Il ritorno della Guantanamo d’Italia

Il ritorno della Guantanamo d’Italia

di Alessandro Tricarico – il manifesto -

Reportage. Chiuso per le condizioni estreme inflitte ai migranti, un tempo luogo d’integrazione nato sui terreni confiscati alla mafia, il Cie di Palazzo San Gervasio sta per risorgere con i milioni stanziati dal governo Monti

Quello che fa più rab­bia è che da quando ha chiuso siamo stati costretti a cam­biare il nostro modo di ope­rare, ora non pen­siamo più all’accoglienza ma sol­tanto all’emergenza». Ger­va­sio Ungolo, respon­sa­bile dell’Osservatorio Migranti Basi­li­cata, si rife­ri­sce al campo di acco­glienza di Palazzo San Ger­va­sio (Potenza) che fino al 2009 ha ospi­tato 1.500 lavo­ra­tori migranti sta­gio­nali per la rac­colta del pomo­doro. Quello che era sim­bolo di inte­gra­zione e acco­glienza, sorto tra l’altro su un bene con­fi­scato alla mafia, oggi non c’è più. Al suo posto c’è un Cie, chiuso e abban­do­nato dal giu­gno 2011 dopo un’inchiesta gior­na­li­stica. Il cen­tro di iden­ti­fi­ca­zione ed espul­sione è salito agli onori della cro­naca nazio­nale con il nome di «Guan­ta­namo d’Italia» gra­zie a un video girato dai tuni­sini reclusi al suo interno. Con­tiene imma­gini forti, tra que­ste una in par­ti­co­lare: un migrante giace a terra, immo­bile, dopo esser caduto da una recin­zione alta 5 metri. I soc­corsi tar­dano ad arri­vare. Due poli­ziotti, anche loro immo­bili, guar­dano il ragazzo non sapendo cosa fare. Dall’interno della recin­zione si sol­le­vano le urla, le uni­che com­pren­si­bili sono «per­ché» e «ter­ro­ri­sti». Fabri­zio Gatti ha para­go­nato quell’immobilità dei poli­ziotti all’immagine che «l’Italia sta dando sui suoi rap­porti con il nuovo Nord Africa».
Aperto come Cai (Cen­tro di acco­glienza e iden­ti­fi­ca­zione) cam­bia il nome in Cara (Cen­tro di acco­glienza richie­denti asilo) nel feb­braio 2011. In piena emer­genza Nord Africa diventa Cie gra­zie a un decreto dell’allora pre­si­dente del con­si­glio ema­nato il 21 aprile dello stesso anno che, con effetto retroat­tivo, ha fatto in modo che si innal­zas­sero mura di cinta e recin­zioni alte 5 metri intorno ai tuni­sini dete­nuti sbar­cati dopo il 5 aprile, e cioè dopo quella data spar­tiac­que che ha vie­tato loro il tanto discusso per­messo uma­ni­ta­rio tem­po­ra­neo. Per­messo con il quale codar­da­mente l’Italia ha fatto un passo indie­tro dinanzi agli sbar­chi e alle vit­time del mare. Pre­fe­rendo rila­sciare, invece di far fronte all’emergenza, un per­messo di libera cir­co­la­zione di sei mesi sul ter­ri­to­rio ita­liano: è la poli­tica dello “scaricabarile”.

Chi gesti­sce que­sti cen­tri spesso non ha nes­suna qua­li­fica o espe­rienza, par­te­cipa sem­pli­ce­mente a una gara di appalto dove ai dete­nuti viene asse­gnato un valore che oscilla tra i 30 e i 60 euro. La cosa strana è che nel Cie di Palazzo la gestione era stata affi­data, senza par­te­ci­pare ad alcuna gara d’appalto, alla società tra­pa­nese Con­nec­ting Peo­ple, tut­tora in attesa di giu­di­zio con l’accusa di asso­cia­zione a delin­quere fina­liz­zata alla truffa dello Stato e ina­dem­pienze di pub­bli­che for­ni­ture per aver “fat­tu­rato” un numero di ospiti mag­giore di quelli real­mente pre­senti nel Cie di Gra­di­sca, per un danno com­ples­sivo di quasi 1,5 milioni di euro. Un vero e pro­prio busi­ness a sca­pito degli immigrati.

Secondo la Cari­tas ogni anno la spesa pub­blica per la gestione di que­sti cen­tri è di 55 milioni di euro, ma stiamo par­lando di stime per­ché un dato uffi­ciale non è mai stato for­nito dal mini­stero della Giu­sti­zia. Stando invece al dos­sier di Luna­ria, nel periodo 2005–2011 lo stato ha speso 1 miliardo di euro per alle­stire, gestire, man­te­nere e ristrut­tu­rare i cen­tri. Un impiego di forze e di denaro non indif­fe­rente per con­tra­stare l’immigrazione irre­go­lare. I risul­tati? Ridi­coli: il totale dei trat­te­nuti rap­pre­senta lo 0,9% degli immi­grati irre­go­lari pre­senti in Ita­lia, e a oggi meno della metà dei trat­te­nuti è stato rim­pa­triato nel suo paese di ori­gine, nono­stante abbiano aumen­tato i tempi di per­ma­nenza per l’identificazione da 6 a 18 mesi di reclu­sione. Par­liamo di una deten­zione pre­ven­tiva in vere e pro­prie car­ceri spe­ciali e iso­late dal resto del mondo. Pri­gio­nia arbi­tra­ria spesso per­pe­trata ai danni di inno­centi, col­pe­voli solo di essere arri­vati in Ita­lia sprov­vi­sti di un documento.

Pro­prio come Zied, tuni­sino, che nel Cie di Palazzo San Ger­va­sio ha pas­sato un mese e un giorno: «Il tempo non pas­sava più, è come esserci stato per 3 o 4 anni», mi dice al tele­fono. «Non sono mai stato in car­cere, ero in ansia e non riu­scivo a dor­mire, ho chie­sto delle medi­cine per la testa (tran­quil­lanti, ndr) e mi hanno dato medi­cine per la pan­cia». Ora Zied vive in Ita­lia, ha otte­nuto l’asilo poli­tico e lavora al mer­cato, «ho la carta d’identità, la patente e la tes­sera sani­ta­ria. Tu ce l’hai la tes­sera sani­ta­ria?» mi dice ridendo. Gli chiedo com’era la per­ma­nenza nel Cie di Palazzo: «Come porci ci trat­ta­vano», e non aggiunge altro. Lo credo bene. Il Cie di Palazzo San Ger­va­sio con­si­steva in una colata di cemento di un ettaro con 18 tende della pro­te­zione civile, nelle gior­nate calde diven­tava un forno a cielo aperto senza altra pos­si­bi­lità di ombra se non quella delle stesse tende roventi. Un non-luogo dove ogni diritto civile veniva meno, dall’acqua calda alla pos­si­bi­lità di par­lare con un avvocato.

La chiu­sura di que­sto cen­tro è stata una vit­to­ria effi­mera, dato che nel novem­bre dello scorso anno si sono rego­lar­mente aperte le buste con i vin­ci­tori del bando per la ristrut­tu­ra­zione del Cie di Palazzo San Ger­va­sio e quello di Santa Maria Capua Vetere. Sono stati stan­ziati 18 milioni di euro, sbloc­cati da un’ordinanza del capo della pro­te­zione civile Franco Gabrielli che ha attinto ai fondi elar­giti dell’allora governo Monti per l’Emergenza Nord Africa.

È un caso emble­ma­tico quello di Palazzo San Ger­va­sio, che ci inter­roga sul per­ché pro­prio ora che il sistema di deten­zione dei Cie sta crol­lando ci sia ancora chi con­ti­nua ad eri­gere que­ste inu­tili e costo­sis­sime carceri.

Ancora una volta i fatti ci hanno dimo­strato che non siamo tutti uguali e che per colpa di un pas­sa­porto c’è chi è desti­nato a pas­sare la sua esi­stenza a testa bassa, chie­den­dosi il per­ché non può spe­rare di sognare una con­di­zione migliore. E poi c’è invece chi può libe­ra­mente oltre­pas­sare i con­fini senza essere arre­stato, e forse non si è mai chie­sto il per­ché di così tanta fortuna.


Sostieni il Partito con una



 
Appuntamenti

PRIVACY







o tramite bonifico sul cc intestato al PRC-SE al seguente IBAN: IT74E0501803200000011715208 presso Banca Etica.