La deroga Illegittima all’art.138 della Costituzione

La deroga Illegittima all’art.138 della Costituzione

di Alfonso Gianni -
Nel suo consueto editoriale domenicale Eugenio Scalfari ha tra le altre cose scritto – al riguardo delle modifiche costituzionali il cui percorso è di fatto iniziato con l’approvazione del disegno di legge che ne regola tempi e modalità nella riunione del Consiglio dei ministri del 6 giugno – di non comprendere le ragioni delle critiche mosse all’operato del governo. “Ci sono state molte critiche a questa impostazione – ha scritto il fondatore di Repubblica – si è parlato di stravolgimento della Costituzione esistente. Francamente non vedo in cosa consista lo stravolgimento: il 138 resta invariato, la sua procedura non è minimamente scavalcata.”

I casi sono due: o Eugenio Scalfari è in possesso di un testo diverso da quello su cui tutti hanno ragionato – fra cui il costituzionalista Alessandro Pace, proprio il giorno prima sullo stesso giornale – oppure siamo di fronte ad una clamorosa sottovalutazione dello strappo costituzionale in esso inserito.

Le cronache riportano che solo due ministri, Emma Bonino e Andrea Orlando, avrebbero sollevato obiezioni in merito all’accorciamento da tre mesi a uno soltanto dell’intervallo intercorrente fra la prima e la seconda deliberazione delle camere sul testo della legge costituzionale. Ad essi sarebbe stato risposto che proprio con una legge costituzionale ad hoc si potrebbe derogare a questo previsto dall’art.138 della Costituzione.

Ma è proprio qui che comincia lo strappo, sia formale che sostanziale, come hanno sottolineato anche i Comitati Dossetti per la Costituzione. Una legge costituzionale che intende cambiare modalità e percorso che regolano, in una Costituzione rigida quale è la nostra, le norme della sua modifica, in nessun modo possono scappare dalla procedura prevista dall’art. 138. Eventualmente solo dopo che la modifica dello stesso articolo viene effettuata, sulla base delle norme previste dallo stesso, è allora possibile che le successive modifiche costituzionali seguano nuove norme, ma non certamente prima.

Inoltre è bene soffermarsi su questa strana idea di una legge costituzionale ad hoc, che sembra ribadire la perniciosa tendenza all’eccezionalismo nei nostri procedimenti legislativi. Si dice infatti che la modifica, del cui percorso del tutto illegittimo alla luce della attuale Costituzione ho già detto, avverrebbe una tantum. Ma questa è una patetica bugia, dal momento che in base a tale modifica potrebbero più agevolmente e rapidamente passare cambiamenti rilevanti della nostra Costituzione, quali appunto sono quelli previsti dal governo e dalla maggioranza che lo sorregge e che riguardano niente meno la forma di governo, il sistema parlamentare, la relazione fra Stato e Regioni, contenuti nei titoli I-II-III e V della parte seconda della Costituzione.

Tutto questo, sia pur detto per inciso, non potrebbe non avere conseguenze anche sulla prima parte della Costituzione, quella che si dice non volere violare, poiché i diritti dei cittadini dipendono anche dalle istituzioni che li dovrebbero garantire. Se si modificano queste ultime è più che probabile che ci sarebbero anche conseguenze per i primi. Se si modifica la forma di governo e la sua relazione con il parlamento è ben difficile immaginare che i diritti politici dei cittadini rimangano inalterati. E tutto ciò avverrebbe in base ad una deroga all’articolo 138 della Costituzione discussa con modalità non previste dalla stessa!

Pare davvero che tutto ciò a Scalfari non sembri neppure degno di considerazione. Egli riconosce che la questione principale in discussione è il presidenzialismo o semipresidenzialismo (che per alcuni versi sarebbe ancora peggio). Ma per lui questa questione esulerebbe dall’art. 138 perché chiamerebbe in causa una vera Assemblea costituente, alla quale, per definizione, non potrebbero essere posti limiti di sorta nella sua eventuale attività di revisione costituzionale.

Proprio per questo bisogna opporsi a una simile proposta. Ma Scalfari finge di non accorgersi che tra i compiti dell’attuale “bicameralina” dei 40 parlamentari la questione della forma di governo è già compresa. Come recita il comunicato ufficiale rilasciato da palazzo Chigi: “Il Comitato dovrà esaminare i progetti di revisione dei Titoli I, II, III e V della parte Seconda della Costituzione che riguardano le materie della forma di Stato, della forma di Governo e del bicameralismo.”

Siamo quindi di fronte, con buona pace dei minimalismi scalfariani, al più ambizioso tentativo di ridisegno della Costituzione in senso autoritario e presidenzialista. Grave è nasconderlo. Anzi bisogna prepararsi a fare come nel 2006, quando la maggioranza degli aventi diritto al voto – malgrado il quorum in questo caso non sia previsto – respinse nel referendum il “premierato” che Berlusconi aveva fatto votare nella precedente legislatura.


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