IX Congresso – Oltre la palude degli equilibrismi, per restituire senso e forza al partito dei comunisti
Pubblicato il 16 nov 2013
Il congresso che abbiamo voluto e pensato tutti all’indomani dell’ultima debacle elettorale, dell’ultima sconfitta della linea politica del partito, ha sprecato la sua straordinarietà dentro un percorso di avvicinamento consumato in piena coerenza con la composizione stessa della Commissione che lo ha indetto. Seminari lontani dalla base del partito (nei luoghi e nelle parole), congressi dei segretari di circolo raggruppati per grandi “zone”, dove le differenti “grida d’allarme” dei compagni sono rimasti semplici documenti mai circolati ed i cui i resoconti giornalistici stanno sul sito alla stregua di report di cronaca da giornaletto di provincia. Quel che è più grave, poi, è che le istanze emerse in quel congresso siano state in larga parte disattese nel primo documento. E con esse, sono state ignorate dalla maggior parte dei gruppi dirigenti ad ogni livello, le richieste continue della base del partito per una discussione seria sulla linea nella preparazione a questo importante confronto.
Questa è la base di preparazione al IX congresso del PRC: un percorso dentro una palude dove lo smarrimento è stato, particolarmente in questi mesi, la causa dell’emorragia di militanti, dello sbriciolamento di intere federazioni nel nulla politico, del dubbio e dello sconforto che spezza la pur forte passione politica e l’attivismo di tanti. E lo si vede dal numero dei partecipanti: una enorme fetta di compagni al di fuori del nostro dibattito, alla finestra, nell’attesa di “un suono o di una luce”. Questo congresso è già una sconfitta per la dirigenza uscente per l’enorme riduzione di partecipazione indotta dall’immobilismo politico della segreteria nazionale.
In questo disastro, una reazione s’è comunque manifestata. Una reazione forte, importante, nuova, che fa bene all’intero partito. L’inquietudine della base ha generato reazioni, confronti trasversali fuori dalle logiche correntizie, utilizzando la rete delle esperienze e conoscenze politiche anche trasversali ai gruppi dirigenti (rete di cui questo partito può e deve andare fiero, in quanto specchio reale dell’organizzazione). Una rete che ha, pur nei limiti organizzativi e di tempo, dato voce al malcontento ed al bisogno di confronto, reso concreta la voglia di riscatto.
Il resto della storia recente di questo congresso lo conosciamo già, raccontata dal compagno Mordenti in altro articolo. Una chiusura pressocchè totale a questa voce, costretta dunque a presentarsi, nei metodi, alla stregua di una qualunque “corrente”, certi di incastrarla, agli occhi dei compagni, in una presunta contraddittorietà tra presupposti e metodi.
Nonostante il tentativo di uniformare, zittire, ridurre il dibattito a resa dei conti tra vertici, la voce di questi compagni c’è. Si chiama “Per la rifondazione di un Partito Comunista”, la voce portata da centinaia di compagni della base del partito, uniti per la classe, per organizzare il conflitto sociale che cova nel popolo, per costruire l’esperienza e la figura di un collettivo politico intellettuale che sappia dare voce e forza ad un agire politico senza ambiguità. Una voce che ci tiri fuori dall’inutile gioco delle rappresentanze fini a se stesse, completamente slegate dalle realtà di lotta concreta delle strade; gioco iniziato col bertinottismo di seconda maniera, continuato nell’esperienza ministeriale castrante di un Ferrero costretto ad essere rinchiuso nella roccaforte di patti intenibili mentre il popolo di sinistra manifestava la sua inquietudine. Una voce che ci tiri fuori dall’immobilismo governativo per cui, al governo in Puglia con un programma politico pericolosamente rivolto (e si è visto..) al centrismo di potere (per non dire alla vera e propria destra), non ci è stato nemmeno consentito dai quadri dirigenti di poter dare l’avvio ad un referendum popolare su una legge per la casa, pronta e lasciata nel cassetto per mesi e mesi. Perché gli equilibri vanno rispettati. Gli stessi equilibri che assegnano e distribuiscono con le logiche pattizie gli incarichi politici e quelli di rappresentanza. Gli stessi equilibri che hanno trasformato il partito a tutti i livelli in una struttura di fedeli alla linea del vertice, un partito di fedeli, non di capaci.
Una voce che sappia dire basta alle ambiguità, nonostante un’analisi, pressocche condivisa da tutti i documenti, che ci dice che non è possibile avere come esclusivo fine del percorso politico la ricerca di una seppur marginale rappresentanza istituzionale, se questa costituisce cesura tra il partito e il popolo. La realtà ci dice che oggi, rispetto al disegno del centrosinistra, interno alle logiche capitaliste di dominio finanziario e sociale sugli stati e sui popoli, la risposta è sempre il “no” e sempre il “contro”. Una voce che chiede che al partito venga restituito il ruolo politico delle decisioni sul lavoro e non subirlo dalle innumerevoli e diversificate rappresentanze sindacali dentro le quali siamo presenti.
I compagni hanno bisogno di essere ascoltati, coinvolti, non è più tempo di verticismi, neppure dentro il partito, non solo nel confronto con gli altri soggetti. La voce stessa del popolo di sinistra ha questa esigenza ed ha anche il bisogno di sentirsi unificata dentro un grande progetto, mai ambiguo, costi quel che costi, e non miseramente interpellata in maniera “consultiva” nei momenti topici.
I compagni hanno bisogno di sapere che non è possibile costruire un progetto con soggetti che, nonostante il proprio ruolo politico amministrativo, si prostrano al telefono con i secondi dei padroni che ammazzano le persone, distruggono le città ed i territori e, non per ultimo, giocano miserabilmente col lavoro e con i lavoratori sfuggendo qualsiasi responsabilità.
I compagni hanno bisogno di fiducia, di sentirsi tutelati, di sapere che combattere per quello in cui si crede possa avere lo scopo di “cambiare lo stato di cose presenti”, hanno bisogno di essere valorizzati, non castrati dentro la fabbrica delle fedeltà, dove gli incarichi si distribuiscono in base alle lottizzazioni tra correnti.
Se è vero, come è vero, che le idee camminano sulle gambe delle persone e che le idee e le persone sono intimamente collegate, va da sè che cambiare le idee implica cambiare le persone. Non si tratta di un aut/aut, ma di una conseguenza necessaria. Non si tratta di indiviuare capri espiatori, di effettuare purghe, nè tantomeno di sostituire vecchi padroni con nuovi. Il rinnovamento della classe dirigente non è soltanto questione di uomini, ma anche e soprattutto di metodo. Vincolo di mandato e turnazione sono regole basilari per un partito che sappia praticare dentro di sè le sane regole della democrazia che aspira a trasferire nelle istituzioni.
Le idee di questo Partito sono estremamente confuse, come quelle per cui a un documento si integrino emendamenti su emendamenti spesso discordanti e in contraddizione totale tra di loro, oppure come quelle che affermano che il partito è morto, ma si presentano ugualmente alle supposte esequie. Siamo totalmente estranei ad un’analisi della sconfittta elettorale sconfortante, quando si imputa al solo PdCI la sciagurata scelta di cercare un’alleanza col PD. Il fallimento politico della Federazione della Sinistra è solo una parte, pure esigua, del fallimento di Rifondazione Comunista in questi anni. Non possiamo essere daccordo con chi ci ripropone tutto quello che ha paralizzato il partito, l’eterogenità di un gruppo dirigente che va dalla ricerca di un accordo con SEL e il centrosinistra fino alla rassegnazione di chi considera PRC un partito ormai morto e dunque investe il proprio impegno dentro altri contenitori come R@ssa.
Il terzo documento richiama l’esigenza di un partito che sappia porsi come interlocutore politico credibile coi movimenti, con i luoghi del conflitto. Tutt’altro che la caricaturale riproposizione di modelli sovietici, come firmatari del primo documento raccontano di noi. Di certo qualcosa di molto diverso dall’immagine triste di un partito che timidamente occupa le ultime file delle sale di assemblee di altri soggetti, umilmente col cappello in mano, alla ricerca di posti in lista.
Per questo il nostro documento è la risposta, la speranza di rimettere in piedi un percorso interrotto e mai terminato, una strada vera, ma differente, verso la costruzione di una grande alleanza di opposizione, di un fronte di lotta anticapitalista che abbia come scopo quello di ridare dignità, voce e potere alle escluse ed agli esclusi, al fine di combattere concretamente il potere finanziario che li rende vittime e non cittadini.
Michelangelo Dragone,
Mariella Calisi,
Alberto Sportelli,
Nicola Signorile,
Michele Adduci,
Giuseppe Balducci
e tutti i compagni del terzo documento della federazione di Bari
Sostieni il Partito con una
Appuntamenti