«Questo è un punto di non ritorno su scuola pubblica e sussidiarietà»
Pubblicato il 28 mag 2013
Intervista a Wu Ming di Roberto Ciccarelli -
L’esercito di Serse è stato battuto ma il suo capitano sul campo, il sindaco Virginio Merola, ha dichiarato che Bologna non rinuncerà alla convenzione con le materne paritarie. Al collettivo degli scrittori bolognesi Wu Ming, che hanno offerto ai volontari del «comitato 33» una potente forza letteraria percussiva, domandiamo se la consultazione non sia stata inutile. «Era scontato che davanti ad un’affluenza non oceanica l’amministrazione comunale avrebbe fatto finta di niente – rispondono – L’affluenza del 28% è bassa, ma bisogna considerare che è quello che è accaduto ovunque per le amministrative a causa di una giutistificatissima sfiducia rispetto alle attuali forze politiche. Il 59% che ha votato per l’abolizione dei fondi alle paritarie corrisponde a 50 mila votanti, più o meno alla metà di chi ha eletto Merola sindaco nel 2011. Se fosse una forza elettorale, il comitato avrebbe avuto il 25% dei voti . Se guardiamo i numeri assoluti è un risultato che meriterebbe un’attenzione da parte degli amministratori, ma non lo faranno, non sono disposti a farlo. Lasceranno passare il tempo per far dimenticare tutto, tanto le prossime amministrative sono nel 2016.
A parte la disponibilità di maniera a discutere il sistema integrato da parte del sindaco, qual è il significato di questo referendum?
Il dato politico è che il Pd, la Curia e tutte le forze che hanno appoggiato l’opzione «B» hanno perso. Non era affatto scontato che questo referendum ottenesse il risalto nazionale che ha avuto. Il livello di consapevolezza tra le persone è aumentato e non solo a Bologna. Da oggi chi vorrà parlare di scuola pubblica e di sussidiarietà dovrà considerare questo risultato come un punto di non ritorno. Altre città potrebbero pensare a una consultazione analoga. Questo però non deve far pensare che i referendum consultivi siano lo strumento per cambiare chissà cosa, ma che invece le battaglie giuste si fanno con tutti i mezzi necessari e che non bisogna essere snob. Quindi alla faccia di chi vuole sminuirlo, questo risultato ha segnato un passaggio.
Ci saranno ripercussioni sulla vita politica bolognese?
Non siamo molto fiduciosi. Gli alleati del Pd in giunta come Sel provano a fare la voce grossa, ma non sembrano avere intenzioni particolarmente bellicose. Se decidessero di rompere si è già fatta avanti la Lega. Se a livello nazionale si governa appassionatamente, non c’è niente di strano a farlo a livello locale. Ma non accadrà. In ogni caso la partita è appena iniziata, si è creata una crepa, bisogna vedere quanto potrà essere allargata in futuro.
Cosa c’è dentro questa crepa?
È in corso, anche a livello nazionale, uno smottamento. Le vecchie cinghie di tramissione sono ormai tutte rotte. Anche nell’Emilia rossa la base non risponde più agli ordini di scuderia come un solo uomo. La base del Pd non ha risposto all’appello del partito. Un dato può essere significativo: la «B» ha vinto solo nei quartieri pedecollinari più ricchi, quelli che a Roma chiamereste i Parioli. Nei quartieri dove il Pd è forte, ad esempio Borgo Panigale o San Donato, ha vinto la «A».
Quale soluzione offre questa vicenda per una politica di base che non sia né di centrosinistra, né 5 Stelle?
In questo momento in Italia non esiste una forza politica capace di accogliere questi segnali di discontinuità. Il referendum di Bologna dimostra però che il vero antidoto all’antipolitica e alla delega in bianco è lapalissianamente l’organizzazione dal basso dei cittadini e di tutti coloro che si sentono chiamati in causa dalle lotte civili, da quelle sul lavoro o per l’istruzione. In Italia queste lotte sono in corso da vent’anni, come in Val Susa a cui i 5 Stelle hanno dato solo una rappresentanza parlamentare. Se riesci a ingaggiare la cittadinanza, fai un lavoro politico sul territorio come ha fatto il comitato 33 su temi che non si discutono ogni giorno, allora è possibile aprire dei margini.
Insomma il modello è quello dei 300 spartani contro Serse?
Secondo noi è stato superato. I trenta volontari che tenevano il passo delle Termopili sono stati raggiunti da 50 mila liberi bolognesi che hanno disobbedito agli ordini del potere e hanno preso parola. Si comincia sempre con un manipolo che riesce a sollevare una questione reale e tocca le corde dei problemi delle persone. Quando accade, non si resta mai da soli.
Il Manifesto – 28.05.13
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