Intervista a Salvatore Usala: “Rischiamo la vita per non morire. Lottando abbiamo ottenuto più risorse, gli altri solo tagli”

Intervista a Salvatore Usala: “Rischiamo la vita per non morire. Lottando abbiamo ottenuto più risorse, gli altri solo tagli”

di controlacrisi.org -

Controlacrisi.org intervista Salvatore Usala, leader dei malati Sla del Comitato 16 Novembre, scesi in piazza allettati e tracheostomizzati per chiedere il rispetto dei loro diritti fondamentali. Dopo la drammatica morte del loro amico Raffaele Pennacchio, avvenuta proprio dopo l’ultimo presidio, tornano all’attacco pretendendo dal Governo fatti e non chiacchiere. Hanno le idee chiare e con un emendamento alla legge di stabilità avanzano le loro proposte, dall’aumento del fondo per la non autosufficienza alla libertà di scelta per i disabili “fra ricovero in RSA e domicilio”. La loro ricetta oltre a garantire il diritto di “restare a casa”, attraverso l’assistenza domiciliare indiretta, farebbe anche risparmiare milioni di euro allo Stato. Ma facciamo parlare Salvatore, per gli amici “Tore”.

Dal 16 novembre 2010, giorno in cui siete scesi la prima volta in piazza, sono passati tre anni. Tante promesse da parte dei governi, ma i fatti?
I fatti? Pochi rispetto ai 9 presidi. Inoltre bisogna battagliare in tutte le regioni. Certe regioni non hanno ancora distribuito il riparto dei 100 milioni conquistato nel 2010, sono viscidi. Comunque, senza le nostre lotte il fondo per la non autosufficienza sarebbe stato zero, grazie a noi è arrivato a 275 milioni. Stessa sorte per i fondi sociali, che sono per il 2013 300 milioni. Quanta gente si è riempita la bocca di meriti, vili e falsi, perché non hanno mosso il culo quando azzeravano i fondi sociali, parliamo di 2.300 milioni!

Voi chiedete di aumentare il fondo nazionale per la non autosufficienza a 600 milioni nel 2014 mentre il governo lo ha addirittura tagliato. Avete individuato anche la copertura economica?
Basta dare la libertà di scelta fra ricovero in RSA e domicilio, si spende la metà, si possono finanziare il fondo per la non autosufficienza ed i livelli essenziali di assistenza. Un esempio: la regione Sardegna mi finanzia con 46.000 euro, mi posso permettere di assumere 3 dipendenti. Se fossi in RSA la regione spenderebbe 90.000 euro. Bisogna anche considerare che i ricoverati in struttura sono soggetti a ricoveri frequenti, un mese in rianimazione costa 60.000 euro!

Chiedete che sia fatto a livello nazionale quello che si fa in Sardegna con il progetto “Ritornare a casa”. In poche parole in che consiste?
Chi è ricoverato in struttura, o affetto da grave patologia, ha diritto ad un finanziamento di 20.000 euro. Per i tracheostomizzati o coma arriva a 47.000 euro. Nel 2012 la regione ha finanziato 1.600 piani spendendo 25 milioni e risparmiando almeno 35. In 6 anni abbiamo dimezzato le presenze in RSA, infatti abbiamo un indice meno della metà della media nazionale.

Ma se invece la persona con disabilità e la sua famiglia scegliessero il ricovero in Rsa?
Non tutti i malati hanno una famiglia che possa supportarli, la libera scelta serve per questo. Non vogliamo demonizzare le RSA, che sono utili, ma in 10 anni la spesa è raddoppiata arrivando a 18 miliardi. C’è poi un mancato controllo da parte delle aziende sanitarie rendendo uguali lager e strutture virtuose.

Qualcuno segnala che quello che chiedete oltre a causare la chiusura di molte Rsa rischia di far perdere il lavoro a migliaia di operatori impiegati nelle stesse.
Non è vero! Nel nostro proggetto, a fronte di un taglio del 25% delle RSA, ci sarebbero 200.000 posti di lavoro, molti dipendenti verrebbero riassorbiti. C’è da considerare, inoltre, che le RSA spuntano come funghi, ci sono 100.000 malati in lista d’attesa, liberissimi di scegliere. Il problema è che a casa è garantita la presenza di un assistente, io ne ho 3, in struttura c’è un operatore ogni 10 pazienti, se hai bisogno di essere aspirato rischi di morire soffocato nel tuo catarro. In molte strutture sei totalmente abbandonato.

La vostra protesta estrema è vista come un fulmine a cielo sereno nel tranquillo mondo del sociale, soprattutto in quello organizzato del cosiddetto terzo settore, che ha preferito in questi anni, nonostante i pesanti tagli al welfare, il dialogo alla piazza. Qual è il metodo più efficace?
Alcuni dicono che la nostra lotta è un ricatto, altri che mettiamo in pericolo di vita disabili gravi, altri ancora che il dialogo è più importante. Tutta fuffa, non hanno il coraggio di dire che rappresentano se stessi, perchè disabili in piazza sono incapaci a portarne, perciò preferiscono tavoli inconcludenti. Noi rischiamo la vita per non morire, siamo costretti a lottare così, 1.000 malati SLA si lasciano morire per mancanza di assistenza. Qual è il metodo migliore? Loro concertando hanno ottenuto 2.300 milioni di tagli, noi trattando 575 milioni di finanziamenti, mi pare palese la risposta.

Il vostro amico Raffaele Pennacchio è morto dopo l’ultimo presidio sotto il ministero dell’Economia. Siete, purtroppo, abituati alla morte, ma questa perché vi fa arrabbiare più delle altre?
Siamo incazzati perchè il governo ha precisato che loro non avevano nessuna colpa. Chi ha tagliato i fondi sociali? Chi ci ha costretto a dormire in tenda o furgone? Chi non rispetta la costituzione? Sono una marea di ipocriti e incivili. Poi c’è il rapporto umano, Raffaele era un grande amico, un fratello, un dirigente prezioso del Comitato 16 Novembre.

Cosa farete se il governo anche questa volta non trasformerà le vostre proposte in fatti concreti?
Siamo certi che otterremo risposte, il governo ha preso impegni scritti, stavolta vogliamo emendamenti nella legge di stabilità. Se non ci sarà concretezza, siamo pronti a tutto: dormire in tenda, sciopero della fame e della sete vero (non come quelli che durano mesi), se non bastasse non ricaricheremo le batterie e moriremo per mancanza d’aria. Noi non scherziamo, vorrei vedere la figura di merda dei Ministri se ci scappa il morto davanti al ministero? Sono ottimista, ritengo che alla fine le nostre ragioni vinceranno, ne sono certo!


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