L’Italia, il governo Renzi e l’”emergenza” profughi
Pubblicato il 29 mar 2014
di Stefano Galieni e Nando Mainardi -
Nei giorni scorsi, in numerose città del centro e soprattutto del nord del nostro paese, sono arrivati e stanno arrivando gruppi di profughi, e le Prefetture, gli enti locali e le associazioni dovrebbero occuparsi di dar loro un tetto, vitto, alloggio e attivare un percorso di inserimento avvalendosi di un finanziamento assegnato dal governo e proveniente in realtà dall’Unione Europea.
Chi sono queste donne e questi uomini, spostati da una parte all’altra della nostra penisola una volta giunti fortunosamente sulla terra ferma, nel quadro di quella che è stata definita la “missione umanitaria militare ‘Mare nostrum’? Non si sa, non c’è nessuno che si occupa di capire quale sia la loro provenienza: semplicemente vengono imbarcati su un aereo e portati in un’altra regione del paese. E questa non è certo la premessa migliore per un intervento che non sia unicamente dettato dall’emergenza. Di certo sappiamo che non sono arrivati da noi per una gita di piacere: in gran parte giungono dalla Libia ma i Paesi di provenienza sono molti. Provengono, dopo viaggi massacranti durante il quale subiscono ogni genere di abuso e sono nelle mani di spietati trafficanti che li trattano come merce pregiata, dal Mali, dal Chad e da altri Paesi dell’Africa Occidentale, dall’intero Corno d’Africa, soprattutto Eritrea e Somalia, dalla Siria e dalla Palestina ma anche da Iraq, Afghanistan, Bangladesh e Pakistan. Scappano da scenari di guerra o, comunque, di grande instabilità interna.
Il governo Renzi, i suoi organi preposti, così come i presidenti delle precedenti compagini si sono ben guardati dal fornire in tempo reale ogni informazione in merito, e lo stesso sito del Ministero degli Interni – che sta gestendo di fatto l’operazione – non offre né dati né notizie utili anche a predisporre un sistema di accoglienza. Evidentemente il premier e i suoi seguaci non considerano i profughi uno spot utile per l’imminente campagna elettorale, e per loro non c’è spazio nelle slide governative. Ma intanto le cose procedono: l’ultima circolare del Ministero degli Interni preannunciava alle Prefetture l’arrivo in diverse province di gruppi composti mediamente da quaranta persone, cui seguirebbe un secondo “invio” nei prossimi mesi. La ragione, a quanto pare, è che le strutture di prima accoglienza siciliane e – più complessivamente – del sud sono piene, e perciò non in grado di dare una risposta ai nuovi arrivati. In effetti, anche se la bella stagione, quella in cui si verifica un incremento degli arrivi a Lampedusa o sulle coste della Sicilia Meridionale, non è ancora giunta, le strutture informali, utilizzate lo scorso anno, sono ormai allo stremo. Da Porto Empedocle a Pozzallo a Messina, le persone finiscono ammassate in locali inadatti a contenere persone, ancora più emblematico il Cara (Centro Accoglienza per Richiedenti Asilo) di Mineo, in provincia di Catania, dove a fronte di una capienza di 800 persone ne risultano ancora stipate almeno 4000.
Le Prefetture, nei diversi territori, non si presentano a tasche vuote davanti a Comuni, associazioni e cooperative sociali, per definire una soluzione. Si avvalgono del già citato finanziamento frutto dell’intervento U.E. pari a 240 milioni di euro, che prevede un corrispettivo quotidiano per i gestori delle strutture ospitanti di 30 euro a profugo. Il rimborso – rispetto all’emergenza determinata dalla guerra in Libia – è calato (da 40/45 euro a 30 euro al giorno, appunto), ma non vi è alcuna modifica rispetto alle modalità di controllo e verifica dell’utilizzo effettivo delle risorse stanziate: Prefettura e gestore stipulano una convenzione, e per il resto ci si affida all’autocertificazione da parte del gestore. Esattamente come due anni fa, perciò, i profughi possono diventare un interessante business, e non certo a favore degli stessi migranti – come recita la propaganda razzista della Lega Nord – ma a favore dei gestori. Ovvero, chi mette a disposizione dei profughi una struttura, sottoscrivendo una convenzione con la Prefettura, arriva a percepire 1200 euro al giorno senza che vi sia alcun controllo sull’alloggio, sul vitto, sulle condizioni socio -sanitarie e sui percorsi formativi che andrebbero attivati, a partire da un corso di apprendimento della lingua italiana. Ovviamente, non si vuol dire affatto che tutte le organizzazioni impegnate nel dare localmente una risposta all’”emergenza” profughi lucrino sulla situazione -anzi – ma la modalità adottata dal governo e dalle Prefetture lascia totalmente mano libera a chi, tra esse, vuole lucrare. In più, le convenzioni, e quindi il finanziamento, devono durare – secondo le indicazioni governative – fino a giugno. Forse potranno essere prorogate, o forse no: nel secondo caso, i profughi saranno “scaricati” al Comune, che verosimilmente non avrà soldi per proseguire l’intervento. Non esiste in merito alcuno strumento di controllo e di vigilanza indipendente sull’operato dei gestori; spesso gli stessi operatori utilizzati vengono assunti con contratti a tempo determinato e stipendi miseri senza peraltro avere alcuna conoscenza delle tematiche connesse all’immigrazione, all’accoglienza e alle politiche interculturali.
Ma questo è solo uno dei diversi tasselli che, in questa vicenda, non quadrano. Partiamo dall’inizio, allora. Il nostro Paese è tenuto a dare accoglienza e assistenza ai profughi? Sì, questo obbligo deriva dal diritto internazionale, e riguarda chi scappa da conflitti e persecuzioni. L’Italia è invasa dai profughi, così come da propaganda della destra nostrana? No, è l’ennesima menzogna: basti pensare che, nel 2013, in Italia sono state presentate 27.800 domande di asilo, contro le 109.600 presentate in Germania, le 60.100 presentate in Francia e le 54.300 in Svezia. Hanno ragione i Comuni, come sta avvenendo in diversi casi, a criticare l’intervento proposto dal Ministero degli Interni e dalle Prefetture? Sì, anche se ovviamente sono inaccettabili le posizioni, esplicitamente o velatamente, fondate sull’intolleranza, il pregiudizio e il razzismo, e la risposta non può essere certo il “respingimento”, perché gli unici a pagare sarebbero le donne e gli uomini a cui urge dare una risposta. Il governo Renzi si muove nella stessa logica dei governi precedenti, fondata sull’emergenza e sull’improvvisazione: questo è il problema. Vi sono, nel nostro Paese, reti di enti locali quali lo Sprar (servizio protezione richiedenti asilo e rifugiati) che da anni lavorano in questo campo, che stanno gestendo ben 450 progetti e che sono stati totalmente ignorati dal governo stesso. L’assurdità di tale inadempienza viene confermata dal fatto che nel febbraio del 2014 è stato definito complessivamente un ampliamento dei progetti Sprar che, fino all’anno precedente poteva garantire 3000 posti, oggi oltre 13000, ma non se ne tiene minimamente conto. Come abbiamo sottolineato, le risorse sono distribuite a chi organizza l’accoglienza senza adeguate verifiche e controlli: non c’è alcun interesse da parte del governo sull’efficacia degli interventi. L’azione del governo Renzi, uguale anche su questo fronte ai governi precedenti, non ha inoltre alcuna progettualità: gli interventi, così come sono stati attivati, termineranno. Perciò il problema non è rappresentato dai profughi, ma dalle politiche pubbliche messe in campo in questi anni, che trattano donne e uomini in carne e ossa come fossero pacchi postali. I nodi stanno però venendo al pettine. Almeno dal 2011 molti dei profughi che giungono in Italia tentano di sottrarsi ai rilevamenti delle impronte per poter scappare in altri Paesi U.E dove magari hanno legami familiari e comunque prevalgono standard di accoglienza migliori. A frenarli c’è il “Regolamento Dublino”, giunto ormai alla terza revisione, che continua a prevedere l’obbligo per i profughi di fermarsi e chiedere asilo nel primo Stato Membro in cui si arriva. I profughi fuggono spesso, soprattutto in Nord Europa ma, se intercettati, vengono rispediti in Italia senza alcuna tutela. L’Unione Europea comincia a pronunciarsi negativamente sull’applicazione di detto regolamento in 4 paesi, Grecia, Bulgaria, Malta e appunto Italia, ma i rimpatri continuano. Nei Paesi in cui si garantisce il rispetto del diritto d’asilo (l’Italia è il Paese che incamera i maggiori finanziamenti in materia ma è l’ottavo in ordine al numero di rifugiati accolti), si investe sul rifugiato o sulla persona sottoposta a protezione internazionale, lo si rende rapidamente autonomo, si cerca di inserirlo nel mercato del lavoro, gli si garantisce uno spazio abitativo e un sostegno per i primi mesi che lo aiuti a riprendersi. In Italia e non solo, molti profughi, nonostante lo status e i diritti da rivendicare sulla carta, finiscono in processi di clochardizzazione diffusa: secondo un rapporto di Medici per i Diritti Umani (Medu) al gennaio 2013, nella sola città di Roma erano circa 1300 i titolari di protezione che risultavano senza fissa dimora. Ci sono obblighi internazionali a cui l’Italia si sta sottraendo, viene chiamata emergenza quella che è un numero risibile di persone da gestire, rifiuta di riformare i propri sistemi di accoglienza, non si dota di una legge organica sul diritto di asilo e lascia spazio alla discrezionalità di interpretazione delle norme. Questo produce guasti anche nella società italiana che è disinformata e disorientata ma anche danni dal punto di vista economico. In estate si andrà verso il semestre di presidenza italiana della Commissione Europea, è un ruolo di responsabilità successivo alle elezioni che muteranno certamente il quadro politico continentale. Su un punto però c’è l’accordo di molti Paesi e di molte forze politiche. Un punto sollevato mesi fa dalla Commissaria per gli Affari Interni uscente Cecile Malstrom che ha ribadito come, qualora l’Italia continui a non rispettare i propri impegni internazionali non riceverà più fondi dall’U.E. Un avvertimento da prendere seriamente non dettato dall’emozione suscitata dopo il naufragio del 3 ottobre sulle coste di Lampedusa ma dalle visite condotte dai rapporteur europei sui nostri standard di accoglienza.
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