Sigonella Story
Pubblicato il 30 mag 2013
di Maria R. Calderoni -
Correva l’anno 1957. La guerra è finita da dodici anni. Nasce il primo supermercato, il primo “Carosello”, la prima 500, l’Autostrada del Sole; nasce la Cee e pure l’Euratom; per la prima volta un essere vivente è lanciato nello spazio, è partito lo Sputnik con la cagnetta Laika a bordo; e Carosone impazza su tutti i jukebox con “tu vo’ fa’ l’americano”.
Già, è anche l’anno che vede l’Italia a Parigi assisa con Eisenhower al tavolo della prima conferenza dei Paesi aderenti al Patto Atlantico. Quella conferenza in cui si decide l’installazione di basi missilistiche in Europa, cioé in tutti i Paesi dell’alleanza atlantica medesima. Infatti è anche l’anno della guerra fredda che infuria, anche l’anno della rivolta ungherese e dei carri armati sovietici a Budapest, con tensione altissima tra i due Blocchi e l’Italia territorio strategico.
La storia di Sigonella comincia qui. Comincia sommessamente. Proprio il 25 giugno 1957. Il giorno in cui l’Italia concede agli Usa la sede di Sigonella, base dell’Aeronautica militare italiana, intitolata al capitano pilota Cosimo Di Palma, Medaglia d’oro al V.M. È un grazioso favore alla U.S. Navy, i cui aerei sommergibili P-2 Neptune sfortunatamente non possono più stare in quel di Hal Far, Malta, dove sino a quel momento sono stanziati e che quindi hanno urgente necessità di trovare un’altra location. La U.S. Navy, come da Trattato, chiede il permesso di trasferimento alla Nato, la Nato lo chiede all’Italia, l’Italia dice sì: e la concessione viene data con un “accordo temporaneo”. Era appunto l’estate del 1957.
L’accordo temporaneo dura tuttora. E alla grande. Sessantacinque anni dopo, Sigonella fa molto parlare di sé. Lasciamo la parola ad Antonio Mazzeo, giornalista e scrittore – una firma ben nota ai nostri lettori – che sulla base siciliana ha allertato da lungo tempo un lucido osservatorio. «Sigonella è oggi l’elemento primario di supporto logistico e operativo della Sesta Flotta della Marina Usa e della Nato nel Mediterraneo, in Medio Oriente ed Africa».
In particolare, a sostegno degli Usa,
Sigonella fornisce «supporto ai seguenti reparti autonomi delle Forze armate statunitensi: Commander Task Force 67, squadrone da pattugliamento marittimo; distaccamenti di velivoli C-2, C-9 e C-130; aerei in transito appartenenti all’Aeronautica Usa ».
Avete capito bene. Grazie al famoso “accordo temporaneo” di sessantacinque anni fa, oggi Sigonella si trova ad essere la più grande base aeronavale del Mediterraneo. Vale a dire «uno dei cardini della politica di difesa atlantica, la sentinella della sorveglianza armata nell’area mediterranea». C’è di che. Tanto per dire, «il Global Hawk, il più grande esemplare di apparecchio “unmanned” (senza pilota) al mondo, è in grado di coprire, da quote di 20mila metri, aree ampie oltre 100mila chilometri quadrati, raggiungendo distanze di 20mila chilometri. Il suo radar ‘vede’ attraverso le nuvole, trasmettendo immagini codificate via satellite alle basi di mezzo mondo. Spia il fronte nemico, individuando gli obiettivi per dirigere gli attacchi e i bombardamenti».
Il Global Hawk, già, è una delle “alte” dotazioni di Sigonella. Lasciamo sempre la parola ad Antonio Mazzeo. «I droni presenti a Sigonella sono di tre tipi. Il più noto è il Global Hawk, un maxi-drone con apertura alare di 40 metri e in grado di restare in volo 36 ore consecutive. È ad esso, già protagonista nelle operazioni di cattura di Bin Laden e di Gheddafi, che è affidato il pattugliamento della Libia».
Ieri e oggi. Il primo Unmanned Aerial Vehicle (Uav) a Sigonella è giunto nel 2010, dopo che l’Aeronautica militare e l’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) «hanno siglato un accordo tecnico per consentire l’impiego dei Global Hawk nell’ambito di determinati spazi aerei».
Durante la crisi libica, buono a sapersi, oltre ai Global Hawk da Sigonella “«sono partiti anche altri droni, i Reaper e i Predator, arrivati in Sicilia nell’aprile 2011. Questi ultimi hanno avuto il compito di bombardare le postazioni militari che sostenevano l’ex leader Gheddafi. I Predator, decollati 145 volte da Sigonella per questa missione, hanno un’apertura alare di 8,22 metri, possono salire fino a novemila metri sopra il livello del mare, hanno un’autonomia di circa 40 ore e sono equipaggiati con missili aria-terra a guida laser, gli AGM-114 Hellfire».
Non basta. «Al contrario di quanto si credeva, i droni americani hanno continuato a sorvegliare la Libia fino a oggi, come rivelato da Wired.com. Secondo il think tank londinese Quilliam, ripreso dalla Cnn, l’attacco al consolato Usa a Bengasi sarebbe stata proprio una vendetta per l’uccisione di Abu Yaya al-Libi, numero due di Al-Qaeda, avvenuta in Pakistan nel giugno scorso per mano proprio di un drone».
Non è proprio tanto di dominio pubblico, ma «dal 1973 è da qui, da Sigonella, che l’esercito degli Stati Uniti organizza i propri interventi in Europa, Africa, Medio Oriente e Sud-Est asiatico. E dal 2010 lo fa anche attraverso l’utilizzo dei droni». No, non è proprio tanto di dominio pubblico, ma «l’area sta diventando un focolaio che rischia di incendiare tutta la sponda sud del Mediterraneo. Il Mali è lì a due passi, al-Qaida del Maghreb Islamico è attiva e forte in tutta la zona, e la frantumazione della Libia dopo i bombardamenti “salvifici” di due anni fa sta provocando una situazione di totale ingovernabilità», un Iraq alle porte di casa.
È in tale scenario che giunge in questi giorni la notizia dell’imminente arrivo a Sigonella di un contingente di altri 500 marines (poi ridimensionati in 200). Non marines qualsiasi. Trattasi bensì dei marines della SP-MAGTF CR, un’unità combattente «destinata a compiere azioni offensive in situazioni di conflitto anche ad alta intensità». Trattasi Dell’ Unità di “”Crisis response”, cioè di pronto intervento, una Task force. E trattasi di marines direttamente provenienti dalla base Usa schierata a Moron de la Frontera, Spagna, dall’inizio di aprile, colà albergata previa autorizzazione di un anno concessa dal governo spagnolo.
Via dalla Spagna e convogliati a Sigonella, operazione autorizzata da chi e quando? Il neo ministro degli Esteri Bonino né si stupisce né chiarisce; per lei, la nota pacifista guerrafondaia, l’operazione «è del tutto regolare», in linea con non meglio specificati «accordi bilaterali».
In verità, quella che arriva a Sigonella è una forza di pronto intervento «predisposta per Bengasi e per una Libia sempre più turbolenta, non senza un occhio al resto del Nordafrica in fermento, dal confine tra Algeria e Tunisia fino all’Egitto».
Ed è inoltre già deciso: fra il 2015 e il 2017 a Sigonella arriveranno altri cinque droni (sì, proprio quelli che la Germania, come ha scritto sempre Antonio Mazzeo non più tardi di tre giorni fa su questo giornale, ha chiesto di sospendere in quanto «troppo pericolosi»): tutti al completo servizio della Nato, grazie a un accordo siglato lo scorso maggio da tredici dei paesi alleati dopo venti anni di trattative. È il progetto Smart Defense, un sistema costosissimo, il cui braccio operativo è l’AGS(ovvero Alliance Ground Surveillance).
Qui Sigonella. Se non lo sapete, l”AGS è una istallazione formidabile, fate bene a preoccuparvi. «Fornirà informazioni in tempo reale per compiti di vigilanza aria-terra a supporto dell’intero spettro delle operazioni Nato nel Mediterraneo, nei Balcani, in Africa e in Medio oriente. Al programma, ritenuto il più costoso della storia dell’Alleanza, hanno aderito in verità solo 13 paesi: Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Stati Uniti. Il sistema AGS sarà costituito da una componente aerea basata sui velivoli senza pilota “Global Hawk”, di alta quota e lunga autonomia; e da un segmento terrestre che si articolerà in stazioni di terra fisse, mobili e trasportabili per la pianificazione e il supporto operativo alle missioni dei droni».
Fate bene a preoccuparvi (ancora di più). Perché Sigonella non finisce qui. Infatti, nei piani della Nato, la base siciliana dovrebbe trasformarsi in «una e vera e propria centrale mondiale degli aerei militari senza pilota. Secondo Jim Stratford, portavoce della Northrop Grumman (società leader del complesso militare industriale statunitense e produttrice dei Global Hawk), in pochi anni dovrebbero arrivare in Sicilia circa 20 Global Hawk nella loro versione più recente (RQ-4B, “Block 30″ Multi Sigint), con apparato capace di intercettare le comunicazioni terrestri».
Chiediamo venia per la profusione di tutte queste orride sigle militari. Dietro le quali purtroppo ne spunta un’altra, altrettanto ostica, che si scrive Muos. il misterioso, fantascientifico Muos, che ha preso forma e sembianza ancora una volta in Sicilia, precisamente a Niscemi, dintorni di Caltanissetta (60 chilometri da Sigonella).
Dunque, questo Muos, acronimo di Mobile User Objective System, è «un avveniristico sistema di comunicazioni satellitari del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti: un progetto nato nel 1999, di cruciale importanza sul piano delle telecomunicazioni militari in caso di conflitti». Sottolineato: in caso di conflitti.
Se volete sapere com’è fatto, «schematicamente, il Muos è composto da quattro satelliti orbitanti e quattro stazioni di terra: Virginia, Hawaii, Australia, Sicilia»; e tale portento, “di cruciale importanza in caso di confllitti”, è in fase di realizzazione appunto a Niscemi. «E ciò grazie all’accordo sottoscritto dall’allora ministro della difesa Ignazio La Russa».
In attesa delle future guerre stellari , a Niscemi e dintorni le antenne del Muos fanno paura già adesso. Il comitato “mamme no Muos” da mesi presidia il cantiere, con blocchi e scontri con la polizia. No al Muos, no alle maligne onde elettromagnetiche delle sue parabole avvelenatrici.
Qui Sagonella.
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