Intervista a Landini: “Letta ascolti le tute blu”

Intervista a Landini: “Letta ascolti le tute blu”

di Antonio Sciotto – il manifesto

Men­tre l’Italia è messa a ferro e a fuoco dai for­coni, gli ope­rai della Fiom attra­ver­sano Roma in cam­per: por­tano un muc­chio di sca­to­loni, con su scritti i numeri della crisi. «Alca­tel Lucent: 2000 licen­zia­menti». «Fiat Ter­mini, 1560 ope­rai: Chiu­sura». «Elec­tro­lux Por­cia: 2000 esu­beri». L’emergenza dei metal­mec­ca­nici appro­derà que­sta mat­tina sul tavolo del pre­mier Enrico Letta: ieri sera, all’assemblea pub­blica in Piazza del Popolo, il segre­ta­rio Mau­ri­zio Lan­dini ci ha spie­gato di aver otte­nuto un incon­tro con il pre­si­dente del consiglio.

Vi rice­verà pro­prio lui? Il mini­stero dello Svi­luppo non basta più?

Abbiamo otte­nuto un incon­tro a Palazzo Chigi, noi spe­riamo di poter vedere pro­prio Letta. L’emergenza è al mas­simo: fab­bri­che chiu­dono ogni giorno, biso­gna fer­marla. Al mini­stero dello Svi­luppo si rischia di accom­pa­gnare sem­pli­ce­mente la rior­ga­niz­za­zione delle imprese, men­tre noi abbiamo biso­gno di una poli­tica eco­no­mica e indu­striale. Chie­diamo un polo e un piano dei tra­sporti, un piano per le tele­co­mu­ni­ca­zioni, un tavolo per gli elet­tro­do­me­stici, inve­sti­menti. L’Ig Metall ci ha detto che in Ger­ma­nia la Volk­swa­gen ha appena annun­ciato inve­sti­menti per 60 miliardi di euro nei pros­simi 5 anni; in Fran­cia lo Stato inter­viene diret­ta­mente. Solo in Ita­lia la poli­tica non segue il destino delle sue indu­strie, anzi le pri­va­tizza e svende: pen­siamo a Fin­mec­ca­nica. O alla St: il governo ita­liano vuole ven­dere la sua quota, men­tre quello fran­cese non ci pensa lontanamente.

Il governo però viene incon­tro ai lavo­ra­tori con il cuneo fiscale.

Non va bene. Sono soldi distri­buiti a piog­gia che daranno pochi euro al sin­golo lavo­ra­tore. Mi si dica quanti posti di lavoro creano. Piut­to­sto quelle risorse inve­stia­mole nell’industria, per creare lavoro: ogni posto perso oggi è una tra­ge­dia per­so­nale, ma è anche una per­dita per l’economia. A Letta chie­de­remo anche di rifi­nan­ziare i con­tratti di soli­da­rietà, per­ché accanto a un piano per il lavoro ser­vono sem­pre e comun­que ammor­tiz­za­tori forti.

Quindi è bene che il governo pro­ceda almeno per i 18 mesi che Letta si è dato chie­dendo la fidu­cia? O rite­nete che dopo la boc­cia­tura del «por­cel­lum» deb­bano andare a casa e si debba votare?

Io penso che la boc­cia­tura della legge elet­to­rale ha por­tato neces­sa­ria­mente con sé la dele­git­ti­ma­zione non dico giu­ri­dica, ma sicu­ra­mente poli­tica dell’attuale qua­dro. Quello che è suc­cesso con le pri­ma­rie, con quasi tre milioni di per­sone andate a votare, buona parte delle quali non iscritte al Pd, ci dice che c’è in que­sto momento una richie­sta di rin­no­va­mento, di par­te­ci­pa­zione, di demo­cra­zia. E anche le mani­fe­sta­zioni che stiamo vedendo in que­sti giorni, ci par­lano di un disa­gio for­tis­simo a cui gli ultimi governi, da Monti a Letta, non hanno saputo rispon­dere. In Ger­ma­nia l’esecutivo che sta per nascere si sta accor­dando per abbas­sare l’età pen­sio­na­bile a 63 anni e intro­durre il sala­rio minimo. Allora io dico: o danno rispo­ste al Paese, o se non le danno allora è meglio che si cambi la legge elet­to­rale e ci si pre­pari ad andare al voto.

Par­liamo dei for­coni. Ma non vi pre­oc­cu­pano? Mostrano peri­co­lose derive a destra, in alcuni casi si inneg­gia al ritorno del Duce.

Al di là dei con­te­nuti, che sono vari, e al di là delle stru­men­ta­liz­za­zioni interne ed esterne che ven­gono fatte, comun­que quelle mani­fe­sta­zioni mi dicono che in Ita­lia c’è un pro­fondo disa­gio sociale, a cui in qual­che modo la poli­tica deve dare una rispo­sta. Con fatti, non parole. Si mol­ti­pli­cano i pre­cari, i disoc­cu­pati, i cas­sin­te­grati, ed è chiaro che se cre­sce il mal­con­tento pos­sono fio­rire i feno­meni più sva­riati, anche rischiosi.

In que­ste mani­fe­sta­zioni si sen­tono cri­ti­che anche a voi del sin­da­cato. Cri­ti­che che, in modo diverso, arri­vano anche da Grillo, e ulti­ma­mente da Renzi. Non è che dovete fare auto­cri­tica? Obiet­ti­va­mente spesso c’è una con­ti­guità tra poli­tici e sin­da­ca­li­sti che con la crisi, a chi è escluso ed emar­gi­nato, può risul­tare indigeribile.

Noi della Fiom da tempi inso­spet­ta­bili diciamo che il sin­da­cato non si fa dall’alto, con le buro­cra­zie, ma soprat­tutto dal basso: con i voti e la demo­cra­zia. Non devono essere Grillo e Renzi a darci lezioni, né credo che i par­titi deb­bano dire al sin­da­cato come com­por­tarsi. Piut­to­sto, ripren­dendo quello che è suc­cesso con le pri­ma­rie, dico a Renzi: i cit­ta­dini pos­sono votare il pro­prio can­di­dato alle poli­ti­che, ma nei luo­ghi di lavoro que­sto non si può fare. Ora che è alla guida del Pd, con una così ampia inve­sti­tura popo­lare, si batta per una legge sulla rappresentanza.

Andiamo a un altro nodo che den­tro la Fiom ha fatto male: il tra­collo alle ele­zioni nell’Ilva.

All’Ilva non c’è stato un tra­collo, ma una scon­fitta pesan­tis­sima. La Fiom è pas­sata da 3000 a 1400 voti, dimez­zando i suoi con­sensi. Ha perso in parte anche la Uilm, pur rima­nendo il primo sin­da­cato. L’Usb era la prima volta che si pre­sen­tava: ha preso 1800 voti e il 20%, pro­ba­bil­mente anche molti dei nostri. C’è stato un calo dell’affluenza del 3–4%. Dovremo con­fron­tarci con i lavo­ra­tori per capire quello che è suc­cesso: pro­ba­bil­mente le nostre lotte, il nostro mes­sag­gio, non sono passati.

E alla Inde­sit? L’azienda ha accet­tato di non licen­ziare e voi non avete fir­mato. Come mai?

Alla Inde­sit abbiamo voluto ren­dere espli­cito il nostro disac­cordo con quell’intesa, che in pro­spet­tiva ridi­men­siona la pre­senza in Ita­lia, apre forse a un’uscita della fami­glia e a una ven­dita, e soprat­tutto delo­ca­lizza. A Caserta non si faranno più lava­trici, vanno in Tur­chia. Il mini­stero non ci ha aiu­tato: ci ha pre­sen­tato un testo finale che ripro­du­ceva quello dell’azienda, ed è grave. Non sot­to­va­lu­tiamo che non si sia licen­ziato e che si siano atti­vati i con­tratti di soli­da­rietà, cose che ave­vamo chie­sto anche noi: ma i lavo­ra­tori hanno votato e se la mag­gio­ranza mi dice che quell’accordo va bene, io firmo.


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