Italia-Germania, il rigore c’è

Italia-Germania, il rigore c’è

di Jacopo Rosatelli – il manifesto

Governo. Il premier italiano incassa i complimenti della Cancelliera sul Jobs act. E lei la tranquillità: l’Italia non cambia linea, «la Germania va forte». Angela Merkel si confessa «colpita» da Renzi, ma non ha dubbi: «L’Italia rispetterà i patti». Lui: «Ma non siamo scolari». L’incontro di Berlino è un successo per i due fan del Modell Deutschland

Dovrà ricre­dersi chi pen­sava che l’energia del nuovo pre­si­dente del con­si­glio Mat­teo Renzi avrebbe por­tato a nuovi equi­li­bri in Europa. Che gli ita­liani si deb­bano con­si­de­rare «sco­lari die­tro la lava­gna» oppure no, la sostanza è sem­pre la stessa: la poli­tica di «gestione della crisi» seguita sin qua non cam­bierà di una vir­gola. Nell’Unione euro­pea con­ti­nuerà a regnare incon­tra­stata la visione con­ser­va­trice e libe­ri­sta, appa­ren­te­mente tem­pe­rata dalle imman­ca­bili con­ces­sioni reto­ri­che alla «neces­sità della cre­scita». Nes­suna «svolta buona», quindi.

Que­sto è il signi­fi­cato poli­tico fon­da­men­tale del tanto atteso debutto di Renzi in ver­sione pre­mier a Ber­lino. La can­cel­liera demo­cri­stiana (Cdu) Angela Mer­kel, ovvia­mente «molto col­pita e ben impres­sio­nata» dal gio­vane col­lega, ha pro­nun­ciato la frase-chiave della con­fe­renza stampa dopo l’incontro fra le dele­ga­zioni: «Non ho dubbi che l’Italia rispet­terà tutti i para­me­tri euro­pei». Con le ele­zioni euro­pee alle porte, Mer­kel ha potuto veri­fi­care in presa diretta che a Roma non c’è nes­suno che le ren­derà com­pli­cato chie­dere i voti ai suoi con­cit­ta­dini: i part­ner della peri­fe­ria sono «affi­da­bili», e Renzi non fa rim­pian­gere Enrico Letta.

Il neo­pre­mier, da par suo, ha incas­sato il pub­blico apprez­za­mento della can­cel­liera per alcune delle misure con­te­nute nel Jobs Act: in par­ti­co­lare, l’innalzamento a 3 anni della durata mas­sima del con­tratto a tempo deter­mi­nato senza cau­sale, su cui in patria pio­vono cri­ti­che. L’ok di Mer­kel non è casuale: il segre­ta­rio del Par­tito demo­cra­tico ha dichia­rato di ispi­rarsi pro­prio alle «riforme» tede­sche della cosid­detta «Agenda 2010», risa­lenti al governo di Gerhard Schrö­der, che resero più pre­cari i rap­porti di lavoro. Ma per i governi di Ber­lino e Roma si tratta, invece, del segreto del suc­cesso della Ger­ma­nia: il Modell Deu­tschland.

Il Paese che ieri ha accolto l’ex sin­daco di Firenze è in piena eufo­ria da conti pub­blici «sani». Secondo il mini­stero delle finanze, gui­dato dall’esperto Wol­fgang Schäu­ble (Cdu), la Repub­blica fede­rale può van­tare un bilan­cio in sostan­ziale pareg­gio ed è attrez­zata al meglio per ripor­tare — come pre­vede il Fiscal com­pact — nel giro di un decen­nio il suo debito dall’attuale 80 per cento al di sotto della soglia magica del 60 in rap­porto al Pil.

I recenti richiami della Com­mis­sione euro­pea a met­tere in equi­li­brio la bilan­cia com­mer­ciale, cor­reg­gendo l’eccesso di export, non sem­brano tur­bare la pla­cida tran­quil­lità di Mer­kel, che mostra di non avere inten­zione di cor­reg­gere alcun­ché. «I nostri pro­dotti vanno soprat­tutto al di fuori dell’Ue»: così suona il leit-motiv difen­sivo della can­cel­liera, che riven­dica di stare già facendo molto per il raf­for­za­mento della domanda interna. Ad esem­pio, l’introduzione del sala­rio minimo legale di 8,5 euro l’ora.

Il sin­da­cato dei ser­vizi (Ver.di) non è dello stesso avviso, e ha dato il via ad una serie di scio­peri in occa­sione dell’inizio delle trat­ta­tive per il rin­novo del con­tratto del pub­blico impiego. Gli oltre 2 milioni di lavo­ra­tori di comuni, regioni e fede­ra­zione vogliono più soldi in busta paga: per il sin­da­cato è giunto il tempo di aumenti di circa il 7 per cento, «dopo anni nei quali la quota-salari è costan­te­mente dimi­nuita in rela­zione all’insieme del red­dito nazio­nale». Era il 72,5 per cento nel 1992, nel 2012 era scesa al 67,3%: nei cal­coli di Ver.di signi­fica 80 miliardi in 12 anni.

Acco­gliere le richie­ste del sin­da­cato dei ser­vizi (dopo la IgMe­tall, la seconda cate­go­ria più impor­tante della con­fe­de­ra­zione uni­ta­ria Dgb) signi­fi­che­rebbe, a dispetto della pro­pa­ganda di Mer­kel, fare qual­cosa di con­creto per raf­for­zare final­mente la domanda interna. Le posi­zioni dei nego­zia­tori dalle due parti del tavolo, però, sono al momento lon­ta­nis­sime fra loro: secondo i por­ta­voce dell’amministrazione, la piat­ta­forma «estre­mi­sta» dei lavo­ra­tori pub­blici non tiene conto delle esi­genze di bilancio.

A fianco dei lavo­ra­tori in mobi­li­ta­zione è schie­rata la Linke che, attra­verso la vice­ca­po­gruppo al Bun­de­stag Sabine Zim­mer­mann, mette in evi­denza non solo i pro­blemi sala­riali, ma anche l’aumento del pre­ca­riato nel set­tore pub­blico: il 20 per cento dei nuovi assunti è a tempo deter­mi­nato. Inol­tre, per il prin­ci­pale par­tito di oppo­si­zione «devono aumen­tare gli inve­sti­menti nelle infra­strut­ture e nei ser­vizi, attra­verso le mag­giori entrate che sareb­bero garan­tite da una vera tassa patri­mo­niale sulle grandi ric­chezze». Un’imposta pro­messa dalla Spd in cam­pa­gna elet­to­rale, e poi sacri­fi­cata sull’altare della Grosse Koa­li­tion.


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