Renzi, lo “sfascista”

Renzi, lo “sfascista”

di Gianluigi Pegolo -

Sulla vicenda della manovra economica voluta da Renzi tornerò nei prossimi giorni quando verrà resa nota in tutti i suoi dettagli e si potrà uscire, finalmente, dall’indeterminazione e dagli stravolgimenti propagandistici. Ora vorrei invece concentrarmi su uno degli aspetti più inquietanti del progetto del novello leader, il suo disegno istituzionale e mi concentrerò, in particolare, sul progetto di superamento del Senato, del quale tanto si parla. E’ toccato alla ministra Boschi, sodale di Renzi, il compito di sferrare l’attacco più diretto alla cultura costituzionale, prendendosela con i professori che boicottano le riforme, dai vari Rodotà, Zagrebelsky e via dicendo. In poche parole, con il meglio della cultura istituzionale del paese, rea di non soggiacere alle innovazioni del reuccio fiorentino. Già di per sé questo suona come una esplicita vocazione al sovvertimento costituzionale che anima il nuovo governo e di una sua inclinazione autoritaria mal celata. Ma basterebbe citare Renzi stesso e le sue dichiarazioni rese alla trasmissione televisiva “Otto e mezzo”, circa la volontà di procedere  “rullando” ogni dissenso, per far capire quale idea di democrazia incarni il nuovo governo. Ma veniamo alla questione del Senato. L’idea del leader è la sua trasformazione in una camera delle autonomie dal profilo particolare. Un assemblaggio di presidenti di regioni, consiglieri e sindaci, non eletti dal corpo elettorale. Una delle motivazioni principali, al limite del ridicolo, ma non per questo meno pericolosa, è che alla fine questi soggetti non costerebbero nulla, in quanto non sarebbero soggetti ad altri emolumenti che a quelli spettanti loro per le cariche assunte localmente. Questa concezione delle istituzioni, di per sé sconcertante, perché alla fine fa dipendere il destino del secondo ramo del Parlamento in larga misura da una pura questione di contabilità, merita comunque una risposta argomentata. Essa, infatti, fa leva su quel senso comune anti-democratico a egemonia liberista – di cui ho parlato in un articolo precedente – che alla fine conduce alle torsioni centralistiche e all’esaurimento della partecipazione democratica.

In primo luogo, è un falso che il problema istituzionale, ivi compresa la questione della governabilità, sia riconducibile sic et simpliciter al bicameralismo perfetto sul quale è imperniato il nostro sistema istituzionale. Questo problema è stato dibattuto per decenni, ma in ultima analisi la ingovernabilità ha trovato la principale spiegazione in una rappresentanza non solo frammentata, ma spesso assai poco coesa, come ha dimostrato l’inefficacia, a tale riguardo, dell’introduzione del maggioritario.

Non solo, c’è’ da dire che all’allungamento dei tempi dell’iter legislativo che un sistema bicamerale perfetto comporta si aggiunge però un ruolo di garanzia democratica superiore e una qualità della produzione legislativa generalmente migliore. Peraltro, fior fiori di democrazie si reggono su sistemi bicamerali e non per questo ciò ha menato scandalo.

C’è, tuttavia, chi sostiene che, a prescindere da queste osservazioni, un problema esiste in un sistema così frammentato e, a tale proposito, si cita il dibattito che coinvolse il PCI intorno al tema del passaggio al monocameralismo. Il punto fondamentale, però, è che anche nell’ipotesi che si volesse differenziare il ruolo del Senato da quello della Camera dei deputati, il progetto renziano reca in sé una impostazione pericolosissima.

Questo progetto, infatti, oltre a differenziare le funzioni del Senato da quelle della Camera, cui compete il voto di fiducia al governo, prevede – come si diceva – una elezione di secondo livello fra gli amministratori locali. E  lo fa portando a giustificazione alcuni sistemi, come quello tedesco. L’argomento usato, tuttavia, non sta in piedi e per almeno due buone ragioni.

La prima è che nel sistema tedesco, la seconda camera (il Bundesrat) non nasce solo da una lunga tradizione di autonomia degli stati che compongono l’attuale repubblica tedesca, ma si compone dei rappresentanti dei governi di tali stati. Si tratta, in pratica, di una struttura federale in cui in una delle due camere sono rappresentati gli esecutivi dei Lander. Cosa centra tutto questo con uno stato non federale e con consiglieri regionali o sindaci pescati qua e là?

Seconda osservazione. Nel sistema tedesco il Bundestag, cioè l’equivalente della nostra Camera dei deputati, è non solo eletto a suffragio universale, ma lo è pure con un sistema proporzionale, seppure limitato da una soglia di sbarramento del 5%. Nel caso invece della riforma Renzi – Berlusconi, quella camera è eletta con un sistema iper maggioritario. Non esiste quindi alcuna garanzia reale di pluralismo, presente invece nel sistema tedesco.

Ne deriva, in ultima analisi, che il Senato che ha in mente Renzi è una pura celebrazione del bipolarismo (perchè è evidente quali partiti nomineranno i membri di questa assemblea), un bipolarismo che avvantaggia soprattutto il PD (che notoriamente è molto più favorito di Forza Italia nelle elezioni locali) e per di più composto da tanti ras locali, che cumuleranno cariche locali e nazionali. Una struttura docile basata sul notabilato locale e perfettamente funzionale ad una gestione centralista e antidemocratica. Un ritorno di fatto al sistema politico ottocentesco.

Per queste ragioni ha perfettamente ragione Claudio de Fiores su Il manifesto che, come unico rimedio, suggerisce un Senato delle garanzie per contenere le distorsioni del maggioritario che si vuole introdurre alla Camera dei deputati. E per questo è altrettanto giusto che le garanzie offerte dal Senato siano fondate su una rappresentanza popolare eletta con un sistema rigidamente proporzionale. Considerazioni di buon senso che non albergano in questo governo, né tantomeno nell’istrione che lo dirige. Entrambi da spazzare via il prima possibile.

 

 

 


Sostieni il Partito con una



 
Appuntamenti

PRIVACY







o tramite bonifico sul cc intestato al PRC-SE al seguente IBAN: IT74E0501803200000011715208 presso Banca Etica.