Con Accorinti Messina corre già verso la IV Repubblica, quella dei beni comuni

Con Accorinti Messina corre già verso la IV Repubblica, quella dei beni comuni

di Marco Let. -
La triste e logora temporalità delle larghe intese può essere infranta con una forte ondata di gioia. E’ questo il forte messaggio di speranza e di lotta che la città di Messina ha lanciato a tutta l’Italia. La vittoria di Renato Accorinti è la profanazione dell’ordine sociale massonico che ha tenuto Messina come una prigioniera incatenata, con una maschera di ferro sul volto. Quel volto sfigurato da immense colate di cemento, dall’incuria e dall’abbandono dei suoi luoghi più significativi (come la Fiera), dal dissesto del territorio, dalla privatizzazione del traghettamento sullo stretto, da interessi sempre opachi che hanno finito, negli anni, per identificarsi con gli interessi di un’intera città, e quindi essere non solo giustificati, ma difesi da una classe politico-imprenditoriale complice del disastro.

Il Ponte su tutti. Mega opera da 8,3 miliardi di euro, ciliegina sulla torta della legge obiettivo di Berlusconi, che in questa città, invece dei quarantamila posti di lavoro, ha creato solo illusioni e ha permesso alle cricche locali e nazionali di intascare, negli anni, la “modica” cifra di 500 milioni di euro. Senza far nulla.

Il popolo che oggi si riprende la città, con uno stato di dissesto economico impressionante (altri 500 milioni di euro) è quella parte di città che ha lottato contro tutto questo. E’ il popolo che ha sentito il bisogno di inquadrare la propria esistenza politica all’interno di un contenitore trasversale e moltitudinario, ma con un minimo comun denominatore:uscire dalla trappola della crisi economica, dare una svolta significativa alla città e rimandare indietro i pacchi di pasta, le ricariche telefoniche, il denaro contante, le buste della spesa, i buoni benzina, e tutti quegli effimeri vantaggi che si ottengono vendendo il proprio voto al padrino di turno.

Nella città più “controllata” d’Italia è successo tutto questo. E la “folle corsa” verso il municipio, l’ingresso del popolo al suo interno, i cori da stadio contro Genovese (deputato Pd, e socio della Caronte&Tourist, nonché magnate della formazione professionale), la gioia e i pianti di chi nella vita aveva sempre perso, sono i simboli che più efficacemente hanno dato una forma a questa energia carsica, che si è diffusa in ogni angolo della città, durante questi anni di degrado.

Mai Messina aveva avuto tanto entusiasmo: Renato Accorinti è stato sicuramente l’interprete migliore di questo disagio sociale.Il suo carisma, e la stima che la gente comune gli riservava da sempre, si è trasformato in forza politica capace di spodestare dal trono tutti i vari “consoli a vita” di questa città. E Renato lo ha fatto in un modo semplice: parlando alle frequenze dell’anima, toccando le corde del cuore di ognuno. Ma lo ha fatto anche con un progetto politico importante: “Cambiamo Messina dal Basso” è l’offerta che i messinesi hanno accettato. E hanno accettato anche l’impegno che questa proposta comporta: “io non vi chiedo il voto, vi chiedo di ribellarvi edi partecipare alla vita collettiva”. “Solo io, con i miei 8 assessori, non posso cambiare le cose: la città è vostra, riprendetevela!”

Renato, che ha chiesto a tutti di non chiamarlo mai “sindaco”,ha parlato chiaro: d’ora in poi, consulte tematiche, assemblee cittadine,tavoli di consultazione saranno gli strumenti della nuova democrazia messinese,che prefigurano già il mondo che noi vogliamo, volgendo lo sguardo oltre le larghe intese, oltre l’inciucio e oltre le politiche dell’austerità neoliberale di questa Terza Repubblica.

Noi lo abbiamo sempre detto che la crisi si combatte con la democrazia, dal basso, collettivamente. Dalla crisi se ne uscirà nel momento in cui i processi della democrazia reale, istituzionali e non,produrranno una soggettività diffusa capace di uscire dalla logica della rappresentanza politica e della delega in bianco: l’essere singolare, ma insieme comune. Anche in questo caso Renato ha avuto parole davvero eccezionali, parlando dell’unicità e irripetibilità di ogni essere umano; secondo Renato, che ha sempre esaltato questo aspetto etico-spirituale, ognuno di noi ha energie nascoste che deve liberare a favore di tutti. E’ l’amore per la città, per la bellezza e per gli altri, ciò a cui ognuno di noi deve dare ascolto. Siamo tutti diversi, ma allo stesso tempo siamo tutti accomunati dalla nostra continua produzione di alterità e di differenze. L’incrocio tra la singolarità irripetibile e l’essere in comune, diventa la cifra e il codice di interpretazione di questo processo storico, che altro non è se non il superamento dell’individualismo borghese classico, e il superamento dell’idea che un blocco sociale debba costruirsi attraverso un processo di reificazione e di reductio ad unum.

L’assessorato all’autogestione dei beni comuni, novità assoluta non solo per Messina, è quello spazio che l’amministrazione dedicherà proprio alla cura di questo tipo di soggettività politica nuova: la messa in comune di energie diffuse, se da un lato ha già avuto delle sue declinazioni conflittuali in città, con l’occupazione del Teatro in Fiera Pinelli e, in seguito, dell’ex Casa del Portuale, è ciò che permetterà di saldare le istanze sociali degli ultimi, dei lavoratori, dei precari, del cognitariato, dei senza casa. Inizia una nuova era, nella quale di certo non scomparirà il conflitto, ma che potrebbe davvero innescare dei processi dinamici e dialettici tra istanze sociali e governo della città, per favorire una moltiplicazione degli spazi di democrazia e di autogoverno dal basso.

La prima patata bollente, però, deve essere già presa in mano: il dissesto del comune. Elemento sicuramente non neutrale per le sorti di una giunta che, comunque, non ha la maggioranza in consiglio comunale.Ma se abbiamo davvero capito che solo la democrazia può salvarci dalla crisi,anche sulla questione del dissesto si dovranno costruire momenti di discussione pubblica nei quali le differenti posizioni delle varie forze sociali possano emergere chiaramente. Ma soprattutto deve emergere un principio, insieme giuridico e politico, secondo il quale una collettività non può pagare per colpe riconducibili a soggetti che hanno amministrato il denaro di tutti come fosse il proprio, o peggio. Deve emergere l’idea che il patto di stabilità è una spada di Damocle che le nostre teste e le nostre vite non possono più sopportare. Deve emergere l’idea,cristiana e materialista allo stesso tempo, che gli ultimi devono diventare i primi nella gerarchia degli interessi di una collettività, affinché questa possa dirsi degna di sé stessa: e per questo bisogna dotare le amministrazioni locali di strumenti in grado di rispondere a questi bisogni, favorendo allo stesso tempo la costruzione di reti solidali dal basso che autogestiscano pezzi di città in modo da dar voce alle istanze sociali più profonde e, insieme, più innovative.

Anche per questo Messina può diventare un nuovo laboratorio politico e culturale per tutto il Paese: chi ha a cuore la lotta per costruire la repubblica dei beni comuni non può, d’ora in poi, ignorare questa energia e questa forza che provengono dal profondo sud, da quel luogo nel quale “non succede mai niente”,e dove tutti i cambiamenti si vestono sempre dei colori del “Gattopardo”, come la vittoria di Crocetta lo scorso autunno. Le forze che si stanno coalizzando attorno alla Costituente dei Beni Comuni, soprattutto, hanno oggi la possibilità concreta di investire delle energie in una realtà che ormai da mesi dimostra che ribellarsi a quest’ordine delle cose non è solo giusto, ma è anche possibile. La vittoria di Renato viene, infatti, dopo un ciclo di lotte partite il 15 dicembre, con l’occupazione del Teatro in Fiera ribattezzato “Pinelli”, a loro volta racchiuse già nelle mille vertenze di questa città portate avanti in passato: la lotta contro l’attraversamento dei Tir, il Messina Social Forum, le migliaia di persone per le strade contro il Ponte, la lotta contro la cementificazione del Tirone.

I cittadini di Messina e di tutta Italia hanno voglia di uscire dal proprio confino privato, dalle mille solitudini che vivono in ogni istante, sul proprio luogo di lavoro, nei luoghi di formazione, nelle strade. E un sentimento così forte non va né castrato, né edulcorato, ma è necessario che si esprima il più possibile. Perché i sentimenti che spingono verso la trasformazione dell’esistente, sono simili al ribollire di una pentola a pressione, sono come l’amore, troppo forti per rimanere in silenzio: “Siamo troppo giovani, non possiamo più aspettare” (scritta muraria parigina). Il futuro è adesso.

da Agoravox.it


Sostieni il Partito con una



 
Appuntamenti

PRIVACY







o tramite bonifico sul cc intestato al PRC-SE al seguente IBAN: IT74E0501803200000011715208 presso Banca Etica.