Quando è la piazza a decidere

Quando è la piazza a decidere

di Massimo Villone -
Si consuma dunque l’ordalia, e la rete espelle con il 65% dei voti la senatrice Gambaro. In tutti i soggetti organizzati il pensiero diverso è un problema per chi è sulla plancia di comando. E, nelle circostanze di volta in volta date, la diversità viene definita come ricchezza, o come tradimento. Ovviamente, se la rappresentazione ha luogo in una bocciofila o nel club del golf, la cosa non interessa altri che i soci. Ma quando succede in un partito che ha preso il voto di un quarto del corpo elettorale, interessa tutti. Questo perché un simile partito oggettivamente – piaccia o non piaccia – pesa sulle scelte che riguardano tutto il paese. Vediamo subito l’aggancio con l’art. 49 della Costituzione, per cui tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. E vediamo subito anche il problema. Per la Costituzione, il concorso nella politica nazionale è indissolubilmente legato al “metodo democratico”. Quindi la domanda diventa: il metodo dell’assemblea virtuale e del giudizio della rete è “democratico”?
In apparenza, è una scelta ottimale. Tutto il popolo che ha espresso quel rappresentante viene chiamato a valutare le sue parole e trarne le conseguenze. Nessun intermediario, nessuna delega, una diretta assunzione di responsabilità per ciascuno. Che potremmo volere di più?
È vero solo in parte, perché mancano del tutto garanzie formali che riteniamo in ogni caso indispensabili. Chi partecipa, chi vota, chi effettua lo scrutinio e come, chi garantisce la democraticità, la regolarità e la trasparenza del processo decisionale, come ci si assicura che i diritti di chi partecipa a quel processo siano effettivamente e pienamente rispettati, chi controlla che non ci sia alcuna degenerazione di voto organizzato. Tutto questo manca, mentre alla fine – come ben sanno i costituzionalisti – la democrazia è anche procedimento, è garanzia formale. Certo non solo questo, ma anche questo. È la determinazione del consenso dei più attraverso una griglia di forti garanzie. Se queste garanzie mancano, allora il concetto stesso di democrazia si dissolve.
Applicando fino in fondo il mantra del M5S che la rete decide può accadere che ci sia più partecipazione, ma meno democrazia. È solo in apparenza un paradosso, perché la partecipazione democratica – che risponde ai canoni dell’art. 49 Cost. – presuppone un’organizzazione, presuppone sapere chi come dove e quando assume decisioni che esprimono la volontà collettiva, sapere quali sono i gruppi dirigenti, come sono selezionati, la loro investitura, come si organizzano i processi decisionali, come si garantiscono i diritti di chi vi prende parte. In sintesi, presuppone regole predeterminate, certe, garantite, conosciute, sull’organizzazione in cui la partecipazione si svolge e sui diritti di chi partecipa.
Il caso della senatrice in odore di tradimento ci pone dunque la domanda se è giusto che sia la piazza – qualunque piazza, virtuale o reale – a decidere. In qualche modo, avvertiamo che non è giusto. Altri diritti vengono in gioco: il diritto di difesa di chi viene incolpato, il diritto ad avere una contestazione motivata e puntuale della violazione commessa, il diritto a un contraddittorio, il diritto ad essere giudicato da un giudice terzo e imparziale. Sarebbe un giudice imparziale l’agorà? In un certo senso lo sarebbe, certo, come era imparziale il popolo che nell’anfiteatro romano chiedeva al principe la vita o la morte del gladiatore sconfitto, e come era imparziale lo stesso principe che alzando o abbassando il pollice decideva.
E infine, viene in gioco il diritto ad essere liberi nella manifestazione del proprio pensiero e – nel caso della senatrice – nell’esercizio della rappresentanza politica. Attorno alla libertà di espressione del rappresentante elettivo la storia ha costruito un solido argine di difese, che si traducono in garanzie per la persona e l’attività del parlamentare. Il fatto che ci sia chi di queste garanzie abusa non ci deve indurre a dimenticare le giuste ragioni che le hanno fatte nascere.
Quindi, la piazza virtuale non è necessariamente la casa della democrazia e dei diritti individuali e collettivi. Un risultato ottimale richiede una sintesi efficace tra il mondo nuovo della rete e le ritualità antiche ma non obsolete della democrazia che ci vengono consegnate dalla storia. La capacità di operare questa sintesi segna la differenza tra un partito grande, e un grande partito.

Il Manifesto – 20.06.13


Sostieni il Partito con una



 
Appuntamenti

PRIVACY







o tramite bonifico sul cc intestato al PRC-SE al seguente IBAN: IT74E0501803200000011715208 presso Banca Etica.