Alleva: Sentenza Fiom è sconfitta della Fiat e della sua linea ideologica

Alleva: Sentenza Fiom è sconfitta della Fiat e della sua linea ideologica

di Piergiovanni Alleva – il manifesto –  

Non è frutto di un caso né costituisce una sorpresa la sentenza della Corte Costituzionale n. 231/2013 che, “riscrivendo” il testo dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori, ha consentito il rientro della democrazia nei posti di lavoro e sconfitto in modo definitivo l’intenzione della Fiat di escludere e discriminare i sindacati non proni al suo volere. E’ il frutto della volontà e della determinazione della Fiom-Cgil di resistere in una situazione difficilissima, riaffermando il diritto dei lavoratori a scegliere il sindacato da cui farsi rappresentare e a non essere ricattati all’insegna dell’alternativa “o questo o il licenziamento”, che era invalsa nell’era di Marchionne e cui il senso comune mostrava di consentire.

Chi non ricorda lo slogan “uno, cento, mille Marchionne” scandito da Matteo Renzi o l’adesione di uomini “di sinistra” come Fassino e Chiamparino, o del segretario di uno dei grandi sindacati che è giunto a proclamarsi “complice” della parte datoriale? La Fiom ha resistito e ha dovuto ingaggiare un fitto contenzioso giudiziario, valendosi di una piccola schiera di giuristi volontari – alla quale anche chi scrive si è onorato di appartenere – che hanno iniziato tante cause quante erano le fabbriche Fiat dalle quali la Fiom veniva espulsa.

La strategia era che almeno una di queste cause finisse con una remissione alla Corte Costituzionale nella speranza ben riposta che la Corte non venisse meno al suo ruolo di garante dei diritti costituzionali fondamentali. Altri sindacati, organi di stampa e mass-media hanno ripetutamente irriso la linea della Fiom, ma era la linea giusta, come si è dimostrato e come crediamo si dimostrerà in altre situazioni in cui diritti fondamentali saranno messi in discussione. Il nucleo della importante decisione in esame è che l’art. 19, a seguito di un referendum abrogativo del 1995, presentava un testo che poteva prestarsi ad un uso strumentale e stravolto, in quanto diceva che potevano formare Rsa sindacati che avessero firmato un contratto collettivo applicabile in azienda. Questo era un criterio minimale di incentivo all’attività sindacale, che consentiva ad un sindacato anche piccolo e modestamente rappresentativo, di poter formare un Rsa se fosse riuscito almeno a sottoscrivere un contratto.

La Fiat ne ha voluto dare una lettura meramente testuale, stravolta e rovesciata, affermando che un sindacato anche altamente rappresentativo, che in ipotesi raccogliesse anche la maggioranza assoluta delle adesioni dei lavoratori, se si fosse rifiutato di firmare un contratto proposto dal datore di lavoro, non avrebbe potuto formare una Rsa ovvero la sua Rsa sarebbe decaduta nel caso si trattasse di un nuovo contratto dopo la scadenza del vecchio. In tal modo la Fiat, iniziando una stagione di contrattazione tutta sua dopo l’uscita dalla Federmeccanica e sulla quale ha raccolto l’adesione servile di alcuni sindacati, ha preteso di cacciare la Fiom da tutte le sue fabbriche. E’ proprio questo uso stravolto che la Corte Costituzionale ha ritenuto incostituzionale per violazione degli artt. 2-3- e 39 Cost. giacché , in quel modo «i sindacati sarebbero privilegiati o discriminati sulla base non già del rapporto dei lavoratori che riguarda al dato oggettivo (e valoriale) della loro rappresentatività e quindi giustifica la stessa partecipazione nella trattiva bensì del rapporto con l’azienda».

Questa è stata la sconfitta della Fiat e della sua linea ideologica di interpretazione: invero anche nella discussione orale davanti alla Corte, la Fiat ha sostenuto essere del tutto logico e giusto che solo i sindacati che si siano dimostrati comprensivi delle esigenze aziendali, firmando il contratto proposto dal datore di lavoro, potessero avere un’organizzazione stabile e opportuni sostegni in azienda ( Rsa, permessi, assenze retribuite, ecc.). Il contrario di quanto ha sostenuto la Fiom: il sindacato è qualificato nella sua azione e deve essere riconosciuto e incentivato dall’ordinamento per il consenso che raccoglie tra i lavoratori e non dalla controparte datoriale, affermando la natura dialettica- e non dialogica o consociativa- delle relazioni intersindacali. Tesi pienamente accolta dalla Corte: non è necessario che un sindacato, per poter aver la sua Rsa, firmi l’accordo con il datore di lavoro: può rifiutarlo se nel corso della negoziazione valuta inaccoglibili le proposte datoriali. La partecipazione alle trattative è il crisma della rappresentatività. La Corte l’aveva già detto nella sentenza 244/1996 trattando il caso (in apparenza opposto) del piccolo sindacato che ottenesse di firmare il contratto collettivo senza averlo però negoziato: la Corte negò che un simile sindacato firmatario per grazia datoriale potesse pretendere di costituire Rsa, perché non aveva proceduto alla negoziazione pur avendo apposto poi la firma. Dunque la partecipazione alla trattativa è sempre stata l’elemento che davvero conta. Adesso la Corte lo ha detto in positivo integrando con una sentenza c.d. additiva il testo dell’art. 19.

Già subito dopo la notizia del dispositivo della Corte, nel campo datoriale gli “illuminati” hanno subito tratto la conclusione che è necessaria una legge che indichi chiaramente i requisiti di rappresentatività (magari sulla scorta degli accordi interconfederali del 28.06.2011 e del 31.05.2013). Mentre i datori “reazionari” si ostinano a voler pignoleggiare sul concetto di partecipazione alle trattative per cercare ancora di escludere i sindacati non conformisti. Ma importa notare che la Corte Costituzionale nella sentenza 231/2013 ha già esorcizzato la tentazione di ricorrere ad una “discriminazione al quadrato” verso i sindacati non graditi (discriminazione non solo dalla firma ma anche dalle trattative) ricordando al punto 7 della motivazione «la tutela dell’art. 28 dello Stat. Lav. nell’ipotesi di un eventuale non giustificato, negato accesso al tavolo delle trattative».

Anche noi vogliamo sperare che da parte datoriale non si insista in scaramucce di retroguardia ma si convenga con l’invito finale che la Corte fa al legislatore di optare verso coerenti soluzioni legislative che coniughino nel modo migliore rappresentatività e democrazia sindacale.


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