Strage cinesi, ”dormiamo in fabbrica perché non ci affittano le case”
Pubblicato il 2 dic 2013
www.agenzia.redattoresociale.it – Parla Matteo Ye Huiming, mediatore culturale della comunità cinese di Prato e ex bambino-operaio in una fabbrica-dormitorio: ”Ma quale schiavitù, i cinesi lavorano consapevolmente per uscire dalla povertà e i clienti sono i marchi della moda italiana”.
I cinesi dormono nelle fabbriche perché spesso non hanno alternative: pochissimi italiani sono disposti ad affittare una casa ai cinesi”. Matteo Ye Huiming, storico mediatore culturale della comunità cinese di Prato, è un fiume in piena, sconvolto dall’”ennesima tragedia” che ha colpito i cinesi di Prato ma anche irritato con “un sistema che non ha saputo creare integrazione”, un sistema dove “le responsabilità sono di tutti: cinesi, italiani e politici”.
E nel calderone degli accusati finisce anche il mondo dell’informazione: “Vi ricordate dei cinesi di Prato soltanto quando accadono drammi come questo, mai quando ci sono iniziative culturali d’integrazione”. Buona parte della stampa, secondo Huiming, “è ignorante” perché “non è vero che c’è schiavitù nelle fabbriche dei cinesi” visto che “non sono strutture blindate dove i lavoratori non possono uscire, i lavoratori cinesi sono consapevoli di quello che fanno e lo decidono autonomamente, senza essere costretti”. Semmai, aggiunge, “è il sistema economico che li costringe a lavorare venti ore al giorno. Non hanno alternative, o lavori o perdi il lavoro che ti viene commissionato dalle grandi firme della moda italiana e che finiscono nelle mani di clienti italiani”.
Huiming conosce bene le fabbriche dormitorio di Prato perché anche lui ci ha lavorato da 12 a 19 anni. “Era l’azienda dei miei genitori, lavoravo, dormivo e mangiavo nello stesso capannone, mi svegliavo a notte fonda per lavorare, poi andavo a scuola e, mentre i miei compagni facevano ricreazione, io ne approfittavo per studiare”. Condizioni dure secondo Huiming, ma “necessarie per uscire dall’estrema povertà da cui proveniva la mia famiglia, condizioni di vita non così impensabili per il laborioso popolo cinese”. E oggi, a distanza di vent’anni da quell’esperienza, sottolinea: “Lo rifarei perché mi ha insegnato tantissimo, è un’esperienza che consiglierei anche ai miei figli perché ti insegna molto più della scuola”. (js)
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