Migrazioni, nuovo punto di svolta. Welfare a rischio
Pubblicato il 21 gen 2014
di Eleonora Martini – il manifesto
Intervista. Corrado Bonifazi (Cnr), oggi a Roma presenta la sua ricerca. La crisi dimezza il saldo positivo di immigrati. In Italia nel 2050 avremo 11 milioni di lavoratori in meno e 3,6 milioni di ultra 80enni in più
La terza fase della bilancia migratoria — con il calo degli arrivi e l’aumento delle partenze -, apertasi con la crisi finanziaria del 2008, vede l’Italia – ma anche l’Europa – «entrare in concorrenza con i Paesi in via di sviluppo, nuova destinazione degli emigrati». Lontana ormai l’era della prima globalizzazione che «in mezzo secolo ha spinto a espatriare 14 milioni di italiani gettando le basi delle nostre comunità all’estero che ancora contano 4,2 milioni di componenti», e superata anche la recente «seconda globalizzazione che ha fatto salire il numero di stranieri residenti regolarmente nel nostro Paese dai 356 mila del 1991 ai 4,3 milioni attuali», oggi siamo ad un nuovo punto di svolta. E le criticità italiane emergono tutte: «I cittadini in età lavorativa sono destinati a diminuire di 4 milioni tra il 2015 e il 2030 e di altri 7 milioni dal 2030 al 2050, mentre gli ultraottantenni aumenteranno rispettivamente di 1,4 e 2,2 milioni. Uno scenario insostenibile, senza un adeguato apporto migratorio». È quanto sostiene il ricercatore Irpps-Cnr, Corrado Bonifazi, che stamattina presenterà a Roma, nella sede del Consiglio nazionale delle ricerche, la sua analisi storico-economica de «L’Italia delle migrazioni», edito da Il Mulino.
Questo nuovo scenario investe tutta l’Europa?
La crisi sta colpendo quei Paesi che negli ultimi 15 anni erano diventati le mete più importanti dei flussi migratori internazionali: nell’ordine, Spagna, Italia, Irlanda, Portogallo e Grecia. In Spagna il saldo migratorio positivo per 731 mila unità del 2007 è diventato negativo nel 2011 con una perdita di 50 mila persone. Anche in Irlanda si è passati a valori negativi e in Italia il deflusso si attesta intorno a 40 mila unità. Sia chiaro: la popolazione straniera continua ad aumentare per via delle nascite e del ricongiungimento familiare, ma in Italia si è scesi da un saldo positivo di 493 mila unità del 2007, a 245 mila nel 2012.
Parlando di migrazioni lavorative, avete dati riguardo la qualifica dell’offerta e della domanda?
Nell’emigrazione italiana è aumentato il peso dei laureati, anche se è sempre più presente l’emigrazione con titolo di studi di medio e basso livello. L’immigrazione invece – nel caso italiano, a differenza di altri sistemi produttivi come quello francese o tedesco – deve fare i conti con una richiesta di lavoro tarata sul medio o basso livello, a prescindere dal titolo di studio delle persone.
Quali sono le comunità straniere maggiormente cresciute in Italia?
Rispetto al 2001, c’è la Moldova, con un aumento del 31,2%, e l’Ucraina (23,2%). Segue la comunità rumena che in termini assoluti rimane la prima ma è cresciuta del 12,9%. Cinesi e indiani si fermano ad un tasso di crescita del 4,5%. Ma la novità maggiore mi sembra l’aumento di minori – indice di una stabilizzazione – e la tendenza verso un riequilibrio tra i sessi. Per esempio nel 1991 erano donne l’81,5% degli immigrati dall’Ucraina; nel 2011 sono scese al 79,8%. Fa eccezione la Polonia, da dove continuano ad arrivare soprattutto donne.
Gli italiani che partono oggi, invece, scelgono nuove mete?
Per ovvi motivi, i Paesi europei sono sempre privilegiati ma ci sono dati interessanti: in questi ultimi anni è cresciuta l’emigrazione italiana – e non solo – altamente qualificata verso la Cina. Secondo i dati Istat, nel 2011 gli italiani laureati sono diventati un quarto di coloro che si trasferiscono all’estero, nel caso della Cina si arriva al 45%. Negli anni precedenti il flusso italiano verso le città cinesi era così basso che i dati non venivano nemmeno pubblicati.
Malgrado negli ultimi dieci anni la Cina abbia quasi dimezzato il Pil?
Parliamo di un Paese cresciuto al tasso del 7,5%, pari a sette volte la percentuale di crescita dell’Italia nel periodo pre-crisi. Anche se ha rallentato nell’ultimo anno, per noi si tratta di un tasso irraggiungibile. Se nel 2014 riuscissimo a tornare all’1% faremmo i salti di gioia. Segnali di crescita del flusso di immigrazione qualificata arrivano anche dal Brasile e dall’India.
Dalla sua ricerca emerge che i dati sulle migrazioni differiscono a seconda del Paese che li raccoglie. Ci spiega perché?
La lettura dei dati non è mai univoca: è dal 1850 che si cerca di creare statistiche migratorie comparabili tra diversi Paesi, compito difficilissimo. Ogni Paese definisce e calcola i flussi a seconda della legge sull’immigrazione: le statistiche infatti registrano i fenomeni che stuzzicano l’interesse politico. Per esempio l’Italia per un secolo ha misurato solo l’emigrazione. Poi le cose sono cambiate ma oggi misura gli arrivi attraverso l’anagrafe, quindi non registra i trasferimenti non definitivi o i soggiorni di breve durata, come avviene invece in Germania. Anche per questo il dato tedesco dell’immigrazione è più alto di quello italiano.
Sostieni il Partito con una
Appuntamenti