Svezia, integrazione in fumo

Svezia, integrazione in fumo

di Aldo Garzia -
Periferia in fiamme a Stoccolma, come è avvenuto nelle banlieue di Parigi per la prima volta nel 2005. La scintilla dell’incendio si deve alla polizia che ha sparato contro un immigrato uccidendolo. Anche in Francia tutto scoppiò per l’uccisione di due minorenni da parte di alcuni poliziotti che stavano reprimendo un atto di piccola criminalità. Da qui la richiesta dei giovani ribelli che le forze dell’ordine, abituate per la verità a non compiere atti di violenza, debbano chiedere almeno scusa alla vedova dell’ucciso in attesa dello sviluppo delle indagini.
Le notizie che arrivano da Stoccolma colpiscono perché il modello di integrazione per gli immigrati in Svezia ha fatto scuola: corsi di lingua e di storia gratis, verifica per ottenere il visto di residenza che si parli lo svedese almeno in modo elementare e che si conoscano i principali passaggi della storiografia del paese in cui si è deciso di vivere. Assistenza e opportunità di lavoro equiparate a quelle degli svedesi doc. Il problema – come avevano dimostrato le rivolte ricorrenti nella popolosa città di frontiera di Malmö, quasi un’unica metropoli con Copenaghen dopo la costruzione del ponte che unisce la Danimarca alla Svezia – è che però sono saltati i parametri delle politiche di integrazione.
L’ultimo censimento dice che la popolazione svedese è pari a 9 milioni e 450 mila, di cui oltre 1 milione risulta composta da immigrati di prima generazione. Il che vuol dire che il problema dell’integrazione riguarda oltre il 10% dell’intera popolazione, mentre è difficile quantificare gli immigrati di seconda generazione nati in Svezia ma da genitori non svedesi. Queste cifre danno la dimensione del fenomeno a cui si deve aggiungere un’altra osservazione che riguarda la curva della demografica. La Svezia – dopo la Francia – è il paese europeo con il maggiore tasso di natalità (lo stesso boom di nascite riguarda Danimarca e Norvegia). Da questo punto di vista, sono lontani gli anni ’60, quando la Svezia si rispecchiava negli introversi film di Ingmar Bergman che descrivevano una società alle prese con la modernità degli stili di vita e a crescita pressoché zero. Grazie alle politiche del welfare che fino a pochi anni fa facevano invidia al resto d’Europa, si è invertita la curva demografica che ora fa a cazzotti con l’alto tasso di immigrazione: è perciò lotta tra giovani svedesi e giovani non svedesi delle stesse generazioni per trovare lavoro e cogliere le migliori opportunità di ciò che resta del welfare made in Sweden. Anche in Svezia si avvertono i colpi della crisi economica mondiale.
Quanto descritto fin qui serve a spiegare ciò che motiva le rivolte di questi giorni a Stoccolma nei quartieri dell’hinterland di Husby, Kista, Rinkeby, Jakobsberg, classiche zone omologate a quelle di periferia del resto d’Europa: schiere di casermoni tutti uguali, pochi negozi e pochi luoghi di ritrovo, almeno 20 chilometri di distanza dal centro città di piazza Sergels o di viale Sveavägen. Un’indagine sul quartiere di Husby ha rivelato che il 20% dei giovani tra i 16 e i 19 anni né studia, né lavora. Dal 1989 in poi le società nordiche sono molto cambiate. Con la caduta del Muro di Berlino sono andati progressivamente in frantumi i loro welfare, oltre alla collocazione di frontiera delle società nordiche abituate a praticare la ostpolitik (il dialogo Est-Ovest) e a godere di un prestigio internazionale. Il nord Europa è stato letteralmente invaso dall’immigrazione da Est, Medio Oriente e perfino America Latina e Asia. Pur essendo la Scandinavia tradizionalmente luogo di immigrati per compensare la propria emigrazione e per riequilibrare lo scarto tra enormi territori e scarsa popolazione residente, la contraddizione di un’immigrazione con poche regole si è insinuata come un virus in Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia. La piccola e grande criminalità, in particolare la mafia russa, raccontano le inchieste giornalistiche e i libri noir di grande successo scandinavi, hanno trovato la via sgombra per infiltrarsi in questi flussi migratori, riciclare denaro e fare innanzitutto di Svezia e Finlandia luoghi d’appoggio per le centrali del malaffare che operano in Europa.
Non è quindi una casualità che a Stoccolma da due legislature governino i conservatori del premier Fredrik Reinfeldt, dopo decenni di ininterrotti governi socialdemocratici a iniziare dal 1932. E non bisogna dimenticare che nelle ultime elezioni politiche svedesi ha fatto irruzione il partito di estrema destra Democratici svedesi, costringendo il Partito socialdemocratico ad astenersi su molti atti di governo per isolare le frange estremiste. Centristi e estremisti di destra cavalcano come in altre parti del mondo la paura del “diverso” e della troppa immigrazione. E capita sempre più spesso di ascoltare a Stoccolma discorsi del tipo: «Meglio non stare in centro il venerdì sera e il sabato».
Il primo ministro Reinfeldt e Erik Ullenhag, ministro dell’integrazione, hanno promesso di aprire un’inchiesta per capire le origini delle rivolte nell’hinterland di Stoccolma e di voler studiare alcune iniziative per favorire la maggiore integrazione dei giovani immigrati. Ma data la natura strutturale del fenomeno delle ribellioni giovanili è probabile che il fenomeno sia destinato a durare costringendo gli svedesi a guardarsi allo specchio e a interrogarsi su come mai la loro «società del benessere» non esiste più. Anche la sinistra socialdemocratica dovrà prendere le misure a un fenomeno che aveva sottovalutato nel suo impatto sociale e numerico.

Il Manifesto – 24.05.13


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