Intervista a Ferrero: «Contro l’Europa di Maastricht. Ecco perché serve Rifondazione»
Pubblicato il 26 set 2013
di Romina Velchi – liberazione.it - Compagno Ferrero, dunque ci siamo. Il Cpn ha approvato tempi e modi del prossimo congresso, che si terrà a Perugia dal 6 all’8 dicembre. Sei soddisfatto? E il percorso individuato – data la straordinarietà, per vari motivi, dell’appuntamento – potrà davvero ridare il necessario slancio al partito e alla sua comunità?
Abbiamo detto che ci vuole uno straordinario congresso, per vari motivi. Il primo è la ricostruzione della comunità di Rifondazione comunista, perché per mille ragioni – tra le quali anche l’assenza di Liberazione in formato cartaceo – si sono affievoliti i legami nel partito. Quando vado alle feste di Liberazione tocco con mano l’orgoglio dei compagni e delle compagne che si impegnano oggi più di ieri ma sento anche una difficoltà, un allentamento delle relazioni. Il modo in cui funziona il partito non è soddisfacente e non produce una sufficiente coesione della nostra comunità. Questo chiede una riflessione e un salto di qualità su come deve funzionare il partito per accorciare questa distanza, è necessario che il partito venga riconsegnato nelle mani dei compagni e delle compagne. Da questo punto di vista considero positivo che il Comitato Politico Nazionale scorso abbia deciso di non varare subito i documenti ma di darsi alcuni giorni durante i quali sarà possibile (per federazioni e circoli) far pervenire osservazioni e proposte di modifica, in modo che alla fine il CPN del 6 possa licenziare i documenti in forma definitiva. E’ un primo utile livello di confronto per capire se i contenuti corrispondono alle esigenze del partito. E siccome dobbiamo cambiare radicalmente il nostro modo di funzionare, nel documento sono contenute delle proposte anche a questo riguardo. Una su tutte: proponiamo di rendere obbligatorio il referendum tra gli iscritti e le iscritte su tutti i nodi fondamentali. Ad esempio le elezioni sono sempre un punto controverso di grande discussione, che lasciano sovente strascichi e polemiche. Noi proponiamo – come si fa ad esempio in Izquierda Unida – che su questi temi alla fine decidano gli iscritti e le iscritte con un voto vincolante. Così come proponiamo di dare maggiore peso alle realtà territoriali del partito, a partire dall’istituzionalizzazione delle assemblee nazionali dei segretari di Circolo, in modo che ci siano luoghi di confronto periodici tra tutti coloro che sono chiamati a dirigere il partito, a tutti i livelli. Abbiamo detto che la militanza e la tenuta del partito sui territori è la nostra principale risorsa, noi proponiamo di valorizzare questo nei percorsi di decisione: la sovranità deve essere in mano agli iscritti e alle iscritte di Rifondazione comunista. Insomma, un congresso dal quale esca una proposta concreta di partito radicalmente accorciata nel rapporto tra base e vertice, come si dice, e che metta nero su bianco dei meccanismi di partecipazione che superino anche il modello tutto centrato sulle correnti, che ha ingessato il partito. Per rinnovare il partito occorre cambiare radicalmente il modo di formare i gruppi dirigenti, mettendo al centro le capacità e non le fedeltà. A volte più che un partito sembriamo una federazione di partiti e questo fa un grave danno alla nostra impresa.
Questo è chiaro. Un altro punto di straordinarietà?
Dopo le sconfitte elettorali che abbiamo subito, questo congresso non deve solo discutere del tema classico della linea politica, ma proprio della ragione stessa dell’esistenza di Rifondazione comunista. E dunque il nodo di fondo riguarda l’utilità, il senso stesso dell’esistenza del Partito della Rifondazione Comunista. Io ritengo che Rifondazione non solo sia necessaria ma che se non ci fosse bisognerebbe inventarla e nel documento avanziamo una proposta molto netta che si basa su 5 punti…
Dicci.
Innanzitutto la crisi economica è la crisi del capitalismo e tutte le ricette del centrodestra come del centrosinistra non servono a nulla per uscire da questa crisi perché sono dentro il paradigma dell’austerità. Invece, il problema vero è che questa non è una crisi di scarsità, ma di sovrapproduzione, per questo l’austerità non fa altro che peggiorare le cose. Per questo noi proponiamo di mettere al centro è la redistribuzione della ricchezza, del lavoro, del potere e la riconversione ambientale dell’economia. Insomma, se è in crisi il capitalismo e c’è bisogno di una idea di fondo, di un progetto generale che dica in che direzione si può uscire dalla crisi forzando il paradigma capitalistico. Qui sta l’attualità piena del comunismo oggi, sta l’attualità di essere rivoluzionari oggi, in Italia.
E poi?
Questa idea di fondo, questa alternativa di società, noi la articoliamo in una proposta concreta, qui ed ora in Italia. Proponiamo il Piano per il lavoro, cioè una proposta di politica economica e sociale, praticabile, per dare una risposta al principale problema italiano; la mancanza di lavoro e la scarsità di reddito per gli strati popolari. Per ragioni di spazio non descrivo qui il Piano per il lavoro ma il punto politico è questo: i comunisti oggi in Italia hanno un senso di esistere e un ruolo politico da svolgere in quanto sono in grado di indicare una strada attraverso cui uscire dalla crisi, una strada che ha un obiettivo finale ma che ha tappe intermedie praticabili e rivendicabili da subito a livello nazionale e territoriale, il Piano per il lavoro. Si tratta di rimettere al centro del dibattito politico e delle pratiche sociali l’intervento pubblico in economia e la riduzione dell’orario di lavoro. Questa deve diventare la seconda pelle di Rifondazione, la nostra carta d’identità: i comunisti non partono dal teatrino della politica ma dal problema fondamentale del popolo italiano e indicano una prospettiva praticabile.
E l’Europa?
Questo è il terzo punto della proposta. L’Europa così com’è è un disastro. Per questo noi proponiamo la disobbedienza ai trattati: cioè non applicare quei trattati che obbligano all’austerità, mettendo radicalmente in discussione tutta l’Europa di Maastricht. Non basta lamentarsi della Merkel o dire che si va a Bruxelles a “battere i pugni sul tavolo”. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Occorre disobbedire unilateralmente ai trattati praticando da subito una politica economica e sociale alternativa all’austerità senza aspettare la benedizione della Merkel. Così come in Grecia Syriza propone di non applicare il memorandum e su questo si candida a governare il paese, noi dobbiamo rivendicare che l’Italia non applichi il Fiscal Compact, che obblighi la Banca d’Italia ad intervenire per abbattere gli interessi usurai che paghiamo sul debito pubblico. La strada della disobbedienza unilaterale è la strada che propone la sinistra europea, da praticare in ogni paese per scardinare l’Europa di Maastricht. Non si dica che è impossibile: la Francia è allegramente sopra al 3% nel rapporto Deficit/PIL e non è morto nessuno.
Come realizziamo questo?
Innanzitutto questo indirizzo politico lo dobbiamo sviluppare come partito. Il Piano del lavoro deve diventare una grande opportunità di radicamento sociale, di ricostruzione di credibilità e rapporti sociali per Rifondazione Comunista. Ma noi questa proposta la poniamo dentro il contesto della costruzione di un movimento di massa per la difesa della Costituzione, la sua attuazione e il lavoro. L’appello di Rodotà e Landini, che darà vita alla manifestazione del 12 ottobre, è per noi un punto fondamentale. Le adesioni che questo appello sta ricevendo sono molto rilevanti e possono determinare un vero fatto nuovo nella dinamica della crisi italiana. Lavoriamo non solo per la riuscita della manifestazione e perché questa si qualifichi chiaramente contro il governo Letta, ma affinché questa mobilitazione si sedimenti in un vero e proprio movimento di massa per la democrazia e contro l’austerità che sappia dialogare con tutti i movimenti che ci sono nel paese. Pensiamo solo alle mobilitazioni del 18 e 19 ottobre del sindacato di base e dei Comitati, a cui noi parteciperemo. La rottura del silenzio sociale e la costruzione di un movimento per la democrazia e il lavoro possono costituire un punto di aggregazione sociale e politico e contemporaneamente il contesto in cui far vivere in modo allargato le nostre proposte. Vogliamo cioè costruire la sinistra come progetto politico, non può essere l’ala sinistra di Renzi, ma deve costruirsi su contenuti chiari, in forma partecipata e dal basso.
Non c’è un problema di alleanze politiche?
Rispetto alle scelte fatte dai vertici delle forze politiche di centro sinistra non vedo oggi grandi spazi. Il Pd governa con Berlusconi e questi governi non sono una parentesi ma governi Costituenti, come abbiamo detto più volte. Renzi, cioè il futuro vincitore delle primarie, oltre a scopiazzare da Berlusconi il modo di fare politica, avanza addirittura un programma di ulteriore spostamento a destra: propone di fare in Italia i mini job, lavori precari sottopagati e senza contributi, introdotti in Germania dall’Spd e contro cui la Linke ha fatto gran parte della sua campagna elettorale. Per quanto riguarda il gruppo dirigente di Sel, pur essendo collocata all’opposizione del governo, ripropone l’alleanza con Renzi, come se nulla fosse. Sul quadro politico purtroppo vanno registrati spostamenti a destra, non certo a sinistra.
Quindi il quadro politico secondo te è chiuso?
Assolutamente no. Il quadro politico è tutt’altro che statico, c’è grande movimento. In primo luogo larga parte di chi ha votato Pd non l’ha certo fatto per andare a governare con Berlusconi. In secondo luogo il congresso del Pd aprirà grandi contraddizioni. Non credo che il passaggio di testimone dagli ex comunisti ai democristiani possa avvenire in modo indolore. Così come la scelta di collocazione di Sel, come ala sinistra di un centrosinistra guidato da Renzi, non risponde alla domanda di sinistra che è ben presente tra chi ha sostenuto Sel in questi anni. Il centro sinistra mi pare in grande sommovimento e dobbiamo pensare a come costruire una alternativa politica credibile che possa diventare un punto di riferimento sul piano nazionale. Per certi versi lo stesso discorso vale per una parte dell’elettorato grillino: vi è una domanda di cambiamento che è stata frustrata dal settarismo di Grillo. Vi è oggi una domanda di sinistra vera, che non ha una risposta: il nostro compito è operare per costruirla senza ripetere gli errori del passato.
Cosa intendi dire?
Voglio dire che la proposta di costruire una sinistra vera non può seguire le strade già fallite della Federazione della Sinistra e di Rivoluzione Civile. Non si possono fare aggregazioni dall’alto, in forme non democratiche, che non abbiano chiara l’alternatività del proprio progetto rispetto alla strategia del centro sinistra. Noi proponiamo, nel contesto di costruzione di un movimento contro l’austerità, di dar vita ad un processo di aggregazione basato su un percorso democratico e partecipato. Riteniamo che nella dinamica messa in moto dalla manifestazione del 12 si possa operare per costruire uno spazio pubblico della sinistra che aggreghi le forze disponibili. Occorre lavorarci con determinazione e pazienza certosina a tutti i livelli, dal livello territoriale a quello nazionale. Che non significa che Rifondazione fa un fischio e tutti arrivano, ma che noi contribuiamo insieme ad altri a determinare il fatto che queste forze si aggreghino. E ripeto, il 12 ottobre non è in sé il processo di aggregazione della sinistra ma se in Italia parte una mobilitazione generale, c’è una possibilità che il meccanismo di aggregazione politica si metta in modo. Tieni anche conto che la crisi non solo non è finita ma continuerà a mordere sempre più forte. Le contraddizioni sono destinate ad aprirsi, non a chiudersi e noi dobbiamo provare e riprovare per inserirci in queste contraddizioni. Come ho detto più volte, non siamo a fine campionato ma a metà del primo tempo!
Ti sembra che il congresso, che ora entrerà nel vivo, sia partito con il piede giusto?
Da questo punto di vista sono molto preoccupato. A fronte della necessità e della possibilità di darsi un forte progetto politico determinando una svolta nel modo di funzionamento del partito, vedo un eccesso di rissosità nel gruppo dirigente che non aiuta, sento toni ultimativi fuori luogo in un partito provato e che ha bisogno di ritrovare il senso di se stesso. A volte vedo una sfiducia verso noi stessi al limite dell’autolesionismo o toni da pura ricerca del capro espiatorio. Ti faccio un esempio che mi ha colpito molto. Nell’assemblea dell’8 settembre il mio intervento è stato ben accolto. C’è stato quindi un riconoscimento di Rifondazione e delle sue proposte che non era per nulla scontato. Di fronte a questo qualche dirigente del partito ha messo in giro che il segretario era stato fischiato, per poter dire che il segretario è inadeguato e va cambiato. Quando si arriva a quei livelli lì, in cui pur di far battaglia interna si raccontando balle, mettendo alla fine in cattiva luce il partito, io mi preoccupo. Così come nell’ultimo Cpn ho visto una tendenza a sottrarsi alla discussione da parte di compagni e compagne che pure hanno già annunciato la decisione di presentare emendamenti al testo del documento. Diventa difficile trovare una sintesi in queste condizioni e diventa difficile riuscire far si che il Congresso diventi un vero momento di rilancio del partito.
Ma la decisione di arrivare ad un documento a tesi non è comunque un fatto positivo?
Certo e spero che attraverso il meccanismo delle singole tesi alternative si riuscirà a dar vita ad un terreno di discussione vero, che non si trasformi in una conta in cui gli iscritti e le iscritte devono semplicemente schierarsi rispetto alle divisioni del gruppo dirigente nazionale. E’ il clima che mi preoccupa, forse troppo influenzato dal clima generale che vive il paese. Pensa solo al congresso del Pd: nessuno capisce nulla sui contenuti e tutto verte sulla rottamazione, sul fatto che Renzi è il nuovo. Che Renzi sia chiaramente portatore di una ipotesi di svolta a destra passa del tutto in secondo piano. Ecco noi non abbiamo bisogno di un Congresso così, abbiamo bisogno di discutere, capire bene cosa abbiamo sbagliato e di decidere bene cosa dobbiamo fare. Questo per poter produrre una vera svolta nel modo di funzionare e nella costruzione dei gruppi dirigenti.
Per chiudere, uno sguardo fuori di noi. Il voto tedesco.
Intanto è falso il giudizio che viene dato in Italia. In Italia si dice: ha vinto la Germania europeista. Non è vero. Ha vinto la Germania che comanda l’Europa e la sfrutta a proprio vantaggio. E poi c’è il risultato importante della Linke, l’unica forza che pone il problema dell’alternativa. E’ vero che ha perso voti, ma in un contesto in cui il senso comune ritiene che Merkel abbia difeso bene gli interessi tedeschi e per questo va votata, il fatto che la Linke, che ha la stessa posizione di Syriza sull’Europa, ottenga un simile risultato è straordinario. La Linke ha fatto una campagna elettorale il cui slogan principale era “100% sociale” facendo una polemica frontale con le politiche neoliberiste della Merkel. Non a caso, la Spd non vuole fare un accordo con la Linke: l’Spd è per il rispetto integrale dei trattati europei e ha attivamente deregolato il mercato del lavoro. La Spd ha più superficie di contatto con Merkel che con la sinistra. Che è lo stesso problema che abbiamo noi in Italia.
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