Viaggio a Essen, gli operai della Berco nella tana ThyssenKrupp

Viaggio a Essen, gli operai della Berco nella tana ThyssenKrupp

di Mario Di Vito -
Una cosa del genere non si vedeva dagli anni eroici delle lotte operaie. Dopo un paio di decenni di «se» e di «ma», una comunità intera si compatta a difesa di una fabbrica e dei suoi lavoratori, senza dubbi, senza voltarsi dall’altra parte. Copparo è un puntino sulle mappe, a pochi chilometri da Ferrara, né Veneto né Emilia Romagna, o forse entrambi i luoghi insieme. Qui c’è la sede principale della Berco, industria che produce «componenti per carri cingolati e macchine utensili», più famosa negli Usa e in Germani che in Italia. Lo stabilimento è un colosso da 500mila metri quadrati e ci lavorano quasi duemila persone. Lo spettro della crisi si è abbattuto su Copparo poco tempo fa con l’annuncio di 611 licenziamenti, da dividere con la fabbrica di Busano, in Piemonte.
La città però non ci sta, e sui balconi sono fioriti striscioni di solidarietà ai lavoratori, uno spettacolo solo all’apparenza simile a quello del resto d’Italia, che in questi giorni sui balconi espone tricolori a sostegno della nazionale di calcio.
Dopo aver chiesto ed essersi visto negare a più riprese un incontro con l’ad dello stabilimento, Lucia Morselli, gli operai hanno deciso: si prende e si va in Germania, a incontrare quelli che davvero decidono se nasce o se muore una fabbrica. La stanza dei bottoni è quella della ThyssenKrupp, proprietaria del gruppo. Strano a dirsi, la direzione teutonica ha deciso di incontrarli questi operai coraggiosi, che nella mattinata di ieri sono partiti in cento, a bordo di due pulmini. Non da soli, con loro, appunto, la comunità: il sindaco di Copparo Nicola Rossi (Pd), l’assessore provinciale di Rifondazione Stefano Calderoni, il deputato emiliano di Sel Giovanni Paglia, oltre a una rappresentanza dell’Anpi.
Questa mattina gli operai scenderanno dai pulmini e si ritroveranno ad Essen, nel bel mezzo della Ruhr, «la regione più industrializzata del mondo», in passato approdo di tanti emigranti dall’Italia e non solo. Ma non solo questo, non più. Carbone, acciaio, ferro e fuoco sono diventati elementi di un paesaggio artistico molto postmoderno: i vecchi capannoni si sono trasformati in musei, le miniere abbandonate ospitano performance, un recente censimento ha contato più di duecento teatri. Quella che un tempo era chiamata in maniera anonima «valle della Ruhr» è diventata «Ruhr Metropolis», tra l’espressionismo visionario di Fritz Lang e l’elettronica pop dei Kraftwerk. Niente a che vedere con la vita italiana, questa sì, ferma a un paradiso che può essere solo un sogno per quella classe operaia dipinta da Elio Petri e Gian Maria Volontè.
I lavoratori della Berco si imbatteranno anche nella «cattedrale del carbone», lo Zollverein, polo industriale per eccellenza fino al 1993, quando chiuse, segnando un po’ la fine dell’età dell’acciaio in Germania e, di conseguenza, in tutto il mondo. Dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 2001, adesso qui sorge un museo, rude e magnifico come la sua storia, che attira un milione e mezzo di visitatori ogni anno.
Questa è oggi la tana della famiglia Krupp, proprietaria dell’impero siderurgico più potente del mondo, tanto che nel vocabolario tedesco il loro nome è indicato come sinonimo di «forte». Il concetto è chiaro.
È con lo spirito di chi tenta un’impresa impossibile che gli operai di Copparo incontreranno i giganti. La logica che ha portato all’annuncio dei 611 licenziamenti spietata: alleggerire i costi dello stabilimento per renderlo più appetibile a un ipotetico acquirente. Contro ogni logica, i manager spiegano che – in una fabbrica con un fatturato di 500 milioni di euro e che esporta il 90 percento della sua produzione in 80 paesi diversi -, il problema è rappresentato dal costo del lavoro. Non le strategie sbagliate, non la poca lungimiranza e la sostanziale incapacità di leggere una realtà, dunque un mercato, in evoluzione: se le cose cominciano a mettersi male le prime teste a saltare sono quelle di chi siede sul gradino più basso della piramide. Probabilmente gli operai della Berco torneranno a casa con niente in mano. Sconfitti, ma mai definitivamente arresi.

Il Manifesto – 28.06.13


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