F35, «supremo» è il parlamento

F35, «supremo» è il parlamento

di Claudio De Fiores -
Sui programmi di ammodernamento delle Forze Armate, e quindi anche sull’acquisto dei caccia F35, decide il governo. Il Parlamento ne è estraneo e le sue decisioni in questo ambito non possono «tradursi in un diritto di veto su decisioni operative e provvedimenti tecnici che, per loro natura, rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’esecutivo». Il comunicato finale del Consiglio supremo di difesa è netto e categorico nelle sue conclusioni. Troppo netto e categorico per risolvere una questione particolarmente complessa sotto il profilo giuridico-costituzionale.
La legge 244/2012 che contiene la «delega al governo per la revisione dello strumento militare nazionale» si fonda su un impianto normativo caotico e controverso. Perché se è vero – come il Consiglio rammenta – che al governo spetta esprimersi in merito a misure di carattere strategico e operativo, è però altrettanto vero che l’art. 4 stabilisce che «la sperimentazione di una maggiore flessibilità gestionale di bilancio connessa al mantenimento in efficienza dello strumento militare e al sostenimento delle relative capacità operative» debba avvenire con legge (se richiedono finanziamenti di natura straordinaria). Il ministro della difesa può pertanto intervenire con decreto solo qualora si tratti di programmi finanziati attraverso gli ordinari stanziamenti di bilancio. In tutti gli altri casi i piani di spesa destinati al completamento di programmi pluriennali devono invece «essere sottoposti dal ministro al parlamento».
È questa un’interpretazione controversa, discutibile, opinabile? È possibile, ma risolvere questo nodo interpretativo non rientra nelle competenze del Consiglio supremo. Che nasce, infatti, come organo di consulenza e di informazione del presidente della Repubblica. Le sue funzioni – disciplinate da leggi del 1950 e 1997 – hanno quale finalità pressoché esclusiva quella di porre il presidente nelle condizioni di ponderare le conseguenze che, sul piano costituzionale, potrebbero derivare dalla gestione di eventuali stati di crisi. In qualità di presidente dell’organo, il capo dello stato ha il dovere di garantire la rispondenza dell’azione di governo allo spirito e ai principi della Costituzione. Primo fra tutti il principio pacifista dell’art. 11.
Ne discende da ciò che il Consiglio di difesa è un organo di intesa «operativa» (tecnico-politica) e i suoi atti non hanno efficacia esterna. Le sue deliberazioni non possono vincolare altri poteri dello stato, salvo quelli direttamente coinvolti al suo interno (governo e presidente della Repubblica). E non possono limitare la sfera di azione di altri organi costituzionali. In primis il parlamento, al quale spetta indirizzare e controllare l’azione di governo sulle politiche di sicurezza e di difesa, attraverso l’uso dei mezzi ispettivi, chiamando i ministri a rispondere del proprio operato e a motivare le decisioni assunte. Una funzione, questa che la forma di governo parlamentare assegna implicitamente ai gruppi di minoranza ai quali spetta l’opposizione. Ribaltare i termini della questione, precludere ogni sfera di intervento del parlamento in questa materia appare quanto mai eccessivo.
È vero che l’esecutivo ha precise «responsabilità costituzionali» come recita il comunicato del CSD, ma solo nei confronti del parlamento, dalla cui fiducia discende la sua legittimazione politica e la sua stessa esistenza.

Il Manifesto – 05.07.13


Sostieni il Partito con una



 
Appuntamenti

PRIVACY







o tramite bonifico sul cc intestato al PRC-SE al seguente IBAN: IT74E0501803200000011715208 presso Banca Etica.