Sante Moretti, un compagno dirigente

di Salvatore Bonadonna -

Sante Moretti ci ha lasciati a conclusione di una fase travagliata nella quale ha contrastato la malattia con lo spirito forte e costruttivo che gli era proprio. Ci procura dolore la sua perdita e ci fa valutare con affetto e stima le qualità e le doti che il compagno Sante aveva e manifestava con il suo impegno costante, il suo spirito di iniziativa, il senso di fedeltà a principi e valori che hanno segnato tutta la sua vita di militante e dirigente del movimento operaio, nel sindacato e nel partito.

Lo conobbi tanti anni fa, lui eletto da poco nella segreteria nazionale della Federbraccianti e io da un paio di anni nella segreteria della Camera del lavoro di Siracusa. Dirigente con le caratteristiche di solidità e concretezza proprie della scuola emiliana, uomo dell’organizzazione, quadro formatosi nella lettura delle edizioni dei classici che venivano allora suggeriti nelle sezioni di partito o nelle sedi del sindacato dai compagni più anziani, dagli intellettuali legati al Partito e al sindacato; al PCI, s’intende, e alla CGIL. Avemmo occasione di discutere, io della sua formazione e lui della mia di giovane socialista lombardiano nel corso di una cena povera in una delle osterie del centro storico di Ortigia alla portata dei magri compensi dei funzionari di allora, dei rivoluzionari professionali come si veniva definiti con una certa enfasi.

L’indomani ci sarebbe stato lo sciopero dei braccianti ed era prevista una manifestazione da concludere nel piazzale davanti alle Poste, al di qua del ponete che collega Ortigia al resto della città, e sopratutto, al di qua della sponda su cui sorge il palazzo della Prefettura. La manifestazione vide una partecipazione straordinaria e la fiumana di braccianti e contadini poveri non accettò, alla fine del lungo corteo, di concludere lontano dal Palazzo del Potere, la Prefettura, che allora rappresentava una sede decisiva per cercare di concludere le vertenze; e si trattava del contratto provinciale dei braccianti che non aveva trovato possibilità di intesa nella sede della Confagricoltura prima e in quella dell’Ufficio del lavoro dopo.

La Prefettura era dunque la sede che i combattivi braccianti di Avola e quelli, che non erano da meno, di Lentini, avevano individuato come luogo dove concludere la manifestazione.

Questo sconvolge i piani dell’organizzazione, apre un contenzioso con la polizia, alimenta aspre discussioni tra i braccianti e i capilega da una parte e il gruppo dirigente provinciale dall’altra; e la tensione si tagliava col coltello. Sante non era abituato a rapporti tanto turbolenti tra lo spirito sostanzialmente anarchico dei braccianti di Avola e l’organizzazione; tutto diverso dalla solida e determinata disciplina militante della sua Emilia. Con alcuni dirigenti della Camera del Lavoro e della Fedrbraccianti sale sul palco per risolvere, iniziando il comizio, la questione del dove concludere la manifestazione. Non aveva fatto i conti con gli avolesi che, incuranti di tutto, sollevano e si mettono in spalla il piccolo palco di legno e si avviano, trascinando tutto il corteo, verso la Prefettura, lungo il ponte. L’azione fu così rapida ed imprevista che prese tutti in contropiede, compresa la polizia che, consultati i vertici, si predispose a difesa del Palazzo del Governo. Sante rimase scioccato dall’essere trasportato in quel modo, ne parlammo a lungo dopo il tempestoso incontro con il prefetto che, finalmente, convocò gli agrari per chiudere la vertenza.

Quell’episodio lo abbiamo ricordato più volte nel corso questi quasi cinquant’anni trascorsi nel sindacato e nel Partito, in ruoli e funzioni e collocazioni diverse ma sempre legati da quel senso di amicizia che nasce dalla consapevolezza di essere dalla stessa parte e dalla parte giusta.

Così Sante visse tutta la sua lunga e impegnata vita di dirigente, nell’organizzazione della CGIL, alla direzione del Patrtonato Sindacale che lo vede diventare uno dei massimi esperti del sistema previdenziale. Conoscitore profondo della condizione e della psicologia dei lavoratori, assolutamente certo nella necessità dell’organizzazione sindacale e politica come strumento della rappresentanza e di classe, convinto assertore della formazione dei quadri nell’esperienza e nello studio. Ci lavorai assieme, per tanti anni, proprio su questo terreno, alla Scuola della CGIL di Ariccia dove la Federbraccianti e l’INCA gestivano un ramo specifico dell’attività di formazione dei quadri e dei dirigenti.

Ci siamo ritrovati in Rifondazione, talvolta con posizioni diverse, sempre uniti da quel vincolo che era nato nell’osteria di Ortigia. Fiducia reciproca, lui più paziente e propositivo, io spesso più critico; ma non mancava di chiamarmi quando era carico degli impegni a promuovere le feste di Liberazione o quando riteneva che un confronto leale sulle questioni del Partito e del movimento dei lavoratori fosse necessario alla comprensione e al compimento delle scelte più utili per i lavoratori. Questo ci ha fatto ritrovare assieme dopo le scissioni e le vicende anche drammatiche che ha attraversato Rifondazione e la percorre ancora.

Questo mi fa sentire il venir meno di Sante una perdita difficilmente recuperabile.

Il suo sorriso, talvolta ironico e beffardo ma sempre affettuoso, ci accompagnerà e la sua tenacia nel costruire, nel non cedere mai allo sconforto ci rimane d’insegnamento; l’insegnamento di una generazione che va scomparendo ma la cui memoria e il cui insegnamento sarà prezioso quando le nebbie del post-moderno si diraderanno e tornerà la consapevolezza che lo studio, l’impegno personale nella dimensione collettiva e sociale, sono le risorse fondamentali per portare, riportare, il lavoro al livello di quella dignità umana che i combattivi braccianti hanno perseguito producendo uomini della statura morale di Sante Moretti.

Le tue ceneri, caro amico e compagno Sante, arricchiscano la terra dove continueremo a lottare anche nel tuo nome.

 


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