’apparato produttivo italiano ormai tecnologicamente obsoleto, non serva uno strato di persone altamente scolarizzate, democratiche e formate alla complessità della modernità. Alle fiabe non ci crediamo più, e soprattutto non crediamo all’ideologia di cui gronda il discorso sulla valutazione e sulla meritocrazia.

Da tempo le varie organizzazioni professionali del mondo della scuola e dell’università hanno elaborato delle richieste di revisione delle politiche neo-liberiste sull’istruzione e un modello di diversa gestione della scuola, dell’università e della ricerca (una buona parte di questi documenti dell’ultimo anno l’abbiamo pubblicata nel dossier su “Scuola e Università pubblica” della rivista “Il tetto”, numero 293-94, gennaio-aprile 2013) .

Ci verrebbe da ricordare agli ideologi della valutazione che in quell’utopia concreta che si chiama democrazia, valutare è un’operazione volta a indagare quali sono le zone di sofferenza del sistema per impiegarvi risorse onde perequarle alla media ed eliminarle. La democrazia è, infatti, mettere tutti in condizione di partire dallo stesso punto, non dare solo a pochi la possibilità di ricercare e di studiare. La contraddizione è sempre più palese tra la garanzia dei diritti all’istruzione e alla ricerca, tutelati dalla Costituzione, e quindi, attraverso il diritto allo studio e alla ricerca, l’aspetto più complessivo dell’accesso democratico alle forme dei saperi e, viceversa, la riduzione di tali diritti a servizi e prestazioni messa in opera dalla riforma Gelmini e dai vari decreti Tremonti e poi Monti sul contenimento della spesa pubblica in nome del pareggio di bilancio.


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