Se il giorno prima era finito con una vittoria, un sì storico — seppur locale — contro la Fini-Giovanardi, il day after non poteva iniziare che con un brusco risveglio. «Squilla il telefono di prima mattina e ancora assonnato rispondo. Dall’altro capo della cornetta c’è un giornalista. Non fa giri di parole: “Non si sente in colpa per aver mandato un messaggio negativo ai giovani?”. Rimango sbigottito. Me lo dice schietto: “Non sa che tutti i tossicodipendenti hanno iniziato da uno spinello?”. Ah, ora capisco, si riferisce al voto in consiglio comunale sulla legalizzazione, a fini terapeutici e ricreativi, della cannabis. Gli rigiro la domanda: “Ha mai bevuto un bicchiere di vino o un boccale di birra? È diventato etilista? Visto che l’abuso di alcool è diffusissimo, lo proibirebbe come all’inizio dello scorso secolo? La questione dipendenze è troppo delicata per liquidarla con una battuta…”».
È il racconto di Marco Grimaldi, consigliere comunale di Sel a Torino, primo firmatario dell’ordine del giorno per la legalizzazione della produzione, vendita e consumo di cannabis, «tenendo ferme le normative repressive del traffico internazionale e clandestino di droghe». È stato approvato sul filo del rasoio, lunedì, con 15 voti a favore, 13 contrari e 6 astenuti, con un Pd spaccato ma in larga parte favorevole (astenuto il sindaco Fassino) e il voto decisivo dei due consiglieri, Vittorio Bertola e Chiara Appendino, del M5S. I grillini hanno presentato in parlamento una proposta per la legalizzazione delle droghe leggere. Disegni di legge, a Roma, sono stati depositati da tempo Daniele Farina, Sel, e Luigi Manconi, Pd. Secondo firmatario dell’odg di Grimaldi, è Silvio Viale, medico, esponente radicale (celebre l’impegno a favore della RU-486) e consigliere Pd, autore di una seconda mozione, approvata, sull’uso terapeutico della cannabis, invitando la Regione Piemonte a concedere l’utilizzo di farmaci a base di cannabinolo. Come Liguria, Puglia, Toscana e Veneto.
Grimaldi, il voto in consiglio segna un indirizzo politico importante, ma senza ricadute immediate. Adesso la palla passa a Roma. E sarà tutta un’altra partita.
Torino è la prima grande città in Italia a dire no alla Fini-Giovanardi e sì alla legalizzazione della cannabis. Siamo spesso capofila di dibattiti sui diritti civili, diventiamo noti per qualche giorno, poi si spengono i riflettori. Così, per il diritto di voto ai migranti o lo ius soli per i bambini nati in città. Torino prova a innovare, ma il parlamento non sempre la segue. Il testo votato invita il governo a emanare un decreto di legge che preveda il passaggio da un impianto di tipo proibizionistico a uno di tipo legale della produzione e della distribuzione delle droghe leggere.
Il documento di Torino nasce da una lunga battaglia, quali sono gli obiettivi?
Le radici sono lontane, mi ricordo di quando da segretario torinese della Sinistra giovanile, al congresso del Lingotto, quello con Veltroni, promossi un odg sulla legalizzazione delle droghe leggere. Anni dopo, da consigliere, feci una proposta più organica anche sulle sale del consumo. Ora gli obiettivi sono, prima di tutto, cancellare le politiche proibizionistiche che hanno portato vantaggi al narcotraffico. Poi, svuotare le carceri di migliaia di persone rinchiuse senza motivo. In Italia come in Europa il 50% della popolazione carceraria è detenuto per reati connessi al consumo di sostanze stupefacenti. E, ancora, far uscire dall’illegalità centinaia di migliaia di consumatori di cannabis. E dare un calcio nel sedere alle narcomafie. Tra l’altro, uno studio del professor Marco Rossi dell’Università La Sapienza di Roma, stima le imposte ricavate sulla vendita della cannabis in 5,5 miliardi l’anno.
Qual è stato l’effetto del voto?
Mi hanno chiamato in molti, i consiglieri di Milano e Bologna presenteranno mozioni ispirate alla nostra. L’importante è portare avanti le proprie battaglie anche quando si teme di perderle. Non mi spaventa chi fuma marijuana a cielo aperto, ma chi di nascosto utilizza sostanze ben più pensanti, magari in ruoli di lavoro molto delicati. Una delle malattie di questa società è l’ansia da prestazione.
E ora quale sarà il prossimo passo?
Il mio sarà un confronto televisivo con Giovanardi, che anni fa mi diede del pusher.
In bocca al lupo.