Maduro assume l’incarico e resiste

Maduro assume l’incarico e resiste

Geraldina Colotti -
Scioperi, cacerolazos e un’altra vittima – l’ottava. La tensione persiste, in Venezuela, ma il peggio sembra per ora scongiurato. Oggi Nicolas Maduro assume l’incarico come nuovo presidente. Il 14 aprile ha battuto il candidato della destra, Henrique Capriles Radonski, con uno scarto di 272.865 voti: un margine decisamente inferiore a tutte le previsioni, che lo davano vincente con almeno 10 punti di vantaggio.
Una vittoria incontestabile, tuttavia, secondo tutti gli organismi internazionali presenti come osservatori e ancora sul posto. Capriles ha però subito gridato alla frode, ha chiesto di ricontare i voti uno per uno e ha chiamato i suoi allo scontro frontale con il chavismo. Morti, violenze, e una decisa reazione internazionale lo hanno però convinto a revocare la manifestazione indetta davanti alle sedi del Consiglio nazionale elettorale (Cne) e a seguire soprattutto le vie legali. A suo nome, il Comando Simon Bolivar che ha organizzato la campagna elettorale dell’opposizione, ha presentato al Cne una richiesta di verifica dei voti, in base a supposte denunce di irregolarità riscontrate in alcuni seggi. Se la risposta del Cne non risulta soddisfacente, l’opposizione ha 15 giorni per impugnarla e ricorrere alla sezione competente del Tribunal supremo de justicia (Tsj). La presidente del Tsj, Luisa Estella Morales, ha però precisato che la Costituzione del 1999 esclude il ricorso al voto manuale, in favore di quello automatizzato: la richiesta dell’opposizione di ricontare tutti i voti manualmente appare perciò inappropriata.
Il sistema elettorale prevede d’altronde una verifica anche manuale del 54% dei voti – una norma inclusa all’epoca su sollecitazione dell’opposizione -, e questo è avvenuto anche il 14 aprile. «Rispetteremo la decisione del Cne qualunque essa sia», ha dichiarato Nicolas Maduro.
A nome del Comando di campagna Hugo Chávez, il portavoce Jorge Rodriguez ha poi ribattuto punto per punto alle contestazioni dell’opposizione, animando la conferenza stampa con l’umore che gli è proprio. Alludendo alle dichiarazioni di tre deputati di opposizione, che già il 26 marzo avevano denunciato l’intenzione di Capriles di non riconoscere i risultati elettorali, Rodriguez ha detto: «Questa è un’elezione in cui molto prima di conoscere i risultati, la borghesia arancione (allusione al colore delle “rivoluzioni” inaugurate in Ucraina e Serbia, ndr) stava gridando alla frode. Siamo qui per smontare le menzogne di questo candidato a perdere – unico caso al mondo ad aver perso due presidenziali in meno di sei mesi». Ha mostrato un video che documenta aggressioni razziste dei gruppi di opposizione a un autobus di elettori afrodiscendenti e portatori di handicap. Ha invitato a visitare il sito del Psv per l’accesso a tutti i materiali. Poi ha commentato un foto del presidente Usa Barack Obama intento a votare: con una macchina costruita dalla stessa impresa che costruisce quelle venezuelane. «Però lì non si riconta, come da noi il 54% dei voti. Se il signor Capriles fosse stato candidato negli Stati uniti, avrebbe incendiato il paese», ha detto.
Oltre 30 nazioni hanno salutato l’elezione di Maduro: praticamente tutti i paesi dell’America latina salvo il Paraguay, più timida l’Unione europea. L’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) ha discusso ieri in Perù la crisi politica in Venezuela prima di recarsi a Caracas per accompagnare il nuovo presidente lungo le principali strade della capitale: nello stesso percorso compiuto durante la chiusura di campagna elettorale. Dagli Stati uniti, il Segretario di stato John Kerry ha invece condizionato il suo appoggio al nuovo conteggio dei voti chiesto da Capriles: «Se ci sono state irregolarità così gravi, bisogna porsi seri interrogativi sulla legalità di questo governo», ha affermato Kerry. A nome del popolo venezuelano, Maduro ha innanzitutto espresso solidarietà a quello nordamericano, ha condannato «energicamente» l’attentato alla Maratona di Boston. Ha però rifiutato «l’interventismo Usa» negli affari interni del Venezuela: «Non ci importa del suo riconoscimento, signor Kerry. Abbiamo deciso di essere liberi e continueremo a esserlo, con voi o senza di voi», ha detto Maduro. E ha aggiunto: «Perché si occupa del Venezuela e non dei gravi problemi economici, sociali e politici che colpiscono il popolo statunitense? Tolga il suo naso dal Venezuela, John Kerry, fuori da qui, basta ingerenze».
Da mesi, il governo bolivariano denuncia i piani di Washington (grande compratore di petrolio venezuelano) per sostenere Capriles nella riuscita di un nuovo «golpe suave»: non un colpo di stato militare come quello intentato contro Hugo Chávez l’11 aprile del 2002, perché l’unione civico-militare esistente oggi nel paese appare solida. La Forza armata nazionale bolivariana (Fanb) – coinvolta a tutti i livelli nella costruzione del «socialismo del XXI secolo» venezuelano – ha apertamente espresso il suo sostegno alla costituzione e alla legalità del voto, facendo cadere nel vuoto gli appelli di Capriles. Piuttosto, quindi, un processo di destabilitazione permanente, una guerra interna «di debole intensità» preparata con allarmi, denunce, provocazioni e discredito internazionale: perché finisca come in Honduras (la deposizione di Manuel Zelaya) o come in Paraguay (quella di Fernando Lugo). Nonostante la complessità dei problemi che presenta il proceso bolivariano, la democrazia «protagonista e protagonica» che ha messo in campo, forgiata in 18 elezioni compiute in 14 anni, ha però una ben diversa tenuta: si basa su un forte consenso popolare e sul rispetto della propria avanzata costituzione, che inquadra in forma pacifica il conflitto politico, ma non esclude il ricorso alla resistenza popolare.
Martedì, il ministro degli Esteri, Elias Jaua, ha inaugurato l’insediamento del Comitato per la difesa del popolo palestinese, rinnovando l’appoggio del suo governo «al piano di pace che esige il ritiro di Israele entro le frontiere precedenti il ’67 e per uno stato palestinese con Gerusalemme est come capitale». Maduro ha invece presenziato ai funerali di un militante ucciso e ha dichiarato le vittime «martiri della rivoluzione». I familiari degli scomparsi hanno invitato alla pace. La gente intorno gridava: «Giustizia, giustizia, Capriles responsabile, deve andare in prigione».

Il Manifesto – 19.04.13


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