Il manifesto, intervista a Ferrero: «E ora autonomi quindi credibili»
Pubblicato il 12 nov 2013
di Daniela Prezioni – il manifesto – «Il governo Letta è il secondo tempo di Monti. Una controrivoluzione, una Costituente come nel 45, ma stavolta antidemocratica e neoliberista». Paolo Ferrero e il Prc a congresso: non ripeteremo gli stessi errori, fin qui tutti i fallimenti vengono dal rapporto con il centrosinistra. Cambio del segretario? «Decide il congresso»
«Il governo Letta è il secondo tempo della partita. Sul piano economico e sociale le operazioni pesanti le ha fatte Monti: ha usato la paura per sfondare diritti del lavoro, pensioni, welfare. Letta prosegue e fa leva sulla rassicurazione per azioni di sfondamento sul piano costituzionale. La sua parte è demolire la Carta e introdurre il presidenzialismo». Anche il Prc di Paolo Ferrero affronta, come altri a sinistra, un congresso (dal 6 all’8 dicembre a Perugia). Che segna, nelle intenzioni, una svolta.
Cosa intende per ‘azioni di sfondamento sul piano istituzionale’?
Letta sta modificando l’art. 138, e si darà il tempo di cambiare la Carta. La maggioranza troverà la quadra sul presidenzialismo, che chiamerà semipresidenzialismo. Con il bipolarismo hanno demolito la partecipazione, con il presidenzialismo gestiranno in forme plebiscitarie la crisi della politica.
Parte del Pd è contro il presidenzialismo.
Le larghe intese stanno ridisegnando l’Italia sul piano economico-sociale, dalla spending review al fiscal compact al pareggio del bilancio. Sono una Costituente, come quella del ’45. Solo che quella era democratica e progressista, questa è antidemocratica e neoliberista. Se chiudono la partita sulla Carta, il progetto della P2 è realizzato. L’hanno fatto tutti insieme. Del resto è difficile dire se le proposte sociali di Renzi sono a destra o a sinistra di Berlusconi. Penso ai minijob: la distruzione dell’idea che il lavoro abbia dei diritti. Come in Europa, in Grecia, in Germania, la grande coalizione è la forma di governo nella crisi per avere il consenso per fare porcherie che da solo nessuno potrebbe.
Il piano della P2. Come dice Grillo?
Sì, ma io lo dico da prima.
Renzi, Cuperlo e anche Letta giurano che le larghe intese non si ripeteranno più.
Possibile: una volta che avranno sfondato, riprenderanno il teatro nella forma del presidenzialismo. Renzi o Marina Berlusconi: lo scontro sarà anche feroce, ma le differenze sono insignificanti. Sono diversi sui diritti civili, ma pressoché uguali sulle questioni sociali ed economiche. Hanno sfasciato il frutto della lotta partigiana. Una vera controrivoluzione. E il lavoro sarà nella merda.
Si spieghi.
Questo quadro prevede la disoccupazione e la precarizzazione di massa, la riduzione dei salari e la privatizzazione del welfare.
Contro la ‘controrivoluzione’ lei propone una ‘Syriza italiana’. Ci avete già provato con la Federazione della sinistra e Rivoluzione civile. Non ha funzionato. È diversa?
Propongo un polo di sinistra autonomo e alternativo dal centrosinistra. Molte delle forze di Rivoluzione civile si sono trovate fuori dall’alleanza non per loro scelta. E questo ha pesato. I nostri interlocutori oggi sono, per capirci, l’arco di forze e di pratiche che va dal corteo del 12 ottobre, la “Via maestra”, a quello del 19 sul diritto all’abitare. Propongo una testa un voto: nessun percorso con accordi di vertice, come è stata Rivoluzione civile e la Federazione, due fallimenti. Le europee sono l’occasione di una nuova Internazionale sociale. L’Europa è un terreno chiaro: in alternativa ai socialdemocratici e ai popolari c’è la candidatura a presidente della Commissione di Alexis Tsipras (leader della greca Syriza, ndr).
Niente liste Prc anche alle europee?
Il punto è far partire il processo. Come si chiamerà viene dopo.
Proponete di uscire dall’euro?
Nel Prc c’è chi lo propone. Io propongo la disobbedienza ai trattati.
A congresso un pezzo del Prc chiederà di riaprire il dialogo anche con Sel.
È un punto di differenza, anzi è un’altra linea politica. Per noi bisogna costruire la sinistra fuori dal centrosinistra. Loro invece non propongono l’entrata nel centrosinistra, non dico questo, ma antepongono l’unità a sinistra alla sua collocazione. È un errore. Ci abbiamo già provato, è sempre andata male. È successo con la Federazione: il Pdci voleva aggregarsi al Pd, e ci siamo spaccati. Di più: tutte le scissioni del Prc sono avvenute su questo punto. Si può sbagliare, anch’io ho sbagliato: ma non si può ripetere sempre lo stesso errore.
Vuol dire che la prossima Rifondazione sarà definitivamente selezionata fra quelli che dicono no al centrosinistra?
No, voglio dire che se la proposta di questi compagni si realizzasse torneremmo nelle condizioni della Fds: un disastro. Aggiungo che Sel non mi sembra interessata. Ma non dico che non discuteremo mai più con il Pd. Syriza sfida il Pasok, e anch’io se avessi il 20% e il Pd il 10, sfiderei il Pd. Ma ora non vado a fare il suo tappetino.
Il 20% invece in Italia ce l’ha Grillo.
Grillo inizia a mostrare le sue debolezze. Non è interessato ad essere motore dei movimenti. E evidenzia le contraddizioni sulle proposte per uscire dalla crisi, dove mischia ricette di destra e sinistra. Oggi è un parcheggio di voti. Ma resterà al 20 se non ci sarà una sinistra credibile. E alternativa.
Quindi il Pdci è fuori?
No, purché sia chiaro sul rapporto col Pd.
Il Pd è il vostro spartiacque. Messa così non vi precludete il dialogo con quel vasto popolo di sinistra che oggi vota Pd?
La comunicazione con quel popolo avverrà sui contenuti. Il lavoro è il problema del paese, e il nostro piano per un milione di posti – manutenzione dell’ambiente, del patrimonio artistico e tanto altro – non sarà solo una raccolta di firme ma l’occasione di definire una nuova sinistra. Faremo sul lavoro quello che fanno Paolo Di Vetta (dell’Usb, ndr) e gli altri sul tema della casa. Non si lamentano, praticano soluzioni, occupano.
Non teme una Rifondazione minoritaria?
Rifondazione è piccola. Ma le nostre idee sono maggioritarie.
Perché allora avete pochi voti?
Abbiamo un problema di credibilità. Usciamo da una sconfitta e non basta cambiare posizione politiche. Bisogna ripartire.
Qual è l’errore più grave che si addebita?
Il governo con Prodi. Credevamo di poter cambiare l’indirizzo politico. Non a caso i partiti della sinistra europea, tutti in crescita, non hanno avuto esperienze di governo.
È vero anche che nessuno di quei partiti ha sul curriculum la rottura del primo governo di centrosinistra del paese.
La vicenda del ’98 l’avevamo superata nel 2001, con il movimento di Genova. Poi, con la scelta del governo, abbiamo chiuso le possibilità a quel movimento e piallato la nostra credibilità. Ma non è stato un errore solo nostro. Nelle nostre liste c’erano molti dei centri sociali e della sinistra sociale.
Insomma, la fase del ‘bertinottismo’ di governo è stata un errore.
La mia è un’autocritica. Io ho fatto persino il ministro. Ero considerato il rompipalle, ma oggi l’immagine resta quella.
Questo non pone il tema di un ricambio del leader? Il giovane Tsipras ha svecchiato anche l’immagine della sinistra greca.
Invece Mélanchon, leader del francese Front de gauche, è stato ministro di Jospin. Ho messo la faccia nelle scelte buone, come l’elezione di Pisapia, Orlando e De Magistris, e in quelle cattive. Un dirigente comunista, consapevole che si perde fino a che non si vince, deve innanzitutto capire per correggere. Ci sono compagni e compagne che chiedono un ricambio a partire da me. Contrasto la tesi del capro espiatorio, ed è un successo che nonostante tutto non siamo diventati una setta né una dépendence del migliore offerente. Fare il segretario non è il mio primo problema. Vedremo. deciderà il congresso. Proporrò la gestione unitaria del partito. E il referendum fra gli iscritti su ogni questione importante.
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