Non una resa, una ripartenza

Non una resa, una ripartenza

di Claudio Grassi -
Sono state dette tante cose su queste elezioni. Ancora tanto si scriverà, visto il vero e proprio terremoto che hanno provocato e visto il quadro politico completamente instabile che hanno determinato. Mi limito ad elencare alcune brevi considerazioni.

Chi ha vinto?

Beppe Grillo e il M5S. 25 per cento. Ben al di sopra delle più rosee aspettative. Raccoglie voti a 360 gradi, dagli elettori delusi del centrodestra, del centrosinistra e della sinistra (in numero maggiore) e tra gli astenuti. È mia opinione che il grosso di questi consensi non siano dovuti ad una condivisione del programma che il M5S ha presentato. È stato invece un voto contro. Contro la politica, contro i partiti, contro la casta, tutti egualmente responsabili dell’attuale disastro. Mandiamoli tutti a casa. L’intreccio tra la crisi economica (che peggiora le condizioni non solo dei ceti sociali più deboli, ma anche di commercianti, artigiani, agricoltori, piccoli imprenditori) e il disgusto provocato da una classe politica che ha continuato a rubare a man bassa è stato il lievito potente di questo consenso. Valutazioni interessanti sono state fatte da Wu Ming sul successo di Grillo

Chi non ha perso?

Berlusconi (e il Pdl). Rispetto alle precedenti elezioni ha perso milioni di voti, ma il confronto va fatto con la situazione disastrosa in cui si trovava un anno fa. Dato per spacciato, è stato capace – e non è la prima volta – di una rimonta eccezionale che lo ha portato a sfiorare come coalizione la vittoria alla Camera. Lo ha fatto come sa fare lui, estremizzando il messaggio, sapendo di poter solleticare da un lato le pulsioni di una parte importante del Paese che evade il fisco (il condono tombale), dall’altro facendo leva sui bisogni materiali di tanta povera gente, promettendole soldi (restituzioni dell’Imu). Il tutto attaccando Monti e prendendo le distanze dalle sue politiche (che pure aveva votato), che hanno prodotto grande disagio nel Paese. Deridere la sua spregiudicatezza e rispondere a questi temi – come ha fatto il Pd – in modo aristocratico è stato uno dei principali errori di Bersani in questa campagna elettorale.

Chi ha perso?

Indubbiamente il Pd e, nel Pd, Bersani. Sicuro di vincere, si è trovato con un risultato che non gli consente di governare il Paese. Il Pd non ha i numeri per governare non solo – come aveva ipotizzato Sel – come coalizione di centrosinistra, ma nemmeno – come aveva sempre sostenuto Bersani – con Monti. Oggi il segretario del Pd si deve umiliare ad inseguire un accordo con Beppe Grillo che – per tutta risposta – lo definisce un “uomo morto” e “faccia da culo”. L’accordo difficilmente si farà e ciò segnerà il tramonto di Bersani, non adatto a guidare il Governo e non più in grado di tenere le redini del Pd dopo una sconfitta così cocente.

Ha perso anche Monti e chi aveva puntato – come l’Economist e i poteri forti europei- ad un Governo Bersani-Monti per dare continuità alle politiche di austerità e rigore.  Il professore della Bocconi non solo ha fallito nel suo obiettivo di fare da calamita tra un pezzo del Pd e un pezzo del Pdl, ma, non essendo i suoi voti determinanti, non può nemmeno giocare da ago della bilancia.

Ma chi ha perso più di tutti siamo stati noi, la lista Rivoluzione Civile. Non solo perché abbiamo raccolto un consenso che nemmeno i più pessimisti potevano lontanamente immaginare, ma perché oltre al risultato negativo vi è (per quanto riguarda Rifondazione Comunista per la seconda volta) l’esclusione dal Parlamento.

Potevamo fare diversamente? Vi era in campo un’altra ipotesi che poteva darci un risultato migliore? Non mi pare. Errori sicuramente sono stati commessi sia nella composizione delle liste, sia nella scelta dei temi su cui ci siamo caratterizzati nella campagna elettorale, ma questi elementi non sono stati determinanti nell’esito del voto. Il dato vero è che non siamo riusciti ad aprirci uno spazio tra la spinta al voto utile del centrosinistra e la forza attrattiva di Grillo nel fare il pieno del voto di protesta.

In sostanza siamo apparsi né carne né pesce. Né pungolo ad un eventuale Governo di centrosinistra, né polo credibile alternativo al centrodestra e al centrosinistra. Può non piacere, ma siamo stati percepiti così.

Il risultato politico di queste elezioni è stato molto negativo per Rivoluzione Civile, ma non si può dire che sia stato positivo per chi ha investito nell’internità al centrosinistra. Nonostante il forte calo del Pd e il nostro insuccesso, Sel non raccoglie minimamente questi consensi, ottenendo un dato di poco superiore al 3 per cento. Penso che i compagni e le compagne di Sel commetterebbero un grave errore se – avendo eletto un buon numero di parlamentari anche grazie ad un mostruoso premio di maggioranza – non aprissero anche loro una riflessione sulle difficoltà che ha incontrato il loro progetto politico e per riaprire un dialogo a sinistra. A maggior ragione in una situazione dove la leadership del Pd, molto probabilmente, passerà da Bersani a Renzi e considerata la buona probabilità che la legislatura appena iniziata si interrompa molto prima della sua scadenza naturale.

Che fare?

Per quanto riguarda Rifondazione Comunista non si può non inquadrare questo dato come la chiusura fallimentare di un ciclo, quello apertosi nel 2008. Forse non aveva tutti i torti chi nel congresso di Chianciano tentò fino all’ultimo che si evitasse quello sbocco. Sta di fatto che il tentativo di rilanciare Rifondazione Comunista non è riuscito, così come non è riuscito il tentativo di costruire – attorno ad essa – la sinistra di alternativa. Basta scorrere i passaggi essenziali: alle elezioni europee del 2009 la lista Prc – Pdci raccolse  il 3,4% e considerammo quel dato non positivo. Alle regionali del 2010 – come Federazione della Sinistra – arretrammo al 2.7%, dato che si confermò alle amministrative seguenti. La Federazione della Sinistra di fronte al passaggio delle elezioni politiche si è divisa nei fatti, nonostante non vi sia mai stato un atto formale di scioglimento. Infine – nonostante le opportunità che ci ha aperto la disponibilità di Ingroia ad accettare di guidare la lista di Rivoluzione Civile (e la presenza aggiuntiva rispetto la Fds di Idv e Verdi) -  il consenso è ulteriormente calato al 2,2%.

A fronte di un bilancio così negativo occorre prendere delle decisioni che non possono essere di semplice manutenzione. Lo deve fare prima di tutto il gruppo dirigente che deve assumersi la responsabilità di non essere riuscito  a raggiungere gli obiettivi che si era prefisso. Non si tratta di una fuga dalla realtà nel momento di massima difficoltà. È l’esatto contrario. Proprio per cercare di salvare un importante patrimonio politico e umano com’è ancora quello rappresentato da Rifondazione Comunista, mostratosi così generoso anche in questa campagna elettorale, dobbiamo fare qualcosa che non può essere riconducibile alla normale amministrazione.

Dobbiamo essere noi per primi a dare un segnale di svolta e di cambiamento. Questo segnale deve andare in due direzioni. Da una parte occorre un ricambio dei gruppi dirigenti. Non esiste nessun partito politico che dopo un numero così significativo di insuccessi non abbia dato vita ad un ricambio. Dall’altra dobbiamo avere l’onestà di riconoscere che noi da soli non ce la facciamo e che dobbiamo metterci a disposizione – aprendo un dialogo con tutti i soggetti politici, sindacali, di movimento che stanno a sinistra del Pd – per iniziare il percorso che porti alla costruzione di una nuova forza di sinistra alternativa, all’interno della quale far vivere e crescere il patrimonio politico, ideale, umano di Rifondazione Comunista e dei comunisti. Se non affrontiamo di petto questo problema, anche le compagne e i compagni che con grande passione e generosità sono rimasti, rischiano di ridursi sempre di più come sta avvenendo, purtroppo, da anni.

Se siamo d’accordo su questo, le modalità con cui raggiungere questi obiettivi si possono discutere. In ogni caso le decisioni su come procedere debbono essere largamente condivise altrimenti il processo non sarà evolutivo, ma drammaticamente involutivo. E, al punto in cui siamo, non potremmo certo permettercelo.


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