Indesit conferma 1425 licenziati «Il governo fermi chi delocalizza»

Indesit conferma 1425 licenziati «Il governo fermi chi delocalizza»

di Adriana Pollice -

È durato appena mezzora ieri il confronto tra Indesit e sindacati. Il tempo sufficiente all’azienda per confermare il piano con 1.425 esuberi e la chiusura di due impianti, a Melano in provincia di Ancona e a Teverola, nel casertano, e i confederali hanno la sciato il tavolo. Già indette otto ore di sciopero in tutti gli stabilimenti del gruppo entro il 5 luglio e poi stop alla produzione il 12 nelle cinque fabbriche di elettrodomestici con manifestazione unitaria a Fabriano, sede legale del gruppo. Lunedì il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, incontrerà i sindacati per fare il punto. Il governo riferirà poi in Commissione Industria al Senato. La multinazionale italiana partecipata dalla famiglia Merloni sta cercando di spostare la produzione in Polonia e Turchia. Non perché la crisi stia rovinando gli affari, il calo c’è ma fa ancora utili, è solo che delocalizzando i dividendi volano. «È una follia mettere al centro degli interessi le dinamiche dei mercati finanziari: è necessario investire nel settore elettrodomestico, secondo per importanza nel paese solo a quello dell’automotive», il commento della Fim.
All’annuncio della rottura delle trattative sono scattate immediate le proteste. I circa 300 operai di Melano si sono riuniti in mensa per leggere gli articoli della Costituzione che riguardano il lavoro e i diritti: «C’è tanta rabbia – spiega Valeria Tizzoni, della Rsu Fiom – Indesit si è presentata al tavolo con un atteggiamento di chiusura totale». Accanto c’è lo stabilimento di Albacina, anche lì sospensione del lavoro, mentre a Comunanza (240 i tagli previsti), nell’ascolano, si sono riuniti in presidio con gli amministratori locali. La diminuzione del personale servirà a far calare la produzione di lavabiancheria per almeno 140 mila pezzi l’anno, e saranno realizzate in Turchia. «I tagli mettono a rischio anche gli stabilimenti che ancora continueranno a produrre, come Comunanza – spiega il segretario provinciale della Fiom di Ascoli Piceno, Angelo Alfonsi – Qui si scenderà a 700 mila pezzi l’anno, sapendo che solo con un milione non si metteranno gli addetti in cassa integrazione».
Stop alle linee anche nelle fabbriche casertane di Teverola e Carinaro: qui dovrebbe abbattersi il taglio più forte, con la perdita di 540 posti di lavoro. In particolare, il piano prevede la chiusura dell’impianto che produce lavatrici, per delocalizzare a est, lasciando i frigoriferi a Carinaro. Tanto per indorare la pillola, dovrebbero aggiungersi i piani forno incassati nei frigo, ma si tratterebbe di una decina di operai in più. «Sono sicuro che, in questo modo, tra due anni chiudono tutto il polo casertano – commenta Vincenzo Sglavio della Fiom – Non ci sono più i volumi e poi il precedente piano barattava la chiusura di Brembate e Refrontolo con una crescita produttiva negli altri impianti. Invece tornano alla carica con altre dismissioni. Il punto vero è che il governo deve bloccare le delocalizzazioni». Da queste parti la vertenza Indesit è una bomba sociale, di palliativi come la rottamazione degli elettrodomestici nessuno vuole sentir parlare, il punto è la ricerca e lo sviluppo di nuovi materiali per essere sicuri di avere un futuro.
Il 24 giugno i presidenti delle cinque province marchigiane, il presidente della provincia di Perugia e dell’Upi dell’Umbria, i sindaci, le organizzazioni sindacali, si ritroveranno a Fabriano per studiare un’azione condivisa. Il 4 luglio ci sarà la mobilitazione di politici ed enti locali del casertano. Della multinazionale non si fidano gli operai e nemmeno gli amministratori. I vertici aziendali, dopo la rottura, hanno provato a giocare con la semantica, per allentare un po’ la pressione: «L’Indesit prende atto con rammarico della decisione sindacale di interrompere il confronto sul piano presentato, si rende fin d’ora disponibile a riavviare un confronto costruttivo, finalizzato all’individuazione di ogni soluzione possibile e sostenibile a sostegno dell’occupazione dei dipendenti», recitava il comunicato diffuso ieri. La reazione è arrivata a stretto giro: «L’azienda dice che penserà a tutelare i lavoratori, ma è cosa ben diversa dal voler tutelare le produzioni che, evidentemente, considera già perse per l’Italia», replica Fabrizio Bassotti, segretario della Fiom di Ancona.
il manifesto 22 giugno 2013

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