La crisi del Pd

La crisi del Pd

di Tonino Bucci -
Il Pd si è suicidato. Tante volte è stato scritto, adesso pare che sia successo davvero. Nel giro di pochi giorni Bersani & Co hanno scatenato un putiferio nella base. Le sedi del partito sono in rivolta. A quel che si dice sarebbero in corso un po’ ovunque assemblee, occupazioni e proteste al grido di “Occupy Pd”. Nonostante gli elettori del Pd ne abbiano dovute mandare giù tante, di scelte indigeste, soprattutto da un anno a questa parte, ritengono quella del governissimo con Berlusconi un’ipotesi inaccettabile. La rielezione di Napolitano alla presidenza della Repubblica non ha fatto altro che esasperare gli animi. Gli autoconvocati che occupano le sedi chiedono l’azzeramento di tutto il gruppo dirigente – nazionale e locale – e l’avvio di congressi aperti a tutti. Nel frattempo, il mancato sostegno alla candidatura di Stefano Rodotà, le divisioni nel gruppo parlamentare, la lotta tra fazioni e i veti contrapposti hanno mandato letteralmente in frantumi la leadership di Bersani. E’ finita con le dimissioni del segretario, caduto in brevissimo tempo dal ruolo di sicuro vincitore – così volevano i sondaggi alla vigilia delle elezioni – a quello di vincitore dimezzato. Neppure il tempo di portare fino in fondo l’incarico “virtuale” di formare un governo e di presentarsi alle Camere – come recita la Costituzione. Giorgio Napolitano – sempre lui – lo ha fermato prima.
Con Bersani finisce anche l’illusione di un Pd più socialdemocratico, più simile a forze europee di stampo classico, come i socialisti francesi o la Spd tedesca. Attorno a lui si era pure visto venire avanti un nuovo gruppo dirigente con l’emergere dei “giovani turchi” su posizioni antiblairiane e antiliberiste. L’era bersaniana aveva timidamente rispolverato i riferimenti al “lavoro”, alla “Costituzione” e al “partito”, impensabili ai tempi di Veltroni e del suo Pd fluido, leggero, postideologico, liberal-liberista, del “sì-ma-anche”. Solo che il partito di Bersani è abortito ancor prima di nascere. I presupposti della sconfitta c’erano già tutti fin dal momento in cui si è rinunciato ad andare a elezioni un anno fa, quando Berlusconi era politicamente finito. La scelta scellerata di sostenere il governo Monti – votandone in parlamento tutti i provvedimenti antipopolari – ha scavato un solco tra il Pd e il suo popolo. Di più: tra la sinistra – tra ciò che è inteso maggioritariamente come “la” sinistra – e il Paese reale.
Cosa verrà dopo Bersani è da vedere. Se ci sarà ancora il Pd, non è affatto scontato. Certo è che la caduta della sua leadership potrebbe aprire la strada a Renzi o, comunque, far rialzare la testa al “partito di Repubblica”. Al di là degli errori e dei limiti, la segreteria di Bersani ha fatto da argine all’egemonia esercitata dall’apparato mediatico e finanziario del giornale di Ezio Mauro. Buona parte dell’elettorato del Pd, compresi quelli che in questi giorni occupano le sedi, considera “Repubblica” il proprio quotidiano di riferimento. La bufera in corso nel Pd è la disfatta politica di un gruppo dirigente diviso in fazioni, legato alle amministrazioni locali e a interessi specifici, privo di una strategia comune e di un’identità ideale comune. Neppure capace – lo si è visto in questi giorni – di garantire la compattezza del proprio gruppo parlamentare. Ma quella del Pd è anche la crisi di una “connessione” che bene o male ha tenuto assieme finora la parte maggioritaria del famoso “popolo di sinistra” con il Partito democratico. Nonostante le scelte di un gruppo dirigente che spesso e volentieri ha fatto il contrario di quel che ci si aspettava da esso, l’elettorato del Pd ha continuato a rappresentarsi come un elettorato di sinistra, magari turandosi il naso o ritenendo di scegliere il meno peggio nella situazione data. Ora, però, il legame simbolico o, se si vuole, la posizione di rendita che ancora spingeva molti elettori a considerare tutto sommato il Pd “il” partito della sinistra italiana, si è infranto. Esaurito. Nella sua disfatta c’è lo specchio della frantumazione della rappresentanza politica e della frattura tra partiti e paese reale.
> Per tutti questi motivi, la crisi del Pd è una faccenda che non riguarda solo il suo gruppo dirigente, la cerchia limitata dei suoi iscritti, ma coinvolge tutto il popolo generico della sinistra e il modo con il quale esso si è finora rapportato alla politica. Le reazioni di questo popolo sono sacrosante, ma al tempo stesso sorprendenti. In fondo, gli elettori del Pd – e prima di loro, quelli del Pds-Pd – hanno mandato giù scelte altrettanto devastanti di quelle compiute con la rielezione di Napolitano. Basterebbe ricordare l’abolizione dell’articolo 18, la riforma Fornero delle pensioni, il pareggio di bilancio e, andando a ritroso nel tempo, la guerra nel Kosovo, il pacchetto Treu e la Bicamerale, con tanto di relativa legittimazione di Berlusconi. Come è stato possibile che l’indignazione  non sia mai esplosa prima d’ora? Sulla base di quale atto di fede una parte dell’elettorato di sinistra ha assiduamente votato il Pd ritenendo di scorgere in esso una continuità con il Pci e l’unica alternativa esistente per la sinistra italiana? Può anche essere che, essendo il Pd un partito di amministratori, abbia costruito appartenenza e consensi nei territori che governa. Ma da sola la dimensione delle amministrazioni locali non spiega il monopolio pressoché maggioritario del consenso finora esercitato dal Pd nell’opinione pubblica di sinistra. Sono passati – se si mette nel conto anche la storia del Pds e dei Ds – gli Occhetto e i D’Alema, i Veltroni e i Bersani, i governi di Prodi e di Amato. Tutte le scelte del gruppo dirigente del centrosinistra sono state, magari a malincuore, digerite e accettate. Tutto è scivolato come acqua sul marmo, nella convinzione che si trattasse di manovre “tattiche”, di concessioni momentanee a garanzia di un’alba radiosa, sempre di là da venire. Neppure l’esistenza di altre forze a sinistra del Pd ha mai realmente scosso il fideismo degli elettori del Partito democratico. Anzi, la sinistra “radicale” è stata spesso considerata con malcelato fastidio, con un misto di snobismo, di arroganza o, persino, di commiserazione. Questo va detto non per sfuggire alle responsabilità per la disfatta della sinistra italiana, che vanno ripartite fra tutti i suoi attori, in misura proporzionale al peso e al ruolo esercitati nella politica nazionale. E neppure si tratta di rifuggire dai limiti che la sinistra di alternativa e Rifondazione comunista hanno manifestato nel non saper costruire un polo di attrazione credibile per gli elettori di sinistra “senza partito”. Ma questo non esime gli elettori del Pd dal riflettere anche sulle proprie responsabilità. Un antico vizio della sinistra consiste nel voler cercare i propri nemici a cominciare da quelli che politicamente sono più vicini. Come dimenticare il Pd veltroniano, le tentazioni del partito maggioritario, l’obiettivo neppure troppo dissimulato di voler fare fuori la sinistra radicale? Ancora nell’ultima campagna elettorale è sembrato a tratti che l’avversario del Pd fosse la lista Rivoluzione civile, accusata di portare via voti utili per battere Berlusconi. Contemporaneamente si indirizzavano a Monti gli appelli per un’intesa di governo. I fatti hanno dimostrato come il gruppo dirigente del Pd abbia utilizzato i voti utili. Si è preferito materializzare la figura dell’avversario nelle fattezze di Ingroia, anziché preoccuparsi per la montagna di consensi che cresceva attorno a Grillo. Il gruppo dirigente del Pd – e, prima di esso, quello dei Ds – non ha mai avviato, in fondo, un confronto autentico con le posizioni politiche della sinistra alternativa. Oggi, per una sorta di nemesi del destino, si trova a competere con un soggetto come il M5S che rifiuta qualsiasi forma di legittimazione nei confronti di tutti i partiti e manifesta la propria incompatibilità verso l’intero sistema politico.
> Come andrà a finire, è impossibile da prevedere. La bufera in corso potrebbe portare acqua al mulino di Renzi e accelerare il passaggio definitivo a un partito di plastica, lontano anni luce dai temi del lavoro, ma molto vicino ai poteri economico-finanziari. Ma potrebbe anche andare diversamente. Se il Pd che abbiamo conosciuto fino a oggi dovesse scomporsi e dare adito a un nuovo big bang nella politica italiana, allora potrebbe aprirsi uno spazio di agibilità per un nuovo soggetto di sinistra. In ogni caso, è d’obbligo che ognuno si faccia un serio esame di coscienza per le scelte che ci hanno portato sin qui.


Sostieni il Partito con una



 
Appuntamenti

PRIVACY







o tramite bonifico sul cc intestato al PRC-SE al seguente IBAN: IT74E0501803200000011715208 presso Banca Etica.