Che novità: la laurea serve, dopo 5 anni di precariato

Che novità: la laurea serve, dopo 5 anni di precariato

di Roberto Ciccarelli – il manifesto

Università. Pubblicato il XVI rapporto Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati: senza lavoro un giovane su quattro a un anno dal titolo, ma dopo cinque la laurea è utile per garantirsi un futuro. Nella recessione i «dottori» disoccupati sono tuttavia aumentati del 15%. L’Italia resta fanalino di coda tra i paesi Ocse per numero di laureati. Investiamo solo l’1% del Pil in istruzione

Biso­gna usare con cura i dati sulla con­di­zione occu­pa­zio­nale dei lau­reati dif­fusi ieri a Bolo­gna da Alma­lau­rea, il con­sor­zio inte­ru­ni­ver­si­ta­rio che riu­ni­sce 64 ate­nei ita­liani. Nel XVI rap­porto che ha coin­volto quasi 450 mila lau­reati post-riforma emer­gono due ele­menti fon­da­men­tali: il primo è che, rispetto al quin­quen­nio 2008–2013, la crisi ha col­pito i lau­reati trien­nali non iscritti ad un altro corso di lau­rea, tra i quali la disoc­cu­pa­zione è cre­sciuta di quasi quat­tro punti per­cen­tuali, dal 23% al 26,5%.

La reces­sione ha fatto una strage tra i neo­di­plo­mati tra i 18 e i 29 anni (+14,8% disoc­cu­pati), 5,8% tra i diplo­mati «più anziani», men­tre tra i neo­lau­reati è al 6,5% e tra i lau­reati +2,9%. Tra il 2007 e il 2013 il dif­fe­ren­ziale tra la disoc­cu­pa­zione dei neo­lau­reati e dei neo­di­plo­mati è pas­sato da 2,6 punti a favore dei primi a 11,9 punti percentuali.

Il secondo dato è che, dopo cin­que anni, la lau­rea diventa un argine con­tro la disoc­cu­pa­zione dila­gante, anche se è meno effi­cace rispetto ad altri paesi. La con­di­zione occu­pa­zio­nale dei lau­reati tende infatti a miglio­rare, la sta­bi­lità del lavoro e il red­dito regi­stra un miglio­ra­mento, pur atte­stan­dosi su 1400 euro men­sili (1358 euro per i triennali,1383 per i magi­strali), una media mode­sta ma comune ai salari ita­liani. Se invece si misura l’occupazione dopo un anno dalla lau­rea i dati sono ben più dram­ma­tici e dimo­strano l’ostilità del mer­cato del lavoro rispetto ai più gio­vani. Lo si capi­sce dalle retri­bu­zioni ad un anno dalla lau­rea che si atte­stano sui mille euro netti men­sili (1003 per il primo livello, 1038 per i magi­strali, 970 per i magi­strali a ciclo unico).

Più si è pre­cari e qua­li­fi­cati, meno si viene pagati, dun­que. La con­tra­zione sala­riale è pari al 5% tra i trien­nali, al 3% fra i magi­strali bien­nali, al 6% per il ciclo unico. Si spiega anche così l’insistenza sulla «garan­zia gio­vani» degli ultimi governi, una misura che dovrebbe soste­nere tra­mite un appren­di­stato il lavoro dei gio­vani entro 4 mesi dalla lau­rea.

Alma­lau­rea sostiene che all’inizio della «car­riera» lavo­ra­tiva la lau­rea non per­mette la coin­ci­denza tra le com­pe­tenze e il lavoro svolto, tra sala­rio e mansione.

In seguito la qua­li­fica, e even­tuali per­corsi for­ma­tivi o pro­fes­sio­nali, per­met­tono di eri­gere un argine con­tro la pre­ca­rietà e la sva­lu­ta­zione dei salari, men­tre dimi­nui­sce il diva­rio tra gli occu­pati a Nord e a Sud che resta grave: il dif­fe­ren­ziale tra i gua­da­gni è del 20% (1385 euro a Nord, 1150 a Sud). Tutto que­sto non risolve la pre­ca­rietà. I con­tratti a tempo inde­ter­mi­nato sono infatti crol­lati del 15% tra i lau­reati trien­nali, 8 tra i magi­strali, 5 a ciclo unico.

Cre­sce anche il lavoro nero o infor­male che nel 2013 ha riguar­dato l’8% dei lau­reati di primo livello, il 9% dei magi­strali, il 13% a ciclo unico. Un’analisi com­pa­rata con­dotta sulle ultime sei gene­ra­zioni, per­mette di dimo­strare che con il dila­tarsi del tempo dal con­se­gui­mento del titolo, l’occupazione migliora tra i lau­reati post-riforma, men­tre peg­giora tra quelli a «ciclo unico», Giu­ri­spru­denza, Medi­cina, Vete­ri­na­ria o Archi­tet­tura, che con­ti­nuano a stu­diare, magari lavo­rano da pre­cari o gra­tis, in attesa di con­qui­stare la laurea.

La tesi di Alma­lau­rea è in con­tro­ten­denza rispetto all’enfasi delle classi domi­nanti sulla riva­lu­ta­zione della for­ma­zione pri­ma­ria con­tro quella ter­zia­ria uni­ver­si­ta­ria. Mini­stri (l’indimenticata For­nero o il suo vice Mar­tone, Gel­mini come l’attuale mini­stro dell’Istruzione Gian­nini) o impren­di­tori (il nipote di Gianni Agnelli e pre­si­dente Fiat-Fca Elkann, da ultimo) pre­mono per l’alternanza scuola-lavoro sul modello «tede­sco», for­ma­zione pro­fes­sio­nale, pre­va­lenza della «manua­lità» con­tro l’«intellettualismo» dei lau­reati «choosy», «bam­boc­cioni» e «fuo­ri­corso». In appa­renza è un invito a lasciare gli studi uni­ver­si­tari, a cui oggi si iscrive una per­cen­tuale bas­sis­sima di 19enni: solo il 30%.

Fonti uffi­ciali come l’Ocse o l’Istat, afferma il pre­si­dente Alma­lau­rea Andrea Cam­melli, sosten­gono invece che i lau­reati pre­sen­tano un tasso di occu­pa­zione di 13 punti mag­giore rispetto ai diplo­mati (75,7% con­tro il 62,6%). Fra i 25–64 anni l’occupazione è più ele­vata del 48% rispetto ai diplo­mati, in linea con la Fran­cia ma più bassa rispetto a Regno Unito e Germania.

Resta però intatta la realtà ita­liana. Basso il livello di sco­la­riz­za­zione della popo­la­zione (abbiamo i mana­ger più igno­ranti d’Europa, solo il 27,7% ha la scuola dell’obbligo, i lau­reati sono il 24% con­tro una media del 53%). l’Italia, infine, è il paese Ocse che ha tagliato 10 miliardi di euro all’anno all’istruzione. Una scelta sui­cida, che non aiu­terà ad aumen­tare il numero dei lau­reati. Il governo ita­liano ha ammesso il fal­li­mento della riforma Berlinguer-Zecchino. La com­mis­sione Ue si attende dal nostro paese il 26–27% dei lau­reati, con­tro il 40% del libro dei sogni. Pochi, mal­pa­gati ma resi­stenti i lau­reati italiani.


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