Telecom-Telefonica… E ora si prepara il disastro occupazionale

Telecom-Telefonica… E ora si prepara il disastro occupazionale

di Fabio Sebastiani – controlacrisi.org - 

Domani l’amministratore delegato di Telecom Franco Bernabé sarà ascoltato in Senato. C’è da giurare che non farà il minimo cenno al disastro occupazionale che l’operazione Telefonica-Telco-Telecom che si annuncia. Del resto, nessuno per il momento si espone troppo sul timore, più che fondato, che tra qualche mese non possa spuntare un maxi-esodo di dipendenti. Quello degli esuberi è una costante nelle operazioni di fusione. Tutti parlano di una non meglio precisata “italianità” da difendere, come se fino ad oggi la privatizzazione non avesse in realtà rappresentato proprio l’esproprio della mano pubblica.

E’ lì che insiste, però, il leit motiv dei commenti di quasi tutti i sindacati. Anzi, a dir la verità fa capolino anche da qualche dichiarazione proveniente dalla politica. Come quella di Matteo Colaninno, che può essere considerata una voce “interna” alla partita. «Quando l’Italia resta priva di un pezzo industriale importante, è una perdita – dice il parlamentare del Pd, che è anche responsabile delle politiche economiche – A rischio c’è la garanzia dei dipendenti e del piano industriale. Viene meno un imprenditore che comunque risponde al Paese. In questi casi bisogna domandarsi se esiste un socio industriale in grado di garantire futuro». Il messaggio è chiaro, liberi dai vincoli della politica del Bel Paese il primo provvedimento che gli spagnoli imboccheranno sarà proprio quello dei “costi sociali”. Del resto, gli spagnoli sono indebitati fino al collo, e il vero interesse strategico è rappresentato dalla rete fissa. Che altro dire? Il 3 ottobre prossimo Telecom terrà un Cda da cui verrà fuori uno spezzatino senza precedenti. E’ da lì che comincerà il percorso degli esuberi per Telecom Italia, che è passata da 5° operatore mondiale di telefonia con 120.000 dipendenti a un’azienda sottocapitalizzata e indebitata in misura spropositata con appena 46.000 addetti.

I sindacati, che stanno tenendo comunque un profilo non adeguato allo spessore della sfida, chiedono un intervento del Governo “a prescindere”. Cioè, la filosofia è “nel mentre che si consuma il delitto sulla pelle dei lavoratori almeno l’esecutivo dia l’idea di intervenire”.

«Il Governo attivi subito un tavolo per capire cosa intende fare perché la proprietà della rete non sia esclusivamente di un’azienda spagnola», dice il segretario confederale della Cisl, Annamaria Furlan.

«E’ un altro duro colpo per noi – dice Luigi Angeletti, segretario generale della Uil – così perderemo un’altra delle poche, grandi imprese che ancora restano sotto il controllo italiano. E accadrà fatalmente quello che è naturale che accada: che nei prossimi anni, quando si tratterà di decidere dove investire lo si farà sulla base di interessi, legittimi, che però non risiederanno a Roma ma a Madrid». «E naturalmente questo accordo – prosegue Angeletti – ha una ricaduta per noi negativa sul fronte occupazionale non solo nell’immediato ma soprattutto per il futuro». L’Ugl in una nota mette l’esecutivo di fronte alle sue responsabilità. «Poteva esercitare con la golden share un potere di autorizzazione condizionata in presenza di determinate operazioni che riguardano strutture strategiche per la Nazione – dice – ma si è ancora in attesa di un provvedimento attuativo della Legge n. 56 dell’11maggio 2012 che viene sistematicamente rinviato da mesi. Si sperava in una partecipazione economica in Telecom della Cassa Depositi e prestiti, ma alla fine neppure questa opzione ha interessato il Governo».

Susanna Camusso, segretario della Cgil, arriva per ultima, e parla di «situazione inquietante».«E’ evidente, che se i contorni di un possibile piano industriale – si legge in una nota firmata congiuntamente da Cgil e Slc, il sindacato di categoria – fossero la vendita di Tim in Brasile e Argentina, riorganizzando l’azienda attraverso la cessione di assets strategici quali le attività di customer e quelle dell’informatica per poi procedere alla fusione per incorporazione di Telefonica e Telecom Italia saremmo in presenza di un’operazione che fa uscire l’Italia dal settore delle telecomunicazioni, togliendo al Paese la possibilità di indirizzare gli investimenti e potenziare la rete, condizioni imprescindibili per il rilancio dell’economia. In tal caso le ricadute occupazionali sull’attuale perimetro di Telecom Italia potrebbero essere incalcolabili». «Siamo molto preoccupati della situazione che si sta determinando e ancor più preoccupa il silenzio della politica a fronte della cessione agli spagnoli di un’azienda ritenuta strategica», dice il segretario generale dell’Slc, Massimo Cestaro. «Non si capisce se dai ministeri competenti è giunto un via libera oppure se non fossero stati informati», prosegue Cestaro, che sottolinea che «siccome stiamo parlando di reti, il fatto che stiano passando di mano senza che nessuno dica nulla è incomprensibile». Intanto, anche da Slc-Cgil, e dalla stessa Cgil, parte la richiesta al Governo della convocazione di un tavolo per conoscere il reale contenuto del piano industriale. «Mentre in prospettiva si potrebbe pensare ad un intervento dell’esecutivo che su Telecom dispone di una golden share», ricorda infine il sindacalista. L’unica voce fuori dal coro è quella di Usb che, per bocca di Fabrizio Tomaselli, chiede la nazionalizzazione delle imprese che in questo momento potrebbero passare di mano: Fiat, Ilva, Telecom e Alitalia. «Se questo vuol dire disconoscere accordi e meccanismi economici internazionali ritenuti ormai cogenti soltanto per i paesi più deboli – sottolinea Tonaselli – allora vuol dire che questi accordi vanno rigettati e disconosciuti, aprendo una stagione di riappropriazione dei mezzi di produzione e degli strumenti attraverso i quali far sviluppare l’occupazione, migliorare lo stato sociale e creare le condizioni di un concreto sviluppo dell’economia reale, contro le politiche delle banche, delle istituzioni economiche internazionali e le speculazioni finanziarie. Ed è anche per questo che il 18 ottobre sarà sciopero generale».

Con Telecom in mano agli spagnoli di Telefonica il Codacons, infine, chiede ora precise garanzie per gli utenti. L’associazione dei consumatori chiede, ad esempio, di eliminare il canone Telecom, che, si legge in una nota, «al limite dovrebbe confluire allo Stato per finanziare la banda larga veloce e non certo arricchire gli azionisti spagnoli». Inoltre, «gli organi di gestione della nuova Telecom andrebbero aperti ai piccoli azionisti e agli utenti» e «andrebbero eliminate le penali che pagano gli utenti quando abbandonano la compagnia telefonica, penali eliminate formalmente dalla prima lenzuolata Bersani ma rientrate dalla finestra sotto forma di spese, in realtà inesistenti».


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