Colombia. Pace e riforma agraria, le Farc e il governo ci mettono la firma
Pubblicato il 28 mag 2013
Geraldina Colotti -
Dopo oltre sei mesi di trattative, le Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc) e il governo di Juan Manuel Santos hanno raggiunto un primo accordo. Domenica, a Cuba, la firma ufficiale e ieri un comunicato congiunto. Uno storico passo avanti che, se non rimane solo sulla carta, definisce il quadro di una riforma agraria, il primo dei sei punti sul tavolo del negoziato. «L’accordo sarà l’inizio di trasformazioni radicali della realtà rurale e agraria della Colombia con equità e democrazia. Mette al centro la gente, il piccolo produttore, l’accesso e la distribuzione della terra, la lotta contro la povertà», ha promesso il comunicato congiunto.
In un suo documento, anche la guerriglia marxista – la più longeva dell’America latina – ha analizzato il contesto e gli obiettivi dei negoziati che, dopo tanti tentativi andati a vuoto, potrebbero metter fine a un conflitto sociale lungo mezzo secolo: «In questo tavolo di discussione, abbiamo preso in mano, come bandiere al vento, le rivendicazioni storiche più sentite dai contadini senza terra, dalle comunità rurali depredate dalle grandi multinazionali – scrivono le Farc. – Nelle Cento proposte minime orientate allo sviluppo rurale e agrario per la democratizzazione e la pace con giustizia sociale in Colombia, sono espresse le idee di giustizia che chi sta in basso ha chiesto vengano ascoltate e riconosciute».
Le Cento proposte sono state il frutto di un grande dibattito che ha investito i settori popolari colombiani, principalmente nelle campagne e nelle comunità indigene, ma anche nelle città. Il movimento Marcia patriottica – composto da contadini, operai, studenti, chiesa di base, sinistra e settori progressisti della società – ha organizzato importanti manifestazioni di sostegno alla proposta di pace, dentro e fuori il paese. «All’Avana – scrivono ancora le Farc – stiamo aprendo un sentiero perché il popolo faccia ascoltare la sua voce come protagonista principale nella costruzione della pace. Però preoccupa che mentre la maggioranza chiede riconciliazione e giustizia, il paese debba continuare a sopportare il peso di misure e politiche economiche che consegnano il nostro territorio alla voracità delle multinazionali, che continui ad aumentare la disuguaglianza, e continuino a cadere dei compatrioti, da un lato e dall’altro, in una guerra lunga mezzo secolo che richiede una soluzione politica».
I negoziati di pace hanno preso avvio l’ottobre scorso a Oslo, in Norvegia, a novembre le delegazioni si sono spostate a Cuba. Norvegia e Venezuela hanno fatto da garanti. All’annuncio del primo accordo, Nicolas Maduro, eletto presidente del Venezuela dopo la morte di Hugo Chávez, il 5 marzo, ha detto che continuerà a impegnarsi per la pace. Soddisfazione anche da parte del presidente ecuadoregno, Rafael Correa e del boliviano Evo Morales. Anche Santos – in carica dal 2010 e pronto a ricandidarsi a maggio 2014 -, ha celebrato «lo storico passo avanti» in un twitter. La seconda fase delle trattative partirà l’11 giugno. Sul tavolo, altri punti caldi come il risarcimento alle vittime del conflitto e il rientro in sicurezza dell’opposizione armata nella vita politica.
Ieri, è arrivato a Bogotà il vicepresidente Usa Joe Biden, che si sposterà poi in Brasile e nei Caraibi. Dopo il recente viaggio di Obama in Centroamerica, tocca a lui verificare la tenuta degli accordi economici e commerciali con l’America latina. Di fronte al blocco dei paesi socialisti (Cuba, Venezuela, Ecuador, Bolivia) che hanno scelto un’altra strada, Washington deve rilanciare il patto con l’arco dei satelliti in cui il vento del cambiamento non ha ancora trovato sbocco. Il Pentagono ha già annunciato un congruo aumento dei finanziamenti «per la sicurezza». Ieri, l’ambasciatore statunitense a Bogotá, Michael McKinley, ha però definito l’accordo «un progresso incoraggiante». Ha fatto invece comprensibilmente fuoco e fiamme José Félix Lafaurie, capo della Federazione colombiana degli allevatori (Fedegan), che concentra la proprietà di 38 milioni di ettari (sui 44 milioni circa compressivi).
Il Manifesto – 28.05.13
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