Social compact

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Mario Pianta -

La crisi infinita fa aumentare il divario tra il nord da una parte, il sud e l’est dall’altra. Le politiche dei Piigs aggravano la situazione: tagli a istruzione e ricerca, nessuna garanzia per chi rimane senza lavoro. La soluzione è inventare un modello sociale continentale, sottraendolo alle nazioni

II wel­fare state nazio­nali in Europa sono attra­ver­sati da più di una crisi, non ridu­ci­bili solo a quella finan­zia­ria. In primo luogo, e forse da più tempo, vi è una crisi di effi­ca­cia e appro­pria­tezza a fronte dei muta­menti avve­nuti negli assetti fami­gliari, demo­gra­fici, di mer­cato del lavoro ed eco­no­mici. Que­sta crisi a sua volta pro­duce ten­sioni tra il biso­gno di inno­vare e modi­fi­care in parte i modelli di wel­fare con­so­li­dati, per ren­derli più ade­guati alle nuove cir­co­stanze, e le resi­stenze che deri­vano non solo da diritti, e tal­volta pri­vi­legi, acqui­siti, ma dal timore che l’innovazione si tra­duca sem­pli­ce­mente in una ridu­zione gene­ra­liz­zata di diritti, senza che ciò pro­duca miglio­ra­menti com­ples­sivi e nep­pure mag­giore equità. Si tratta, per­ciò, anche di una crisi di legit­ti­mità. La terza crisi è finan­zia­ria, in un con­te­sto in cui i governi nazio­nali hanno poco potere deci­sio­nale. Que­sta terza crisi, infatti, è l’esito di tre feno­meni distinti: a) la ridu­zione delle ricorse a causa della crisi ini­ziata a fine 2009 e tut­tora per­du­rante; b) l’indebolimento della capa­cità dei governi nazio­nali di con­trol­lare il flusso delle risorse a causa della glo­ba­liz­za­zione e di quello che è stato chia­mato foo­tlose capi­ta­lism, il capi­ta­li­smo senza ter­ri­to­rio; per i paesi dell’eurozona, gli squi­li­bri creati da un’unione mone­ta­ria senza unione poli­tica e fiscale e dall’acuirsi delle divi­sioni tra i paesi cosid­detti cre­di­tori e quelli cosid­detti debi­tori. Non vi è dub­bio che la crisi finan­zia­ria acui­sce le prime due, ridu­cendo lo spa­zio per com­pen­sa­zioni e com­pro­messi. Il ruolo di primo piano che tut­ta­via ha assunto nel discorso pub­blico e nelle deci­sioni che infor­mano le poli­ti­che nazio­nali ed euro­pee, rischia di met­tere in ombra le altre due, o di ridurle a sem­plici esiti di una man­canza di risorse, senza, quindi, per­met­tere di affron­tare i pro­blemi da cui ori­gi­nano, indi­pen­den­te­mente dalla carenza di risorse.

Allo stesso tempo, il ruolo assunto dall’Unione Euro­pea nel det­tare le regole per affron­tare la crisi ha ulte­rior­mente inde­bo­lito lo spa­zio che hanno le poli­ti­che sociali e la costru­zione di un modello sociale euro­peo nella costru­zione della Unione.

Ovvia­mente, sia l’intensità di cia­scuna di que­ste tre crisi distinte, il grado della loro inter­di­pen­denza, le risorse per affron­tarli variano da paese a paese sulla base non solo della salute delle loro eco­no­mie e del potere nego­ziale che hanno all’interno dell’Unione Euro­pea, ma anche della lun­gi­mi­ranza che hanno avuto nel recente pas­sato nell’affrontare la prima crisi. I paesi, infatti, che da più tempo si sono attrez­zati per rispon­dere all’aumento nella par­te­ci­pa­zione delle donne al mer­cato del lavoro, alla richie­sta di mag­giore egua­glianza tra uomini e donne, ai biso­gni pro­vo­cati dall’invecchiamento, alla neces­sità di non spre­care le pro­prie risorse umane creando con­di­zioni di pari oppor­tu­nità tra i bam­bini per cor­reg­gere le disu­gua­glianze nell’origine fami­gliare, che hanno capito che un mer­cato del lavoro mobile e fles­si­bile aveva biso­gno di raf­for­zare e modi­fi­care le pro­prie reti di pro­te­zione, sono stati colti meno impre­pa­rati dalla crisi, con stru­menti più ade­guati. Anche se in tutti i paesi vi sono ten­sioni attorno a se e come ride­fi­nire gli stru­menti di welfare.

In que­sto con­te­sto, non solo le poli­ti­che di auste­rità, ma il discorso con cui sono state argo­men­tate a livello Ue, il diverso uso delle san­zioni e dei richiami che ven­gono fatti se si sfora il patto di sta­bi­lità piut­to­sto che se non si rea­liz­zano gli obiet­tivi sociali ha for­te­mente inde­bo­lito i wel­fare state già in par­tenza più deboli e più biso­gnosi di riforma, come quello ita­liano, facendo pas­sare l’idea che il wel­fare state sia la causa, se non della crisi tout court, del debito pubblico.

Gli occhi di Bru­xel­les sono tutti per il defi­cit di bilan­cio. Il defi­cit sociale di alcuni paesi, tra cui l’Italia, con i tassi di povertà asso­luta e depri­va­zione che aumen­tano, la disoc­cu­pa­zione che cre­sce, le poli­ti­che di con­ci­lia­zione che non ven­gono nep­pure più nomi­nate – ben­ché visto­sa­mente lon­tani dagli obiet­tivi di Europa 2020 – non pro­duce né richiami, né ripen­sa­menti della poli­tica di austerità.


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