Ora però tocca ai lavoratori

Ora però tocca ai lavoratori

di Alfonso Gianni – il manifesto
I cin­guet­tii di Renzi e i rumors di palazzo Chigi, in vista del con­si­glio dei mini­stri di domani, annun­ciano 10 miliardi di euro di tagli alle tasse. Ma quali? L’intervento è sull’Irpef. I lavo­ra­tori avranno un bene­fi­cio tra i 70 e i 100 euro men­sili, dicono i fans del nuovo pre­mier. Ma dal mini­stero dell’Economia arriva una gelata.

Se taglio ci sarà, dice il mini­stro Padoan, andrà sull’Irap, quindi a bene­fi­cio delle imprese, per ridurre quel costo del lavoro che in realtà è uno dei più bassi nel con­te­sto euro­peo, men­tre tra i più ele­vati è il pre­lievo fiscale e con­tri­bu­tivo sul lavoro dipen­dente. Come andrà a finire lo sapremo tra poco. Ma intanto è impor­tante chie­dersi le ragioni di que­sto con­tra­sto. In sé non nuovo, visto che non è la prima volta che un mini­stro dell’Economia, spe­cial­mente se for­te­mente legato ai poteri forti inter­na­zio­nali, ha smen­tito la cap­ta­tio bene­vo­len­tiae di un pre­si­dente del consiglio.

Ciò che muove la scelta di Padoan è abba­stanza evi­dente. Da un lato sta il giu­di­zio nega­tivo espresso dalla Com­mis­sione euro­pea, che parla, nel caso ita­liano, oltre che di un ele­vato debito, di squi­li­bri ecces­sivi deri­vanti da una «com­pe­ti­ti­vità esterna molto debole». Il mini­stro Padoan ha repli­cato soste­nendo che le indu­strie mani­fat­tu­riere del nostro paese hanno già com­presso i costi di pro­du­zione, tra cui le retri­bu­zioni, miglio­rando sen­si­bil­mente la bilan­cia com­mer­ciale. Ma que­sto non basta, per­ché l’esportazione non ha sal­vato l’Italia da un con­ti­nuo declino indu­striale e occupazionale.

Da qui il mini­stro trae la con­clu­sione che è asso­lu­ta­mente prio­ri­ta­rio uti­liz­zare i 10 miliardi pro­messi per la ridu­zione dell’Irap, in modo da abbat­tere il costo del lavoro a favore dell’intero mondo delle imprese. Non fa niente se que­sto com­porta una ridu­zione al finan­zia­mento della sanità. Ce lo chiede l’Europa.

Dall’altro lato viene in soc­corso alle tesi di Padoan l’immancabile stu­dio della Con­fin­du­stria, per la verità un po’ vec­chiotto (marzo 2008), secondo cui una ridu­zione del cuneo di 9 miliardi, que­sta la cifra ipo­tiz­zata allora, avrebbe effetti tau­ma­tur­gici sulla cre­scita, esat­ta­mente il dop­pio di quello che si otter­rebbe dimi­nuendo l’Irpef per i lavo­ra­tori. Natu­ral­mente lo stu­dio della Con­fin­du­stria si disin­te­ressa del tutto della scelta pro­dut­tiva delle imprese, di indi­riz­zarle cioè verso set­tori inno­va­tivi e verso quelli con mag­giori poten­zia­lità occupazionali.

Come finirà la con­tesa? Stando all’insieme dei com­menti, al com­bi­nato dispo­sto delle van­te­rie ren­ziane e delle pru­denze padoa­niane, pro­ba­bil­mente si andrà ad una solu­zione tipi­ca­mente ita­liana, cioè com­pro­mis­so­ria. Una parte dei 10 miliardi, la mag­giore, andrà alle imprese, una parte minore a rim­pin­guare le esau­ste tasche dei lavo­ra­tori. Ma se così fosse l’effetto sarebbe peg­gio che nullo.

Se si vuole un inter­vento shock sull’economia non vi è altra strada che l’aumento della domanda, quindi biso­gna dimi­nuire la pres­sione fiscale sul lavoro. Anzi rifor­marla radi­cal­mente. Ma come i 18 euro già dati da Letta, gli even­tuali 50 euro al mese che venis­sero ai lavo­ra­tori dal rispar­mio Irpef, in virtù di una solu­zione spar­ti­to­ria dei 10 miliardi, fareb­bero solo il sol­le­tico, senza peral­tro risol­vere alcun pro­blema anche dal punto di vista delle imprese stesse. Sia per­ché i soldi in tasca sareb­bero troppo pochi per incre­men­tare sen­si­bil­mente i con­sumi, sia per­ché le fami­glie pen­se­reb­bero piut­to­sto ad accan­to­nare temendo nuove stan­gate future.

La prova l’abbiamo già avuta: la famosa ridu­zione di cin­que punti del cuneo fiscale, pari a 7,5 miliardi, fatta dal secondo governo Prodi e avver­sata solo dalla sini­stra radi­cale, ma con poca voce. Il 60% andò alle imprese, il 40% venne usato per ridurre l’Irpef per tutti i con­tri­buenti. Il risul­tato fu che i lavo­ra­tori manco se ne accor­sero una volta riti­rata la busta paga. E fu l’inizio della fine di un governo già nato fragile.


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