Renzi, l’aiuto fraterno al governo Letta

Renzi, l’aiuto fraterno al governo Letta

di Dino Greco – liberazione.it

Le primarie del Pd si svolgeranno fra una settimana, ma Matteo Renzi si sente già segretario del suo partito e detta le condizioni a dritta e a manca. Lo fa con un’intervista che appare oggi sul quotidiano di Ezio Mauro. Innanzitutto si rivolge al premier, spiegandogli che il tempo del traccheggiamento è scaduto. E poi ad Alfano che tratta da ospite provvisorio dentro un governo che “non è più delle larghe intese”. Il leader del Nuovo centrodestra non ha per Renzi alcun vero potere di condizionamento sul governo, perché se lo fa cadere si va alle elezioni, cosa che il sindaco di Firenze mostra di non temere affatto, ma che Alfano deve invece scansare come la peste perché se questo accadesse Berlusconi lo “asfalterebbe”. E Alfano lo sa. Poi, l’uomo ‘senza quid’ “ha trenta deputati – conclude secco Renzi – mentre noi ne abbiamo trecento”. Archiviato come elemento del tutto secondario il tema del Nuovo centrodestra, Renzi afferra il toro per le corna e muove all’attacco di Letta con un vero e proprio ultimatum. Se il governo continua a tentennare – dice – “la nostra marcia verso le elezioni si trasformerà in un corteo funebre”. Dunque Letta deve satere che non ha più alibi perché il suo esecutivo ora non ha più palle al piede ed “è incentrato sul Pd”. Come a dire che ogni ritardo, ogni incertezza, ogni vaniloquio saranno d’ora innanzi messi al passivo della sua gestione e ne risponderà. E’ qualcosa di più di una tragua armata. E’ un ultimatum. Renzi offre al governo un patto di un anno nel quale dovranno essere soddisfatte tre condizioni. La prima delle quali è – a ben vedere- la sola interessante, perché consiste nel “mandare in pensione i saggi che vanno in ritiro a Francavilla per modificare l’articolo 138 della Costituzione”. La sola cosa da fare, sul piano istituzionale, è perrenzi quella di abolire, tout court, il Senato per trasformarlo in una Camera delle autonomie locali. Quanto alla legge elettorale, il segretario in pectore del “nuovo” Pd pensa sì ad una riforma del ‘porcellum’, ma in senso ipermaggioritario, in modo tale da blindare il bipolarismo coatto corresponsabile dell’allontanamento crescente dalle urne di una massa sempre crescente di elettori. Come? Trasformando il 25% di recupero proporzionale previsto dal Mattarellum in “premio di maggioranza”. La seconda condizione rigurda l’economia. E qui c’è da stramazzare perchè l’enfant prodige propone una “semplificazione delle regole nel lavoro”, come chiave per “aumentare la capacità di attrarre investimenti stranieri”. Come se la deregulation non avesse già toccato limiti estremi ed i lavoratori non fossero già stati trasformati in merce costretta a vendersi sotto costo; come se il lavoro salariato non fosse già degradato a forme schiavili e i diritti sanciti dalla Costituzione che a parole Renzi dice di voler difendere non fossero stati ampiamente calpestati e persino derubricati dalla legislazione lavorista. La terza condizione ha contorni più vaghi. Renzi parla di spesa più oculata dei fondi comunitari per investire su scuola, immigrazione, diritti. E a questo proposito sostiene la non rinviabilità della regolamentazione delle unioni civili e di una legge contro l’omofobia. Claudi Tito, l’intervistatore di Repubblica si avventura infine in una domandina fuori dal registro: “La farebbe una patriminiale?”, gli chiede. Esplicita la risposta: “Ora sarebbe un errore politico, le tasse vanno abbassate, non aumentate”. E già: meglio mettere sotto il torchio quelli che di patrimoni non ne hanno mai avuti e che continueranno a pagare per tutti. Del resto, ognuno, in politica, deve rispondere alla sua base sociale di riferimento e, soprattutto ai propri finanziatori. Ed è noto chi mette mano alla borsa per sostenere la candidatura e “le idee” del sindaco di Firenze. Questi i termini del patto. Prendere o lasciare. Letta è avvisato. Il tempo a disposizione è un anno, tutto il 2014, non oltre. Sempre che le cose vadano per il verso giusto. Ma il ragazzo a fretta e sembra non credere che il premier in carica e suo compagno (pardon, amico…) di partito sia capace di indossare gli stivali delle sette leghe.

Intanto, anche il segretario semiscaduto del Pd prova a dire, diciamo così, la sua. Guglielmo Epifani, raccogliendo qualche sopita e pur labile reminiscenza della sua storia trascorsa, prova ad ammonire che se non si prende rapidamente coscienza del dramma sociale che vivono i lavoratori, “saremo tutti travolti”. Ma lì, sfiancato per lo sforzo di un’affermazione così temeraria, il segretario per un giorno si arresta.


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