Nassirya, dieci anni fa la strage. Quattro anni fa l’insabbiamento
Pubblicato il 12 nov 2013
di Checchino Antonini – popoff.globalist.it – Nassirya. Ancora ricordo. L’orrore per le bandiere della Repubblica di Salò nelle camerate sventrate. Fu una strage nella strage. Una strage come alla Thyssenkrupp (la colpa era anche qui dei generali che non seppero predisporre misure di sicurezza) dentro una strage, la II guerra del Golfo a cui i “nostri” ragazzi accorsero con gioia per pagare il mutuo di casa mentre la politica li esaltava come fossero esportatori di democrazia.
Alle 10.40 del 12 novembre 2003, un camion cisterna forzò senza troppa fatica il posto di blocco all’ingresso della base italiana, seguito da un altro automezzo imbottito d’esplosivo. I kamikaze iracheni alla guida dei due veicoli provocarono 19 morti italiani, nove iracheni e un gran numero di feriti. Il giorno dei solenni funerali di Stato, a Roma, fu un’orgia di nazionalismo e di retorica patriottarda a reti unificate. Poi – nel silenzio anch’esso a reti unificate – i comandanti furono accusati di “imprudenza, imperizia e negligenza”.
Aveno sottovalutato gli allarmi e non avevano adeguatamente protetto la base. I blocchi anticarro non erano stati riempiti di sabbia, come si vede in qualsiasi film di guerra, ma di ghiaia e sassi che, al momento dell’attentato, si sono trasformati in proiettili. Il deposito di munizioni era a ridosso degli alloggi militari e le munizioni italiane hanno moltiplicato il volume di fuoco dell’esplosivo iracheno. La decantata professionalità dell’esercito professionale voluto da D’Alema era deflagrata con tutto l’edificio.
Nel 2009 il colonnello Di Pauli era imputato in un processo a Roma proprio per questi reati gravi. Un generale, Stano, era già stato condannato in primo grado a due anni di reclusione e poi assolto in appello (non per non aver commesso il fatto, ma per aver obbedito a ordini superiori). Imputato con lui, ma assolto già in primo grado, il generale Vincenzo Lops, che lo aveva preceduto al comando della base. Ma a dicembre di quell’anno tutto si ferma. Nel decreto sul rifinanziamento delle missioni, primo esempio di larghe intese visto che l’hanno sempre votato Pd e Pdl insieme, scivola una norma che stabilisce l’improcessabilità per quei reati degli alti papaveri in divisa a meno che non lo chieda il ministro della guerra in persona. All’epoca era l’indimenticabile La Russa. Così la Cassazione non iniziò nemmeno a esaminare le carte e il Tribunale militare interruppe il processo a Di Pauli. La norma venne ribattezzata “salva-generali”. Altri due commi del decreto resero più semplice l’uso delle armi per i soldati in missione di “pace”.
Tutto ciò, come sempre, avviene sulla pelle della popolazione civile (alcuni mesi più tardi, nell’aprile 2004, i bersaglieri italiani spararono per forzare un blocco stradale di manifestanti iracheni uccidendo almeno una quindicina di civili disarmati) e perfino dei soldati uccisi nella strage e dei loro familiari.
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