L’altra metà del Mediterraneo

L’altra metà del Mediterraneo

di Giuliana Sgrena -
Oggi alle 9 il rettore dell’università di Manouba dovrà comparire davanti al giudice di primo grado (sciopero dei giudici permettendo) per la quinta volta. Il rettore è stato accusato di aver maltrattato due ragazze velate che avevano partecipato all’occupazione del suo ufficio. I salafiti avevano occupato l’università, alla fine del 2011 e inizio 2012, perché il rettore non voleva ammettere alla facoltà le studentesse con velo integrale. Il rettore Habib Kazdaghli era stato sequestrato nel suo ufficio ma, nonostante questo, sostenuto da tutto il corpo docente della facoltà di lettere e arti, non ha mai ceduto alle imposizioni degli integralisti islamici, tollerati invece dal governo. Le accuse delle donne hanno fatto rinviare a giudizio il rettore.
Oggi è la quinta comparizione e, come tutte le altre, è stata fissata durante le vacanze scolastiche per evitare la mobilitazione degli studenti. Questa volta però i giudici non hanno calcolato che la comparizione avviene nel pieno svolgimento del Forum sociale mondiale, che si tiene proprio in un campus universitario, anche se non quello di Manouba. Così ieri alle 2.500 firme raccolte tra docenti universitari a livello internazionale a sostegno di Kazdaghli si sono espressi anche gli universitari presenti al Forum.
«Quello contro Kazdaghli è un processo politico orchestrato da quelli che vogliono rimettere in causa la modernità dell’università, non si tratta tanto del niqab (velo integrale) ma di un altro modello di società che vuole imporre il governo nato dalle elezioni ma che è contro i valori della rivoluzione», ha sostenuto Habib Mellakh, docente di letteratura francese a Manouba, durante una conferenza stampa che si è svolta ieri nel centro stampa del Forum. A dimostrare la montatura sarebbero i continui rinvii non giustificati, tutte le prove contro il rettore sono state smontate dai difensori di Kazdaghli e anche un giudice l’aveva scagionato ma poi ha tardato ad emettere la valutazione per oltre due mesi, sostiene Habib Mellakh, a causa di contrasti e pressioni. Intanto a sostegno di Kazdaghli, che continua a difendere l’autonomia della sua università garantita dalla legge, si sono mobilitate una sessantina di associazioni tunisine e altre straniere.
Ma il caso del rettore non è l’unico all’interno della facoltà. L’ultimo è quello di Raja Ben Slama, accusata di diffamazione ma in realtà, sostiene lei, sottoposta a un processo per un reato di opinione. Ben Slama durante una trasmissione televisiva aveva accusato il relatore dell’Assemblea costituente Habib Kheder di «abuso di fiducia». Trascrivendo un articolo il costituente di Ennahdha aveva infatti modificato il contenuto di un articolo relativo alla libertà di espressione trasformando il senso con una formulazione liberticida, sostiene Ben Slama. L’utilizzo della giustizia per impedire la libertà di espressione riguarda anche Nadia Jelassi, professoressa alla scuola delle belle arti a Tunisi, e la giornalista Khédija Yahaoui. «Ormai siamo passati dai processi alle minacce di morte», sostiene una rappresentante dell’Osservatorio delle libertà accademiche.
La denuncia del caso Kazdaghli è stato solo uno dei momenti della prima giornata del Forum sociale mondiale, ma la solidarietà espressa è importante per rendere concreto il sostegno al processo rivoluzionario e di democratizzazione della Tunisia. La prima giornata del Forum all’interno del campus universitario è iniziata all’insegna della confusione e della messa a punto dell’organizzazione, volonterosa ma a volte ancora insufficiente a soddisfare una partecipazione di decine di migliaia di stranieri. Guardando i dibattiti, le partecipazioni, le facce, si tratta sicuramente di una grande manifestazione-incontro del Mediterraneo. Ma la scarsa presenza di africani, americani del sud e del nord (salvo il Canada e il Brasile) e l’assenza di asiatici non sembrano togliere importanza all’happening. La partecipazione ai dibattiti sul Mediterraneo (cittadinanza, migrazioni, diritti), a quelli sulle donne e i loro diritti nelle varie declinazioni che vedono fra le principali protagoniste le tunisine, la centralità assoluta della Palestina sono la ricchezza di questo Forum. E poi, come non notare il protagonismo dei sahrawi, gli iracheni e i kurdi, la presenza forte e organizzata marocchina, gli algerini che litigano tra di loro facendo emergere le fratture che la concordia nazionale di Bouteflika non ha mai sanato, il tutto circondato da bancarelle di tutti i tipi, da partite di calcio perché «lo sport è per tutti», concerti e canti. Anche l’arte deve avere la sua parte, soprattutto in un paese dove gli artisti vengono repressi. Non basta il campus per le loro performance, la sera si occupano anche i teatri e l’avenue Burghiba.
il manifesto 28 marzo 2013

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