Dove va la Cina

Dove va la Cina

di Nicola Melloni – liberazione.it

Il Terzo Plenum del XVIII Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese è stato ampiamente ripreso dai giornali. Si è parlato di una svolta storica, di una definitiva apertura al mercato, della fine definitiva della contraddizione del capitalismo di stato in Cina. In realtà la situazione, come sempre a Pechino, è assai più complessa.

Fedeli alla massima di Deng – non importa che il gatto sia nero o bianco, l’importante è che acchiappi i topi – la leadership cinese basa le sue strategie su uno schietto pragmatismo, analizzando la realtà e i problemi dell’economia cinese e proponendo soluzioni adeguate. I trent’anni di riforme sono state proprio l’esempio di questa politica. Dopo aver abbandonato una economia di piano con chiari segni di sfinimento, si sono introdotti diversi elementi di economia di mercato. Ma non ci si è mai affidati all’ideologia e si sono sempre respinti gli interessati suggerimenti occidentali che spingevano per una liberalizzazione rapida, sul modello dell’Est Europa. Si è visto poi chi avesse ragione.

La Cina ha battuto tutti i record di crescita, è diventata la seconda economia mondiale e ha portato centinaia di milioni di lavoratori fuori dalla povertà. Allo stesso tempo, però, ha creato nuove contraddizioni. Intanto una crescita basata sullo sfruttamento selvaggio della forza lavoro e quindi sull’accesso ai mercati internazionali. In sintesi, salari bassi per esportare invece che per aumentare la domanda interna in un ciclo virtuoso di investimenti, consumo, crescita. Ora questo modello sta mostrando segni di logoramento: da una parte i mercati occidentali non tirano più come una volta, a causa della crisi; dall’altra, la sperequazione sociale sta portando ad un aumento del costo della vita nelle città, alle conseguenti tensioni sociali ed ad un aumento progressivo del costo del lavoro. Nel frattempo l’industrializzazione si è completata, gli investimenti in beni capitali non possono reggere una continua accelerazione dato il progressivo esaurimento delle opportunità di profitto, il gap tecnologico con l’Occidente si è drasticamente ridotto.

Ed allora, per la prima volta in questi tre decenni di riforme, si parla di muovere l’economia verso il mercato interno, rafforzando il potere d’acquisto dei cittadini cinesi e fornendo un solido stato sociale per stabilizzare la domanda e ridurre le tensioni sociali. In un paese che invecchia velocemente, è allora normale attendersi maggiori servizi per gli anziani e un cambiamento nella politica del figlio unico che ha avuto grande successo nello stabilizzare la popolazione cinese ma ne ha favorito anche il veloce invecchiamento. Insieme a questo, una parziale rimodulazione dell’economia verso i servizi, che garantirebbe possibilità occupazionali e di reddito anche in presenza di una crescita meno forte che nei decenni precedenti.

Infine, il mercato. In questi decenni la Cina si è aperta all’economia di mercato ma ha sempre cercato di regolarla. Investimenti esteri consentiti ma solo in partnership con compagnie cinesi, servizi finanziari regolati, ruolo chiave delle industrie di stato che hanno accesso al credito a prezzi calmierati, dominando alcuni segmenti economici chiave. Da una parte questo ha portato ad alcune inefficienze – diverse compagnie pubbliche producono perdite e sopravvivono solo grazie all’aiuto di Stato – ma ha permesso al Partito di tenere le redini dell’economia. Allo stesso tempo, però, la commistione endemica tra pubblico e privato ha portato ad un forte debito delle amministrazioni locali e ha foraggiato una corruzione indecente. La dirigenza cinese sembra ora orientata a lasciare ancora più spazio al mercato. Lo farà però molto gradualmente, timorosa come sempre di shock sistemici che possano distruggere il fragile equilibrio economico e sociale del Paese.

E’ difficile credere che Pechino si lanci in un liberismo sfrenato. Cercherà di dare più spazio al mercato, mediandolo però con i tanto attesi servizi sociali, e vorrà mantenere un ferreo controllo sulle linee guida dell’economia. Perché una cosa è molto chiara ai leader cinesi: il monopolio politico del Partito Comunista è possibile solo in una società ordinata. Dopotutto, il controllo della struttura economica è essenziale per la stabilità della sovrastruttura politica.


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