California e Colorado, l’economia dei due Stati salvata dalla cannabis

California e Colorado, l’economia dei due Stati salvata dalla cannabis

di A. D. Pas. – il manifesto

La lega­liz­za­zione delle dro­ghe leg­gere esplosa nell’ultimo anno negli Stati Uniti è figlia della crisi eco­no­mica e dei buchi nei bilanci sta­tali. La Cali­for­nia è stato il primo Stato a lega­liz­zare la can­na­bis nel 1996 per scopi tera­peu­tici, facendo poi da apri­pi­sta anche tra quelli che ora ne con­sen­tono l’uso ricrea­tivo. La deci­sione è stata presa non per faci­li­tare l’assunzione di droga ma come ini­zia­tiva in grado di por­tare nelle casse pub­bli­che 1,4 miliardi di dol­lari l’anno, gra­zie alla tas­sa­zione, dimi­nuendo allo stesso tempo i costi per forze dell’ordine e car­ceri locali, pieni di per­sone che ave­vano com­messo cri­mini minori col­le­gati al pos­sesso di marijuana.

Quando nel 2010 è arri­vato il via libera dell’allora gover­na­tore dello Stato, il Repub­bli­cano Arnold Sch­war­ze­neg­ger, la Cali­for­nia era sull’orlo del bara­tro a causa di un buco di bilan­cio che aveva rag­giunto i 60 miliardi di dol­lari. Oggi le cose sono cam­biate radi­cal­mente gra­zie al rigore sociale, alle poli­ti­che di ridu­zione della spesa e per­ché no, alla tasse sulla ven­dita della mari­juana, tanto che la scorsa pri­ma­vera il nuovo gover­na­tore, il Demo­cra­tico Jerry Brown, ha annun­ciato che la Cali­for­nia non rischia più la ban­ca­rotta ma può anzi con­tare oggi su un sur­plus di 1,4 miliardi di dol­lari. La cifra esatta gene­rata in anno dalle impo­ste sulla can­na­bis. La fal­li­men­tare stra­te­gia della «war on drugs», lan­ciata nel 1971 dall’allora pre­si­dente degli Stati Uniti Richard Nixon, sta­rebbe insomma vol­gendo al ter­mine, a par­tire pro­prio da dove era ini­ziata oltre 50 anni fa. Se prima c’era sol­tanto l’Olanda ad aver uni­la­te­ral­mente lega­liz­zato la ven­dita delle dro­ghe leg­gere nei suoi 670 coffee-shop, ora lo è anche in parte degli stessi Usa: in 18 Stati la ven­dita della can­na­bis per uso tera­peu­tico, men­tre in altri 11 addi­rit­tura la distri­bu­zione com­mer­ciale. Oltreo­ceano è così nato un nuovo busi­ness, il cui valore potrebbe rag­giun­gere nei pros­simi quat­tro anni i 10 miliardi di dol­lari Le mul­ti­na­zio­nali, ovvia­mente, non sono restate a guar­dare e scom­met­tendo nella fine del proi­bi­zio­ni­smo si sono tuf­fate a capo­fitto nel nuovo busi­ness. Pic­cole e grandi aziende dell’industria della can­na­bis sono così sbar­cate in Borsa con ottimi risul­tati. C’è ad esem­pio Medi­Swipe, gruppo che pro­duce bevande a base di mari­juana, il cui titolo a gen­naio ha regi­strato un balzo del 70%, oppure Green­Gro Tech­no­lo­gies, che pro­duce tec­no­lo­gie per la col­ti­va­zione di can­na­bis (+40%). Cre­scono anche le ditte bio­me­di­cali o far­ma­ceu­ti­che come Med­box, mac­chi­nari per ospe­dali anche per le cure alter­na­tive a base di mari­juana (+16,6%) o GW Phar­ma­ceu­ti­cals (2,6%). Un mer­cato che può sol­tanto con­ti­nuare a cre­scere, visto l’imminente arrivo in diversi Stati a stelle e stri­sce dei distri­bu­tori auto­ma­tici tou­ch­screen­che che ven­dono pac­chetti con 800 diverse varietà di mari­juana. In Colo­rado, dove è stato lega­liz­zato anche il con­sumo ricrea­tivo, sol­tanto il primo giorno è stato incas­sato un milione di dol­lari, il 40% dei quali sono tasse. I tuor ope­ra­tor stanno così inse­rendo nei loro pac­chetti visite ai cen­tri pro­dut­tivi per seguire la cre­scita delle piante e com­prare can­na­bis. A det­tare a livello mon­diale l’inversione di rotta è stata una peti­zione pre­sen­tata alle Nazioni Unite nell’ottobre 2011 dalla Glo­bal Com­mis­sion on Drug Policy, com­po­sta da esperti, ex pre­si­denti suda­me­ri­cani e impor­tanti per­so­naggi pub­blici, come l’ex numero uno dell’Onu Kofi Annan. Il loro rap­porto dimo­stra che que­sto nuovo approc­cio umano e sociale in chiave anti­proi­bi­zio­ni­sta, attuato in alcuni Paesi euro­pei, in Canada e in Austra­lia, abbia por­tato per i con­su­ma­tori mag­giori bene­fici rispetto alla cri­mi­na­liz­za­zione e alla repres­sione. Pro­prio in Suda­me­rica, l’Uruguay è finora il Paese che si è spinto più avanti: dall’aprile 2014 sarà la prima nazione al mondo a garan­tire ai suoi resi­denti mag­gio­renni un con­sumo pro­ca­pite fino ai 40 grammi al costo di un dol­laro l’uno e rila­sciare licenze per la produzione.

Anche nella vec­chia Europa, dopo la depe­na­liz­za­zione del pos­sesso e della col­ti­va­zione per uso per­so­nale in diversi Stati (per­sino in Rus­sia) è tempo di primi bilanci. Il Por­to­gallo è stato il primo a seguire que­sta strada nel luglio 2001 con un’importante espe­ri­mento legi­sla­tivo in mate­ria, che lo ha reso sulle dro­ghe il Paese più libe­rale del Vec­chio con­ti­nente. Tre­dici anni dopo i risul­tati sono più che inco­rag­gianti: l’uso delle dro­ghe tra i gio­vani si è ridotto, l’epidemia di Aids tra i con­su­ma­tori è stata fer­mata, la delin­quenza legata al nar­co­traf­fico è dimi­nuita, men­tre sono vice­versa aumen­tati i seque­stri di sostanze.


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