Lettera aperta a Ingroia sulla cultura

Lettera aperta a Ingroia sulla cultura

Caro Ingroia,
siamo un gruppo di quelli che vengono generalmente definiti come “operatori culturali”. Siamo lavoratori della cultura, registi, autori, attori, artisti, scrittori, scenografi, direttori della fotografia, produttori, musicisti; abbiamo tutti storie personali e percorsi interni alla sinistra, altri ancora sono di formazione più “accademica” o “professionale”. Ma tutti, e in tanti di più, ci siamo ritrovati concordi nello scegliere, oggi, RIVOLUZIONE CIVILE: sia per la fiducia particolare che abbiamo in te, sia per la presenza, nella tua formazione, di partiti, organizzazioni e movimenti che apprezziamo particolarmente.
E tuttavia abbiamo deciso di esporti con franchezza una nostra preoccupazione riguardo al tuo programma così come alle dichiarazioni che finalmente una televisione monoculturale ti sta consentendo di esprimere. Ci riferiamo allo scarso rilievo, nel  programma, del grande e decisivo tema della cultura e della conoscenza. Noi firmatari di questa sorta di “lettera aperta” (o ‘appello’ che dir si voglia) siamo infatti convinti del determinante peso della cultura e della conoscenza sulla formazione del senso comune,  di quello che LE MONDE definì una volta il “pensiero unico”,  basato sui valori della competizione e dell’affermazione individuale insieme ai modelli della notorietà e del “successo”. Pensiero unico che l’intera gamma della comunicazione elettronica e cartacea ha costruito in anni e anni di lavoro sostenuto da leggi e interventi strutturali tendenti sempre a collegare la conoscenza, l’arte e tutta la vita culturale e formativa del paese alle logiche e alle leggi di un dio-mercato assurto a unico filtro regolatore e selezionatore della produzione e della diffusione della cultura. Per questo, e da tempo, noi siamo dunque convinti che il rinnovamento della vita culturale all’insegna del pluralismo, della qualità e della creatività non sia uno dei tanti punti necessari al progresso e al miglioramento del nostro paese, ma rappresenti un luogo centrale e strategico di qualunque progetto di rinnovamento reale e rivoluzione civile. In questo senso ci è di buon esempio la Francia che riuscì a imporre questa filosofia all’ Europa sottraendola – con l’azione di Mitterand e Delors – alla logica finanziaria dei banchieri che in un’epoca non lontana tendeva a dominare anche la politica europea per la cultura proponendola come colossale industria produttiva e mediatica sul modello privatistico e mercantile degli Stati Uniti d’America.
Tornando a noi e all’oggi: ci dice niente che il governo Monti abbia messo a dirigere la più grande industria culturale del nostro paese, e cioè la RAI, un gruppo di banchieri invece che di intellettuali ed esperti della comunicazione? Ci dice niente che per il cinema e per lo spettacolo dal vivo non si siano volute – neanche durante i governi di centro-sinistra -  nuove e necessarie “leggi di sistema” in modo di lasciare questi importanti settori alle logiche del profitto e anche qui del dio-mercato?
Noi crediamo invece che una vera Rivoluzione civile non possa aversi senza mettere al centro la cultura: anche con la cultura e la conoscenza si combatte la mafia, anche con la cultura e la conoscenza si combatte l’antipolitica, anche con la cultura e la conoscenza si costruisce una democrazia vera, e una vera riforma dello Stato che metta la partecipazione e la trasparenza al primo posto. Come è detto nel tuo programma: “profonde disuguaglianze e, dunque, deficit di democrazia si misurano non solo tra chi ha e chi non ha, ma anche tra chi sa e chi non sa”.
Pur rendendoci conto delle pressanti esigenze che, nel pieno di una campagna elettorale, ti assorbono tempo e impegno, vorremmo, perciò, chiederti un incontro (magari in un Convegno pubblico che potremmo organizzare, ma su questo lasciamo a te valutarne l’opportunità) per discutere con te i punti centrali che, in tanti anni di nostra partecipazione alla vita delle associazioni culturali e professionali di tutti i settori della produzione culturale e della comunicazione, abbiamo elaborato e che alleghiamo intanto a questa lettera.
Te lo chiediamo in quanto riteniamo che una particolare attenzione da parte di Rivoluzione Civile ai problemi della cultura, dell’arte e della conoscenza, possa costituire uno dei veri segni di discontinuità con il passato e, nello stesso tempo, ridare slancio e voglia di impegno a tutti coloro che, e sono tanti, delusi e sfiduciati proprio dalle politiche del centro-sinistra anche in questi settori, attendono da anni un segnale forte in direzione di una riappropriazione di “senso” contro il “non-senso”.
carmine amoroso (regista),
enzo apicella (disegner, pittore, giornalista),
piero arcangeli (musicologo e compositore),
mino argentieri (docente universitario, direttore “cinema sessanta”),
giorgio arlorio (sceneggiatore),
lella artesi (regista),
antonia baraldi sani (Crides),
glauco benigni (scrittore e giornalista),
mauro berardi (produttore cinematografico),
benedetta buccellato (autrice-attrice teatrale),
roberto de giorgi (autore teatrale),
marco dentici (scenografo),
pippo di marca (autore teatrale),
cesare frugoni (sceneggiatore),
beppe gaudino (regista),
giovanni greco (autore teatrale- scrittore),
maria lenti (poetessa),
fabio massimo lozzi (autore cinematografico),
silvia luzzi (attrice),
cecilia mangini (regista),
antonio manzini (autore e scrittore),
citto maselli (autore cinematografico),
rosa a. menduni (autrice teatrale),
magda mercatali (attrice teatrale),
gianni minà (giornalista, autore),
laura muscardin (regista),
moni ovadia (autore, attore, regista),
giuditta peliti (amministratrice teatrale),
silvano piccardi (regista, autore, attore,)
gianluca riggi e il teatro Furio Camillo di Roma,
renzo rossellini (produttore cinematografico),
sandro rossetti, (sceneggiatore),
nino russo (autore cinematografico),
massimo sani (regista),
bebo storti (attore),
stefania tuzi (architetto, Università La Sapienza, Roma)

Risposta Ingroia

Caro Maselli, care/i tutte/i
 
ho letto con scrupolo ed interesse la vostra lettera aperta, e voglio ringraziarvi. In primo luogo per la schiettezza che avete usato nell’espormi quelle sincere riflessioni sul programma di Rivoluzione Civile e per aver sottolineato l’importanza dei temi culturali e della conoscenza in un campagna elettorale che parla poco di contenuti, soprattutto di quelli essenziali. È evidente dove ci sta portando la deriva culturale che attraversa la società italiana. Un popolo che è indotto a non pensare è un popolo che non reagisce, un popolo che è messo nelle condizioni di non sapere diventa un popolo supino che fa comodo ai potenti, i quali vogliono che sia così, noi no!
 
In secondo luogo, vi ringrazio davvero per l’attenzione che avete mostrato al progetto della Rivoluzione Civile, che vuole combattere senza remore la deriva verso il pensiero unico e  l’omologazione delle menti.
 
Diamo seguito a questo nostro scambio. Vediamoci per un confronto pubblico. La mia unica possibilità, nella frenesia di questa campagna elettorale, è nella giornata del 13 febbraio.
Avrei individuato il luogo:  gli spazi dell’Associazione culturale “Dimmidisì”, in Via dei Volsci 126 – Roma, a partire dalle ore 17.00.
L’auspicio è che possiate e vogliate intervenire, io ci conto.
Vi saluto cordialmente,

Antonio Ingroia
(Presidente Rivoluzione Civile)

Punti di programma

SULLA CULTURA

1. La cultura è un bene comune, patrimonio di tutti, non privatizzabile. La cultura è un diritto fondamentale, inalienabile. A tutti va garantito il diritto di accesso alla produzione e alla fruizione della cultura, della produzione artistica e dei beni culturali.
2. Lo Stato deve investire in cultura almeno l’1 % del Pil. Il Fondo unico per lo spettacolo deve essere indicizzato e portato almeno a  Agevolazioni fiscali per chi investe in cultura. Istituzione di una tassa di scopo per tutti i soggetti che utilizzano, a fini di lucro, diretto o indiretto, le opere culturali. Riduzione dell’iva al 4 percento per tutti i prodotti e le attività culturali.
3. Ai lavoratori della cultura vanno garantiti i diritti e le tutele di tutti i lavoratori: rispetto del contratto nazionale, ammortizzatori sociali, malattie professionali, infortuni sul lavoro, maternità, diritto alla pensione. Va riconosciuto come periodo di lavoro tutto il lavoro “sommerso”.
4. Leggi di sistema per tutte i settori culturali che garantiscano risorse certe e pluralismo dell’offerta culturale, sostegno alla produzione e distribuzione indipendente, normative antitrust, formazione professionale e del pubblico, sostegno all’associazionismo culturale. Costruzione in tutte le città, in tutti i quartieri e in tutte le periferie del paese di una rete di spazi pubblici della cultura: luoghi di incontro, partecipazione, produzione, sperimentazione, formazione e fruizione culturale. Rilancio di Cinecittà, del Centro sperimentale di cinematografia e di tutte le scuole di alta formazione professionale.
5. Riforma democratica e partecipata di tutte le istituzioni culturali pubbliche la cui gestione deve essere affidata alle forze sociali, culturali e professionali del settore. Il ruolo delle istituzioni culturali pubbliche deve prevedere tra l’altro: un rapporto stabile con il territorio; formazione professionale e del pubblico; rapporto con le scuole; valorizzazione del patrimonio artistico e culturale; ricerca e sperimentazione; documentazione anche audiovisiva, conservazione, catalogazione e valorizzazione delle attività svolte.
6. Leggi che tutelino insieme la possibilità di “scaricare” gratuitamente opere audiovisive o musicali dalla rete per uso personale e il diritto d’autore come compenso economico del lavoro creativo ed artistico e come diritto morale a difesa dell’integrità e del destino della propria opera. Costituzione di un “fondo unico per il lavoro creativo” sul quale viene versato il 50 % dell’iva proveniente dai costi di connessione alla rete. Lotta alla pirateria per uso commerciale.
7. Tutela, conservazione e valorizzazione dei beni culturali ed artistici da parte dello Stato e delle strutture pubbliche. Riforma del Mibac e valorizzazione delle strutture periferiche e di base. Riconoscimento di tutte le professionalità del settore del restauro e dell’archeologia.

Noi crediamo che per riconquistare “credibilità” la politica non solo debba elaborare le proprie proposte insieme alle forze sociali, culturali e professionali dei settori, ma debba prima di tutto avere la capacità di critica e di autocritica, individuando gli errori commessi e le loro cause. E allora in tema di cultura e di conoscenza dobbiamo dire che, se non “tutto”, certo molto è cominciato nella sinistra e con i governi di centro sinistra. Quando si è per esempio deciso di “disinvestire nella cultura” lasciando la produzione culturale ai meccanismi di mercato, o quando ci si è arrogati come ministri il compito di scegliere i membri delle commissioni o dei consigli di amministrazione delle istituzioni pubbliche togliendoli alle categorie, quando si è decisa la privatizzazione di tutte le istituzioni culturali pubbliche (dalla Biennale di Venezia, alla Scala di Milano, al Museo Egizio di Torino, alla Quadriennale di Roma, al Massimo di Palermo, per fare solo alcuni esempi) e delle scuole di alta formazione professionale, tutte trasformate in fondazioni di diritto privato. O infine quando si è “privatizzata” la gestione dei fondi pubblici come con l’istituzione delle “film commission”. O infine quando si è proposto un amministratore unico per il servizio pubblico radiotelevisivo invece di democratizzare la gestione della Rai e di affidarla alle forze professionali, culturali e sociali del settore.
Partendo da questa base i governi della destra – in particolare negli ultimi recenti anni – hanno portato un attacco di inedita gravità alla cultura e ai suoi lavoratori e tagliato in modo drastico i fondi per la cultura e per i beni culturali. Ma tutto questo non è stato determinato e motivato dalla crisi economica e dalla “necessità” di tagli, ma per l’idea tutta strategica – condivisa anche dal governo Monti – di demolizione della democrazia e delle conquiste dei lavoratori. Cultura e conoscenza sono infatti strumenti e momenti di formazione e di crescita, di consapevolezza critica, di conoscenza della realtà: elementi strategici fondamentali per una democrazia vera. Per questo hanno subito attacchi così violenti. Per questo sono state eliminate istituzioni determinanti per la vita culturale, molte altre ridotte allo stremo, il Fondo unico dello spettacolo – che serve a finanziare non solo istituzioni culturali pubbliche quali la Biennale di Venezia, non solo i festival e l’associazionismo culturale, ma tutta la produzione culturale, dal cinema al teatro, alla musica, alla danza, alla lirica, allo spettacolo viaggiante fino ai circhi – è stato ridotto a quasi la metà.

In Italia si stanzia per tutta la cultura 1 miliardo e ottocentomila euro, pari allo 0,2 % del Pil, mentre la Francia stanzia 12 miliardi di euro l’anno, la Germania 8.6, la Gran Bretagna 5.3. L’investimento dello Stato nella cultura deve essere pari almeno all’1 percento del Pil, anche perché l’investimento nella cultura da parte dello Stato produce, come è stato ampiamente dimostrato da serie e documentate analisi, un incremento del Pil di gran lunga maggiore dell’investimento effettuato e superiore a qualsiasi investimento in altri settori. Investire in cultura non è un costo ma una risorsa: sociale ed economica. Inoltre  solo l’intervento pubblico può impedire che l’unico filtro regolatore della produzione culturale sia il mercato, solo l’intervento pubblico può creare le condizioni perché la produzione culturale ed artistica sia realmente autonoma, indipendente e libera.

Sono calcolati in circa 300.000 i lavoratori impegnati direttamente nella produzione culturale. Diventano più del doppio se si considerano quelli della distribuzione e della commercializzazione. A questi vanno aggiunti i lavoratori dei beni culturali. Poi c’è l’indotto, incalcolato e incalcolabile: un’enormità di piccole imprese e piccoli artigiani che lavorano intorno e insieme alle istituzioni culturali (fondazioni lirico sinfoniche, teatri, studi cinematografici, conservatori, scuole di alta formazione professionale) o legati direttamente al territorio e alla produzione culturale.
I lavoratori iscritti all’Enpals sono circa 280.000: il 75 percento di loro non riesce ad avere una pensione. Le pensioni erogate non raggiungono di media i 13.000 euro l’anno, con un divario tra uomini e donne che arriva al 40 percento. Restano fuori ovviamente i lavoratori in nero e quelli obbligati alla “partita iva” che non riescono a versarsi i contributi, la maggior parte dei quali svolgono lavoro “creativo”: quel popolo di artisti o di archeologi o di restauratori, costretto all’ “autoimprenditorialità” e al quale però non è riconosciuta la possibilità di detrarre le spese sostenute per la professione. Chi lavora nei beni culturali, nei settori creativi ed artistici, qualunque “mansione” svolga deve essere riconosciuto come “lavoratore” che ha e deve avere i diritti di tutti gli altri: rispetto del contratto nazionale di lavoro, ammortizzatori sociali, malattie professionali, infortuni sul lavoro, pensioni, maternità. Nella cultura il lavoro non solo è precario, ma spesso in nero. Sempre intermittente, o meglio apparentemente intermittente perché quello che emerge, quando riesce ad emergere, è solo il frutto di un lavoro molto più lungo e faticoso, sommerso e non riconosciuto: va invece definito come “lavoro” e come tale retribuito.

SUL SISTEMA DELLE COMUNICAZIONI

1. Legge antitrust, per rompere gli attuali oligopoli e impedire la nascita di nuove posizioni dominanti lesive della concorrenza e del pluralismo. Chi fa televisione non può possedere testate giornalistiche né case di produzione e distribuzione cinematografica né essere proprietario di circuiti di sale.
2. Centralità del servizio pubblico radiotelevisivo. Riforma della Rai per garantirne una gestione democratica e partecipata, pluralista e decentrata. Nomina da parte del Parlamento dei membri del cda su curricula e progetti editoriali scelti tra personalità della cultura, del lavoro, dell’informazione, della produzione culturale. Direttore generale nominato dal cda. Assunzioni per concorso pubblico sia nelle reti che nelle testate.
3. L’etere è un bene pubblico: tutte le emittenti devono rispettare il principio di “interesse generale”.
4. Sostegno alle emittenti locali indipendenti legate al territorio e con gestione partecipata.

Per far uscire la Rai dalla crisi profonda e strutturale in cui è stata portata e per restituirle il ruolo centrale nel sistema misto delle comunicazioni, così come deciso dalla Corte costituzionale, occorre mettere in campo una grande riforma mobilitando e chiamando a discutere le forze sociali e culturali, l’associazionismo e i movimenti. Occorre elaborare un grande progetto culturale che renda il servizio pubblico radiotelevisivo all’altezza delle sfide tecnologiche di oggi e di domani, perché la Rai torni ad essere un’azienda democratica e autonoma, decentrata e partecipata, che dia voce a tutta la produzione indipendente diffusa su tutto il territorio nazionale, pluralista nella sua offerta culturale nel rispetto dei tanti “pubblici” e sganciata dalle logiche di mercato. Una Rai i cui vertici sono “nominati” dal Parlamento ma scelti – in base a curricula e progetti editoriali pubblici – tra personalità del mondo della cultura, dell’informazione, del lavoro, della produzione culturale e dell’associazionismo, che possano realmente garantire professionalità indipendenza e autonomia. Eliminazione della distinzione tra programmi finanziati dal canone e programmi finanziati dalla pubblicità. Tutta la programmazione Rai è “servizio pubblico” e quindi il principio ispiratore è la qualità e non l’audience.
Occorre una legge sul sistema delle comunicazioni che contenga una reale normativa antitrust per rompere il duopolio Rai-Mediaset nel settore televisivo e in quello cinematografico e riaprire il mercato ad una offerta televisiva pluralista, indipendente, diffusa su tutto il territorio e che risponda ai principi di “interesse generale”.


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